RELIGIONE E BUONUMORE

 

UN DIRITTO SENZA DIFESA

La libertà di espressione del Papa

 

Box: Ecco le vere parole del Papa: non ha affatto offeso Maometto e ha preso le distanze dai toni sprezzanti dell’Imperatore Manuele II:

„… wendet er sich in erstaunlich schroffer, uns überraschend schroffer Form ganz einfach mit der zentralen Frage nach dem Verhältnis von Religion und Gewalt überhaupt an seinen Gesprächspartner. Er sagt: „Zeig mir doch, was Mohammed Neues gebracht hat, und da wirst du nur Schlechtes und Inhumanes finden wie dies, daß er vorgeschrieben hat, den Glauben, den er predigte, durch das Schwert zu verbreiten“. Ossia: “si rivolge (Manuele) al suo interlocutore (Ibn Hazm, un dotto mussulmano il quale sosteneva che Allà non sia vincolato ad alcuna regola di verità,  nemmeno alla propria parola) in una forma stupefacentemente ruvida, così ruvida da stupirci con la centrale domanda circa il rapporto in generale tra religione e violenza, dicendo: «Mostrami dunque, che cosa ha portato di nuovo Mohammed, e ci troverai soltanto cattiveria e disumanità, come il suo precetto di diffondere con la spada la fede che egli predica.»”  Il Papa continua citando il successivo brano del discorso di Manuele II e spiega „perché la diffusione della fede mediante la violenza sia un contronsenso, stando in contraddizione coll’essenza di Dio e con l’essenza dell’anima: «Dio non ha alcun gusto per il sangue» dice «e l’agire difformemente dalla ragione, ossia senza logos, è contrario all’essenza di Dio. … … per persuadere un’anima razionale, non serve la forza, non servono strumenti di offesa o altro mezzo con cui minacciare di morte.»” E’ questo che ha oltraggiato il Profeta? L’affermazione che è contrario alla volontà e alla natura di Dio usare la violenza per convertire? Che quindi la guerra santa, il jihad, prescritta dal Corano e praticata dal Profeta e dai suoi successori, è illegittima ed empia? E quando il Papa vuole “ricucire lo strappo” dicendo che il pensiero di Manuele II non è il suo pensiero, che cosa intende? Che riconosce un diritto di convertire la gente mediante violenza e minaccia?


Box: Manuele II Paleologo e i nostri tempi: un’inquietante analogia?

       Forse la citazione di Manuele II da parte del Papa non è solo un preziosismo di erudito, o una scelta imprudente e inopportuna – come molti l’hanno etichettata – ma vuole indicare un’inquietante e sinistra analogia.

 L’impero Romano d’Oriente, che in origine comprendeva buona parte del Nordafrica, l’Egitto, la penisola arabica, i territori di Palestina, Siria, Mesopotamia, Turchia etc., era a larga maggioranza cristiano. Esso fu gradualmente sgretolato, invaso e conquistato dall’espansionismo dell’Islam, fino alla caduta di Costantinopoli nel 1476.  Questa lunga agonia prefigura forse un domani molti paventano: un domani in cui di nuovo la forza espansiva dell’Islam conquisterà gradualmente l’Europa imponendo il suo credo e i suoi valori. Forse a questo scenario allude la citazione fatta da Benedetto XVI.

Si tenga presente che, quando pronunciò quelle aspre parole, Manuele II stava difendendo, armi in pugno, l’Impero Cristiano di Oriente dalle avanzanti armate mussulmane che lo stavano conquistando e che uccidevano, sovente in modo atroce, chi non si sottometteva o non si convertiva all’Islam.  Quindi la sua ruvidezza non stupisce affatto, ma il Papa, per diplomazia, l’ha definita stupefacente. In che cosa si differenziano i miliziani integralisti di Al Quaeda o talebani dagli invasori mussulmani dell’Impero Romano d’Oriente, che imponevano la religione del Profeta col fuoco e la spada?

La suddetta precauzione diplomatica del Papa non è valsa a prevenire una strumentalizzazione del suo discorso da parte dei leaders integralisti (e anche moderati) del mondo islamico, i quali lo hanno presentato ai loro seguaci in modo distorto e capzioso, adatto ad attizzare il loro fanatismo e la loro aggressività. Qual è il loro scopo? Probabilmente, mostrare i muscoli agli USA e all’Occidente, che vorrebbero fermare i progetti nucleari dell’Iran. L’insurrezione contro le (supposte) parole del Papa è stato un parlare alla suocera affinchè intenda la nuora: “Voi vorreste fermarci? Guardate di che forza disponiamo, quante centinaia di milioni di seguaci che credono ciecamente alle nostre parole e sono pronti ad affrontare uno scontro totale!”

Dopo questa prova di forza (e l’assassinio di Suor Leonella), i leaders islamici hanno fatto rientrare l’insurrezione, perché oramai il messaggio era stato lanciato ed era pericoloso spingersi oltre: rischiavano di compattare l’Occidente contro di sè.

Ora stiamo a vedere: se Washington e l’Occidente consentiranno all’Iran di proseguire nei suoi programmi nucleari e allenteranno, in generale, la pressione sui paesi islamici, questa nostra ipotesi interpretativa sarà ragionevolmente confermata. Però una parziale conferma è già venuta dal fatto che ben pochi statisti europei e americani hanno difeso la libertà di parola del Papa.

 

UN DISCORSO TEOLOGICO CON FINI DI PACE

E’ stata presentata dalla solita stampa superficiale come una lezione di teologia, ma quella tenuta da Benedetto XVI a Ratisbona (Regensburg) il 12 Settembre scorso, nell’Aula Magna dell’Università, su Fede, Ragione e Università, non è una lezione universitaria, bensì una allocuzione (Ansprache) ad autorità accademiche. Non ha il fine di insegnare, ma di esporre il pensiero e l’esortazione del Pontefice. E’ un’allocuzione teologica e politica, concepita da un erudito professore per una platea di esperti. Densissima di riferimenti incrociati a tematiche filosofiche e teologiche, ad autori disparati di diverse epoche storiche. E’ un discorso di teologia e non di filosofia, perché usa la filosofia al servizio della teologia, anzi della religioni, ossia la usa come uno strumento per uno scopo sostanzialmente politico, diverso da quello proprio della filosofia, che è la ricerca della verità e della conoscenza prima. Voglio qui enuclearne solo alcune linee principali, per far capire concretamente come questa allocuzione sia per specialisti, e quanto siano arroganti e impudenti, e insieme ridicoli, coloro che, senza avere i mezzi per capirla, l’hanno giudicata e persino condannata. Anticipo che lo scopo del discorso papale è persuadere i leaders islamici e protestanti a concordare un linguaggio e una  piattaforma comune, su cui dialogare pacificamente entro un sentimento di condivisione.

 

Il Papa, nella sua vecchia sede accademica di Regensburg, come egli stesso enuncia nell’esordio, ha chiaramente voluto concedersi la legittima gioia di esprimere il proprio pensiero teologico, come per tanti anni ha fatto in passato. In essa, ha anche manifestato le sue preferenze in campo filosofico, prendendo posizione in favore di determinati principi e di determinate tendenze (recupero dell’uso metafisico della logica, tramontato con Kant), cercando di ridurre criticamente la portata del positivismo, del metodo scientifico e, in quanto all’idealismo, evitando persino di nominarlo. Nella carrellata storica che egli, pur sommariamente, traccia attraverso i secoli, dalla filosofia greca ad oggi, spicca appunto il suo silenzio sull’idealismo – e su Hegel, innanzitutto, a dispetto della enorme importanza del pensiero di Hegel in fatto di filosofia della religione e di rapporto tra fede e ragione. Del resto e naturalmente, il Papa parla di filosofia da fedele, non da filosofo: il filosofo sottopone al vaglio della ragione tutto, anche la rivelazione e la fede e i loro presupposti; il Papa non può farlo, perché il credente è tale per un atto ultimamente di fede, non di ragione. Il fondamento di tale atto è sottratto all’analisi e alla dimostrazione logiche. Mentre, per il filosofo, niente è sottratto ad esse.

Kant aveva portato al culmine il problema della conoscenza oggettiva (come e se il pensiero possa realmente comsocere l’altro da sé, la materia, Dio), dimostrando la non conoscibilità della realtà esterna al pensiero, ossa della cosa in sè –mondo, Dio- che invece la metafisica scolastica pretendeva di poter dimostrare e descrivere mediante la ragione. Di questo uso metafisico della ragione, Kant (soprattutto nella Dialettica Trascendentale della Critica della Ragion Pura) mostra le antinomie, quindi l’impraticabilità. Mostra, in sostanza, i limiti, la portata effettiva, della ragione come mezzo di conoscenza. Lascia però nella ragion pratica uno spazio per la realtà e l’incontro con un Dio esterno, creatore, rivelato.

Invece l’idealismo, e soprattutto lo hegelismo, come soluzione finale al problema del conoscere, costituisce la fine per la fede intesa come fondata sulla rivelazione, fatta da un Dio esterno, trascendente e creatore, e posta al di sopra della ragione, o al di fuori dell’analisi della ragione – perché, confutando non la conoscibilità, ma l’esistenza stessa della cosa in sé e affermando in altro senso, puramente razionale, la conoscibilità del divino, toglie il mondo come realtà esterna, e trasforma la religione, Dio, in qualcosa di molto lontano dal sentire comune della gente, dei fruitori della religione stessa. Invero, Hegel risolve tutto il Reale, Dio compreso, nel logos – onde il termine ‘panlogismo’. La Ragione, il logos, non indaga più l’altro da sé (la realtà esterna al pensiero, o Dio), di cui accerta l’illusorietà, ma sé stessa. Un pericolo, quello dell’idealismo, ben maggiore del positivismo, che si limita a rifiutare come non verificabile/falsificabile, quindi insignificante, il contenuto della fede. Ben maggiore perché confuta radicalmente la trascendenza, l’esistenza di un mondo, di una realtà, anche di un Dio, esterno al pensiero, alla Ragione – quindi gli stessi presupposti della fede, di qualsiasi fede, come credere (e non sapere).

 

IL PAPA: DIO SI MANIFESTA COME LOGOS, QUINDI LE FEDI CONVERGANO NEL LOGOS, PER POTER DIALOGARE

Il Papa si tiene lontano, dunque, dalle insidie dell’idealismo e del panlogismo, e (attenzione!) critica il loro estremo opposto, ossia quell’atteggiamento religioso che ritiene che Dio sia esente da qualsivoglia logica e regola, che possa quindi financo mentire e contraddirsi, fare qualsiasi cosa, anche quelle disumane, senza seguire una ragione, un logos, e che nessun logos possa, sia pur nei limiti dell’umano, spiegarlo. Dio come il totalmente diverso e imperscrutabile. Totale trascendenza, anzi oltranza, rispetto alla ragione umana. Il Papa osserva che il Dio del Nuovo Testamento è un Dio essenziato di ragione, di logos, di logos ellenico – è nell’Ellade che nasce la civiltà del logos, assieme alla filosofia. Filosofia greca e rivelazione si unificano nell’evangelo. “In principio era il logos”, esordisce l’evangelo di Giovanni, “e senza il logos niente fu creato di ciò che esiste”. La parola greca ‘logos’ viene resa col vocabolo latino ‘verbum’ e con l’italiano ‘verbo’, e con ciò va perduto il significato specifico del termine ‘logos’, che significa, sì, ‘parola’, ma anche ‘ragione’, ‘rapporto’, ‘proporzione’. Se Giovanni avesse inteso ‘parola’ nel senso di verbum e non di logos, avrebbe usato il vocabolo ‘hepos’. L’uomo, condividendo (in qualche misura) il logos con Dio, gli è analogo (seppur inferiore), e può capirlo (sebbene in piccola misura) per analogia.

Ciò premesso, Benedetto XVI analizza il percorso di ‘disellenizzazione’ del Cristianesimo attraverso i secoli, ossia un suo perdere, gradualmente, la sua concezione basata sul logos (la metafisica razionale) alla maniera di Tommaso e (aggiunge il Papa, impropriamente) di Agostino, per approdare, segnatamente nello scisma protestante, a una concezione di Dio in cui Dio è sciolto da qualsiasi ratio, completamente ‘libero’ nelle sue scelte, un “Willkür-Gott” (Dio di arbitrio), non legato nemmeno al criterio del bene e a quello della verità, non legato a una ratio nel concedere o negare la grazia a questo o quell’uomo. Un Dio non indagabile, non conoscibile con la ragione. Sostanzialmente, un Dio opposto a quello di Hegel, che si attua come Ragione; e simile a quello di Mohammad (in effetti, il logos è proprio del pensiero greco, e non fa parte della cultura espressa dal Corano). Un Dio che non è e non agisce “con logos”. E i cui seguaci, quindi, non agiscono secondo il logos. Perciò possono fare cose contro il logos.

Il logos, nel Cristianesimo autentico, costituisce (sia pur nella debita proporzione) l’analogia, il linguaggio comune di comprensione e comunione tra uomo e Dio, e  garanzia che la fede in Dio non porti a compiere atti contro il senso di umanità. Anche l’anima, la psyché, dell’uomo, è essenziata di logos: logikè psyché, anima razionale, e per questo può intendersi con Dio. Inoltre, un Dio e un’anima razionali sono anche psicologicamente integrati, coerenti, ossia non suscettibili di quegli alternantisi estremi contraddittori di misericordia e vendicatività, di pacificità e bellicosità, che caratterizzano il dio del Corano ma anche quello dell’Antico Testamento.

Con ciò, appare la vera collocazione, il vero senso della citazione di Manuele II, il quale, appunto, esecra Mohammad perché prescrive di convertire mediante la violenza e non mediante il logos, la dialexis. Invero, il logos è anche il veicolo di peithos, ossia del persuadere, del convertire per convinzione interiore e non per imposizione esteriore – quale opera, invece, la ‘spada’. E’ questo il senso del discorso di Manuele II citato dal Papa, il quale, dopo la frase ‚incriminata’, spiega „perché la diffusione della fede mediante la violenza sia un controsenso, stando in contraddizione coll’essenza di Dio e con l’essenza dell’anima: «Dio non ha alcun gusto per il sangue» dice «e l’agire difformemente dalla ragione, ossia senza logos, è contrario all’essenza di Dio. … … per persuadere un’anima razionale, non serve la forza, non servono strumenti di offesa o altro mezzo con cui minacciare di morte.»”

Questa è l’essenza e il fine del discorso di Benedetto XVI: un invito ad adottare tutti, cristiani e mussulmani, un concetto razionale di Dio, recuperare il logos come strumento di comprensione, dialogo, condivisione. E di garanzia contro la violenza e le atrocità. In soldoni: se i mussulmani accettano di codificare il loro dio secondo un logos condiviso con noi, di coerenza, ragionevolezza, non violenza, etc., allora accettano di rinunciare ad agire in suo nome in modo contrario a questo logos condiviso, e diventano meno pericolosi per noi.

 

CATTOLICI, PROTESTANTI E ISLAMICI: DIVERSITA’ STRUTTURALI

Ma va qui osservato che il principio del logos e del Dio-ragione fa parte del cristianesimo grazie al Nuovo Testamento, però è estraneo sia al Corano, che all’Antico Testamento. Il Cristianesimo è profondamente greco e qualitativamente lontano al Dio dell’Antico Testamento, molto più di quanto si immagini. I mussulmani possono quindi, oggettivamente, sentirsi urtati (quelli che capiscano le parole del Papa) da un invito a indagare e conoscere Allà mediante il logos, perché essi sentono il loro dio come insondabile. Possono sentirsi urtati dall’invito ad applicare la ratio ai suoi atti e ai suoi precetti, perché essa mostrerebbe che essi sono spesso contraddittori – infatti, il Corano in alcune sure afferma il principio che la fede non si possa imporre, mentre in altre (scritte successivamente, quando le gli obiettivi politici di Maometto erano di combattere e conquistare), prescrive il jihâd, la guerra sacra per imporre l’Islam. Il Corano rischierebbe di apparire come dettato non da un dio eterno e trascendente, ma da mondani fini della politica. Del resto, anche l’Antico Testamento (il Pentateuco soprattutto) abbonda di crudeli precetti di guerra, violenza e intolleranza (soprattutto verso gli infedeli e gli ebrei che violano la Legge o che adorino altri dei) del tutto incompatibili con la sensibilità etica del cristiano. Come abbonda di contraddizioni nella personalità e nel profilo di Jahvé, ora mite e amorevole, ora duro e spietato. E la contraddittorietà è, appunto, l’assenza del logos. Il Papa, attraverso un’ardita esegesi, contro ogni evidenza, ha sostenuto il contrario, ma il logos e la coerenza della personalità divina nella mitezza e nel perdono sono estranei all’Antico Testamento mentre sono peculiari del cristianesimo grazie alla sua matrice ellenistica permeante il Nuovo Testamento.

L’invito di Papa Ratzinger all’adozione del principio del logos, a convergere nel dialogo sul terreno del logos comune, rivolto chiaramente ai mussulmani ma pure ai protestanti (soprattutto, credo, ai teocons e ai falchi anglosassoni di Washington), non aveva quindi molte chances di essere apprezzato o anche solo accettato o compreso dall’Islam. Persino i protestanti hanno dimostrato di non averlo gradito: infatti si sono ben guardati dal prendere le difese del Papa minacciato e bistrattato dalle genti islamiche. In effetti, è possibile che si siano ritenuti insultati da Benedetto XVI, che li ha accostati ai mussulmani in quanto al fatto che entrambi concepiscono un Dio senza logos. Notoriamente i protestanti, infatti, danno più importanza al Vecchio Testamento che al Nuovo, e nutrono un sentimento di Dio meno legato al logos, meno elaborato dalla filosofia. E, all’opposto dell’eretico Pelagio, che sosteneva la capacità di autosalvazione dell’uomo, credono che la salvazione dipenda non dalle opere o dal merito dell’uomo, ma dall’insondabile libero arbitrio di Dio. Non esiste, secondo loro, un logos, un criterio, quindi, per guidarci verso la redenzione. Esiste solo la nuda fede: l’uomo è irrimediabilmente peccatore e si salva “durch den Glauben allein”, come diceva Martin Lutero. Quindi effettivamente i protestanti hanno certe affinità coi mussulmani, in questo; ma è probabile che non gradiscano accorgersene.

Si noti come l’inconveniente logico di ogni Dio che non agisca secondo un criterio logicamente riconoscibile, è che il suo agire non è distinguibile dal mero caso, anzi non si distinguerebbe dalla stessa assenza di un dio. Equivarrebbe ad essa. Come si potrebbe mai riconoscere l’esistenza di un dio che non regoli il divenire secondo regole almeno in parte comprensibili?

 

Dopo essersi così rivolto al mondo islamico e a quello protestante, il Pontefice si rivolge al pensiero scientifico, rilevando che il modello invalso di accertamento e ‘verità’ scientifici, basato su matematica ed empirismo sperimentale, e confermato dai successi della tecnica, non è metodologicamente idoneo a trattare le grandi domande esistenziali dell’uomo: origine e scopo dell’esistenza, bene e male, esistenza dello spirito e di Dio. Questi quesiti sono, per la scienza contemporanea, prescientifici o extrascientifici, perché le proposizioni che li definiscono e li trattano non sono verificabili né falsificabili (non sono sperimentalmente accertabili), quindi non hanno senso. Sono fantasie, mythos, non logos. Perciò, l’uomo è sospinto a cercare le risposte nella propria soggettività individuale, nella propria esperienza personale. Da qui il soggettivismo e il relativismo etici, valoriali, teologici, la coscienza morale individuale come unica istanza etica rimasta, e la conseguente impotenza dell’etica di costruire strutture sociali, strutture intersoggettive.

 

LA PROPOSTA DEL PAPA ALL’ISLAM

Per uscire da questa impasse, il Papa esorta a un nuovo rapporto tra fede-teologia da una parte, e scienza-ragione dall’altra – una ragione “allargata”, anzi ripristinata nella sua propria capacità, capacità anche di rispondere col logos (ovviamente non col logos idealista, con la ragione di Hegel, che continuano a non essere nominati!) alle domande metafisiche, quelle su Dio, sul senso della vita, sul bene e sul male, etc. Questa ragione, secondo il Papa, sarebbe linguaggio universale, tale da consentire il dialogo tre le fedi. Mentre a ciò non sono idonee, per difetto di ‘portata’, la scienza positivista né la filosofia criticista e quella analitica, in quanto in esse la ragione si “autolimiterebbe”.

La scienza – giustamente ricorda il Papa – è essa stessa affetta da un presupposto indimostrato, ossia “deve necessariamente assumere come mero dato di fatto, su cui poggia il suo metodo, la struttura razionale della materia così come la corrispondenza tra la mente e le strutture razionali vigenti nella realtà esterna. Ma la domanda del perché sia così, permane, e deve essere girata dalle scienze naturali ad altri piani e modi del pensiero: alla filosofia e alla teologia.” Una filosofia che “superi” quelle che il Pontefice chiama le ‘limitazioni autoimposte’ del criticismo e del positivismo, ossia, che rilegittimi il razionalismo metafisico, che essenzialmente consiste nel (tentativo di) costruire inferenzialmente con la ragione le (supposte) realtà, verità, enti che non appaiono, che starebbero oltre l’orizzonte fenomenico.

E per la filosofia e la teologia le grandi esperienze ed intuizioni delle tradizioni religiose dell’umanità, soprattutto quella cristiana, costituiscono una fonte di conoscenza preziosa, di cui non si devono privare. Il Papa chiude invitando al dialogo “i nostri interlocutori” in questo grande logos, in questa ragione allargata dal coraggio della propria grandezza ed ispirata alle varie fonti delle tradizioni spirituali.

 

Il Papa, quindi, ben lungi dal voler attaccare Maometto, pare proporre all‘Islam (e al protestantesimo) una sorta di alleanza contro il prevalere del metodo scientifico (scotomizzando l‘idealismo e travisando il criticismo, arbitrariamente definito come ragione che limita sé stessa, mentre esso è ragione che accerta i propri limiti reali), per ripristinare il prestigio di una comune metafisica di tipo prekantiano, questa ragione „allargata“, che assuma, accreditandosi come scienza grazie alla sollecitata collaborazione dell‘Università, la gestione delle tematiche esistenziali.

Tale proposta non ha molte speranze di essere apprezzata dal mondo filosofico non cattolicamente inquadrato, perché essa propone il ritorno a ciò che è dalla filosofia già riconosciuto e liquidato come contraddittorio e impossibile (ossia la metafisica di tipo prekantiano), per fondare una ‚scienza‘ delle cose in sè. Il Papa propone quindi, chiaramente, una forzatura, una distorsione e una strumentalizzazione estreme della filosofia, per adattarla alla sua proposta di alleanza religiosa all’Islam. Propone un sacrificio della filosofia occidentale moderna all’Islam.

 

 

PERCHE’ L’ISLAM NON POTEVA ACCETTARE, E PERCHE’ E’ MEGLIO COSI’

Non credo, non sembra, che i mussulmani abbiano compreso questa sofisticata profferta di alleanza. In ogni caso, non l’hanno gradita affatto e si sono risentiti. Meglio così, meglio che non si siano alleati. Papa Ratzinger è molto dotto e intelligente, ma forse il suo orizzonte è rimasto più accademico che politico e pratico. Egli, nel concepire la sua proposta suddetta, forse non ha tenuto presenti alcuni dati:

-Innanzitutto, che la fede ha come base la rinuncia al logos, o il non porre il logos, come principio primo della conoscenza, dell’acquisizione della verità; mentre essa usa il logos per i passaggi successivi, ossia per l’elaborazione della rivelazione: infatti, si diventa credenti per fede (derivante perlopiù dall’imprinting ambientale durante l’infanzia), non per dimostrazione logica dell’esistenza di un Dio e delle sue proprietà, volontà, etc. – una spiritualità ultimamente basata sul logos, sulla ragione, sarebbe non più una fede, ma una spiritualità razionale, panlogista, di tipo hegeliano. Nessuno ha mai provato l’esistenza di un dio e dei suoi attribuiti, voleri, etc. Il resto dell’edificio di ciò che si crede può essere edificato con la ragione, ma poggerà sempre su una premessa non razionale, non provata, posta come ‘rivelazione’. Quindi il logos dimostrativo della fede è sempre un logos limitato e viziato. Il logos che la fede, le religioni, principalmente adoperano, è un logos non dimostrativo, ma persuasivo: logos non come ratio, ma come verbum, ossia il ragionamento che non ha come scopo il provare oggettivamente Dio, le sue qualità, le sue volontà; ma il persuadere soggettivamente le persone ad accettare il credo, compiendo quell’atto, non razionale, di fede. Il successo di una religione è il vigore della sua propagazione e della sua penetrazione nelle persone. Il logos della fede non è quello dei filosofi o degli scienziati, neutrale rispetto all’impatto psicologico ed emotivo sul prossimo; ma quello dei venditori e dei sofisti, finalizzato a indurre gli altri a modificare il loro atteggiamento e comportamento. E le religioni equivocano sempre tra questi due concetti e usi del logos: di fatto, in actu exercito, usano un logos persuasivo, psicologico (rivolto a persuadere, a ottenere il risultato di convertire, più che a produrre costruzioni teoriche coerenti e dimostrate), mentre dichiaratamente, in actu signato, lo presentano come logos oggettivo, dimostrativo, come ragione. Anche le parole di Manuele II mostrano questa equivocazione, questa oscillazione semantica: da un lato egli si riferisce al logos di Dio (che è il logos puro, oggettivo, la ragione), ma dall’altro rimprovera all’Islam di voler convertire con la violenza anziché col logos (che qui è invece il logos persuasivo, oggettivo, della propaganda). Il logos persuasivo, in effetti, è preferibile alla spada, perché esso, per funzionare, ha necessità di agganciarsi alla sensibilità e ai valori delle genti cui si rivolge, di rispettarli almeno in parte e formalmente; quindi è una buona, sia pur non totale, garanzia contro la violenza e le atrocità.

-In secondo luogo, al Papa forse è sfuggito che il logos, anche inteso non come logos dimostrativo ma come logos persuasivo, deve fare i conti col fatto che la fede nasce da, e risponde a, bisogni emotivi, viscerali, non filosofici, dialettici, teorici: non è sul piano teorico che si può guidare alla convergenza fedi tra di loro dissonanti o che si può togliere la spada, la tendenza alla violenza, a una fede che abbia nella spada la sua efficacia psicologica; la stessa proposta di rinunciare alla spada suona come una minaccia, ai fautori di quella fede. Con essa, il Papa ha persino ottenuto l’indesiderato effetto di compattare tra di loro i due grandi rami dell’Islam, sanniti e sciiti, che di solito si odiano e si combattono, se non dispongono di un nemico esterno ‘infedele’. In piccolo, il medesimo errore che ha fatto il presidente Bush.

-In terzo luogo, che il successo, il fascino dell’Islam, di un Dio come quello del Corano, specificamente sulle masse, sulle masse povere e risentite verso le nazioni ricche, sta proprio nel suo manicheismo (da una parte i fedeli e il bene, dall’altra gli infedeli, la ricchezza e il male), nella sua semplicità e assolutezza non elaborata dei suoi valori, dei suoi precetti, della sua pratica, delle sue ‘certezze’, dei suoi martirii bombaroli, non relativizzate dall’apertura all’analisi razionale, all’interpretazione filosofica, alla ricerca interiore, che ritardano l’azione, sviluppano l’empatia e problematizzano i dogmi. La stessa proposta di convergere su quell’apertura, di nuovo, suona ai fondamentalisti come un invito alla resa e alla rinuncia alla fede. Il pensiero islamico, inoltre, non è interessato né attrezzato al dialogo speculativo, non è esercitato al logos, non ha una multisecolare tradizione di elaborazione filosofica analoga a quella occidentale, mentre la sua teologia è assai elementare e ha carattere essenzialmente esplicativo.

-In quarto luogo, e soprattutto, il Papa forse non ha tenuto conto che il fanatismo, l’irrazionalità, il dare la colpa di tutto agli infedeli (soprattutto al Grande Satana, ossia gli USA, e al Piccolo Satana, ossia Israele), sono una utile e irrinunciabile fonte di potenza politica e militare per molti leaders islamici; quindi è ovvio che questi reagiscano male ad inviti alla pace e alla ragione come quello formulato dal Papa. Essi rifiutano il dialogo tra le religioni non per fanatismo, ma perché questo è contrario ai loro interessi. Guai se i loro seguaci si aprissero a considerarsi interlocutori su un piano comune ai diversamente credenti o ai non credenti. Diverrebbero molto meno manovrabili.

 Queste le ragioni per cui tale proposta non poteva essere accettata dal mondo islamico. Ed è un bene che non sia stata accettata, perché essa è un invito all‘equivoco tra logos dimostrativo-oggettivo, da una parte; e logos persuasivo, propagandistico, sofistico, dall’altra; come pure al travisamento e alla censura delle più alte espressioni e conquiste del pensiero razionale occidentale. Papa Ratzinger era pronto ad offrirle in sacrificio sull‘altare di una sperata alleanza, o inciucio, con l‘Islam. Il rifiuto sprezzante e aggressivo da parte dell‘Islam sia di ammonimento a tutti di non tentare in futuro altre simili alleanze contro natura e contro la ricerca della verità. E convinca il Papa professore, che il problema del fondamentalismo non si risolve col maquillage, e che ciò che egli era pronto a sacrificare vale infinitamente di più di ciò che cercava di comperare.

L’APOCALISSI DELL’ETERNO

 

1.                 L’Eterno prese Marco, lo condusse seco nei luoghi deserti, fece un grande silenzio delle voci del vento, degli uomini e degli animali della terra e del cielo;

2.                 e ciò fatto mostrò a Marco la successione delle generazioni dispiegandola dinnanzi a lui come un oceano di onde, dal giorno presente indietro nei secoli; indi parlò a Marco così:

3.                 «Scrivi ordunque come io ti dico, affinché le genti sappiano; giacché come io ho dato loro gli occhi per vedere, così ho anche dato loro la memoria per ricordare, e il discernimento per distinguere l’inganno.

4.                 Molti falsi profeti sono venuti, e seguitano a venire; molti hanno parlato e continuano a parlare nel mio nome, preannunciando catastrofi, rivolgimenti e apocalissi delle terre e dei mari, delle genti e dei regni.

5.                 Essi parlano di fuoco dai cieli e di sangue dai fiumi, di notte nel dì, di sole nero come pece, e stelle che cadono dal cielo in notti senza ombre, di ogni sorta di rovina e di persecuzione, di draghi e di bestie terrifiche; alcuni hanno anche predetto la fine del mondo; e, in nome di queste cose, vi inducono a seguirli sulla loro strada.

6.                 E voi chiamate questi uomini profeti, maestri, sapienti; e chiamate voi stessi loro discepoli, prestate loro fede e donate loro i vostri averi, vestite le vesti che essi vi danno e pagate per ascoltare le loro parole, andando per le strade che essi indicano a voi, non per quelle che io vi ho insegnate.

7.                 Ma prima di far tutto ciò e di tenerli in conto di guide spirituali, vi siete forse chiesti quante catastrofi si sono avverate, quante  apocalissi, quanti rivolgimenti del mondo, di tutte quelle che costoro vanno così predicando e predicendo?

8.                 No, non ve lo siete chiesti. Eppure io vi ho dato occhi per vedere e una lingua per chiedere e una memoria per ricordare, e il discernimento per distinguere l’inganno. Io sono l’Eterno.

9.                 Se aveste fatto uso del senno che vi ho dato, simile al mio, e della memoria che vi ho data, avreste riso di questi profeti, e ridereste ancora, e li paghereste affinché vi facciano ridere, non affinché vi facciano guida verso me e verso la verità e verso la salvezza, che essi non conoscono, e direste loro:

10.              “Ecco, o voi mentitori, o voi folli, o voi ingannatori e avidi di danari mal guadagnati, guardate, da mille e mille anni voi e altri come voi, venuti prima di voi, andate preannunciando cataclismi che non si inverano, apocalissi che non avvengono, catastrofi che nessuno vede mai, e financo la fine del mondo; ma, da quando l’uomo, creato dall’Eterno, scrive gli annali della sua storia, niente di ciò che andate predicendo si è mai avverato.”.

11.             Ma voi non parlate loro così, voi preferite credere alle loro storie e vane visioni, e tenerli in conto di vostri maestri, mentre io vi ho dato occhi e senno per vedere la loro frode e la loro follia, o pecore sciocche. Io sono l’Eterno.

12.             Quanti di loro parlano per frodarvi dei danari vostri e per farvi lavorare per loro senza mercede, e lasciare loro beni in testamento,  tutti quelli dovreste portarli davanti ai giudici, e invocare il loro giudizio, dicendo:

13.              “Ecco, giudici, rendete giustizia su questi truffatori, che falsamente parlano nel nome dell’Eterno, che approfittano dei semplici di spirito, che si fanno forti del tremore dei deboli e dei creduli, del tremore che essi suscitano nei vecchi e nelle donnette, negli stolti e nei fanciulli e nei malati, con le loro parole di minaccia e di punizioni celesti e di preannunciate catastrofi che mai si avverano!

14.             Ciò fanno con frode, per carpire i loro danari e il loro lavoro senza mercede, in cambio di vane promesse, minacce e lusinghe.”

15.              E i giudici li puniranno secondo giustizia e nel timor di Dio, dell’Eterno, perché solo l’Eterno dei Cieli annuncia con diritto punizioni celesti; guai all’empio che si arroga di farlo in nome suo!

16.             Quanti di loro invece parlano di apocalissi credendo nelle loro proprie parole, quelli dovreste portarli nei luoghi dove si rinchiudono i matti, dicendo loro:

17.             “Ecco, saremo misericordiosi con voi, state qui dentro e fate curare la testa vostra; vi asterrete dalle sostanze che vi confondono e agitano il senno, così come vi asterrete dalle privazioni e dalle violenze contro natura verso la carne vostra, in cui l’Eterno vi pose, affinché i sensi vostri non siano parimenti turbati”;

18.             Ciò dovreste fare acciocché costoro non nuocciano a sé né a voi a cagione delle loro convinzioni deliranti.

19.             In verità vi dico, che ogni moneta che donerete loro e ogni ora che per loro lavorerete, nel mio giudizio vi sarà addebitata con gli interessi composti; perché io sono l’Eterno, l’Iddio dell’anatocismo.

20.             Qualcuno di voi insorgerà contro di me, dicendo: “Signore, il figlio tuo ci ha predetto grandi rivolgimenti e tribolazioni, e ha aggiunto “guai alle donne incinte”; non dovremmo credere al figlio tuo? Non è egli il nostro Maestro, il rabbi che tu stesso ci hai mandato acciocché ci menasse a te?”

21.             O popolo di poco acume, non avete letto laddove è scritto “il Verbo si è fatto carne”? Non avete letto che il figlio mio si è fatto vero uomo in vera carne, per dare a voi tutti la potestà di dirvi figli di Dio, e per dare alla carne dell’uomo la risurrezione dello spirito?

22.             E come avrebbe potuto condividere e amare, conoscere e redimere, la carne vostra e la umanità vostra, senza condividere e accettare in sé anche la fallacia e follia che fa parte di esse e di voi?

23.             Sì, egli prese su di sé la follia vostra e la fallacia vostra ancor prima di prendere su di sé la sua croce; e solo io, l’Eterno, conosco quale delle due fu per lui l’onere maggiore, e quale delle due lo piegò di più e per prima sotto il proprio peso.

24.             E quell’onere fu anche mio, perché il figlio mio è uno con me; e attraverso di lui io conobbi il peso della croce e la trafittura dei chiodi nella carne dell’uomo.

25.             No, non dovete credere tutto ciò che egli disse né a tutto ciò che egli credette, poiché egli fu uomo, come gli uomini fallace e talora persino folle. Io vi dico che il calice che dovette bere nella veglia prima della sua passione era l’amaro calice del risveglio e della verità.

26.             Io lasciai che conoscesse il dolore e la paura, l’inganno e la morte, l’oblio di sé stesso e di me.

27.             Io gli inviai il calice affinché prima di morire si ricordasse di essere dio, e si svegliasse dalla follia dell’essere uomo, e della paura di perdere il corpo. E la bevanda gli fu amara, perché dolce è la follia della carne.

28.             No, non dovete credere tutto ciò che egli disse né tutto ciò che egli credette, poiché i fatti hanno smentito la sua predizione.

29.             Infatti, di ciò che egli preannunziò, nulla si è avverato; eppure vi aveva detto che tutto ciò che prediceva si sarebbe avverato prima che fosse passata una generazione.

30.             Povero figlio mio, che conobbe nello spirito la fallacia della carne vostra! E poveri voi, che siete chiamati a svegliarvi dalla fallacia della carne così come egli si dovette svegliare da essa, ma senza essere voi dio, come egli invece era!

31.             Nulla si è avverato di quanto il figlio mio aveva predetto, nel termine che egli stesso aveva prefisso;  eppure ancora voi credete nelle sue parole piuttosto che nelle mie.

32.             O forse è egli mai ritornato nella gloria e nei cieli al mio fianco? O si è mai avverata la grande tribolazione e la catastrofe che egli aveva date per certe e imminenti, destinate ad avvenire entro la generazione corrente?

33.             Ma guardate orsù intorno a voi, e dietro di voi, nei secoli che sono trascorsi da quando egli se ne è andato: niente ha confuso la notte col giorno, l’acqua col fuoco, le terre coi mari; il mondo rimane solido al suo posto come sempre è stato, come io lo feci, come io lo volli, non come lo vogliono i profeti della falsità.

34.             O forse insorgerete contro di me, e mi direte che il mondo in questi giorni è ritornato nel caos come era prima della mia creazione? E sosterrete che io abbia creato invano, e che la creazione dell’Eterno sia stata rovesciata dall’uomo?

35.             E seguiterete a riverire i falsi maestri che vi insegnano il contrario di ciò che vi mostrano gli occhi che io, l’Eterno, vi ho dato?

36.             Guarda, o Marco, dinnanzi a te: una lunga sequenza di secoli di ordine delle cose io vi ho data, in cui nulla di tutto ciò è successo, nulla di quanto vi predissero i falsi profeti e il mio stesso figlio, reso fallace dalla carne vostra.

37.             Una lunga sequenza di secoli in cui il dì e la notte si succedono con ordine, e le acque restano separate dalle terre, e la terra fruttifica ogni anno secondo la natura delle piante, e le donne partoriscono come sempre;

38.             e così secondo natura avvennero i terremoti, le eruzioni e diluvi, pure il diluvio che voi attribuite alla mia ira, e dopo il quale la vita riprese come prima, come pure dopo altri diluvi.

39.             La verità sta davanti agli occhi che io, l’Eterno, vi ho dati: il mondo che io ho creato si corrompe molto lentamente, secolo dopo secolo, così come molto lentamente si corrompe il corpo dell’uomo che invecchia, anno dopo anno.

40.             O genti di poco senno, quanti altri secoli dovranno consumarsi, prima che capiate che io, l’Eterno, non ho alcuna ragione di stravolgere il mondo della mia creazione?

41.             Che io, il Signore dell’universo, preservo le terre, e non lo distruggo?

42.             Che la vera distruzione, la vera tribolazione, la vera catastrofe non è quella del mondo fuori di voi, ma del corpo vostro, che invecchia, si ammala e muore?

43.             Che non vi è luogo né strada sulle terre o nei cieli dove possiate correre per sottrarvi a questa catastrofe, alla vera catastrofe, che continuamente avviene attorno a voi, e che voi non volete riconoscere, mentre vi indaffarate tanto per le catastrofi che non avvengono e non avverranno, e credete ai loro falsi predicatori?

44.             Che i flagelli, i prodigi e i rivolgimenti che sono descritti nelle apocalissi non sono il futuro del mondo, ma il futuro di ogni nato di donna, il quale vivrà nel proprio animo tutte queste cose, mentre il suo animo si scioglierà dalla carne?

45.             Che la catastrofe che avviene è la morte vostra individuale; ed essa tanto vi angoscia, da apparire, nelle fantasie vostre, come un’incombente fine del mondo; e così invero essa apparve pure alla mente del figlio mio, quando alla carne di lui sovvenne il pensiero della propria morte; ed egli allora, ingannato, profetò parole di illusione.

46.             Quando capirete che il compito vostro non è rincorrere i falsi profeti in fuga da catastrofi che non avvengono, o in preghiere estenuanti e inutili per impedire disastri che io, l’Eterno, non voglio?

47.             Che il fine dell’uomo è risvegliarvi nello spirito prima che la catastrofe della carne, la morte corporale, ottenebri i suoi sensi e fermi la sua ascesa, e che non dovrebbe perder tempo in cose vane?

48.             O pecore matte, quanti altri secoli ci vorranno, prima che capiate che non dovete dar retta a chi vi grida: “Ecco, una calamità sta per colpire quel paese, accorrete e pregate per tre ore”, o “Ohimé, una peste mandata dal cielo ci minaccia, buttiamoci in terra e digiuniamo tutti affinché la peste sia scongiurata!” 

49.             Ché se poi qualche accidente capita, costui vi dirà: “E’ perché non avete pregato abbastanza!”; e se nulla capita, vi dirà: “E’ perché io vi ho insegnato come pregare!” Ogniqualvolta così udrete,  rammentatevi del Mentitore che tanto costò al progenitore vostro, Adamo!

50.             Costoro rubano il tempo vostro, gli averi vostri, le forze vostre, distogliendovi dal vero cammino vostro, che io vi ho insegnato e che ho preparato per voi, per il bene vostro; e ridono di voi alle spalle vostre contando i guadagni fatti. In nome mio, dite loro che vadano piuttosto a lavorare nelle cave di pietra.

51.             Eppoi, guardatevi ancora intorno, guardate indietro nei secoli, usate gli occhi della carne e quelli dello spirito, che io vi ho dati con pari amore, o popolo amante della cecità! Sì, invero non sono mancati i grandi rivolgimenti nella storia del mondo, ve lo concedo.

52.             Io, l’Eterno, ne menzionerò solo alcuni, affinché comprendiate; e voi, popolo mio, dalla durissima cervice, badate di non chiudere nuovamente gli occhi del cuore, affinché io non ve li tolga, come in origine ve li donai!

53.             Forse che non hanno cambiato la vita vostra le macchine che vi trasportano nei cieli, attraverso i mari e lungo le strade della terra? E quelle che vi mostrano le cose lontane come se fossero vicine? E quelle che vi fanno colloquiare con genti lontane come se fossero nella carne dinnanzi a voi? E quelle che pensano per voi, uomini dalla mente pigra?

54.             E le sostanze che vi proteggono dalle malattie prima che queste vi colpiscano, e quelle che vi mondano da esse se vi hanno colpiti? E’ tutto ciò, che ha portato i rivolgimenti nella vita vostra, nel mondo!

55.             O voi, confusi di senno, non intendete che voi stessi siete gli artefici dei rivolgimenti del mondo, con le invenzioni dello spirito vostro, delle arti delle mani vostre, nel bene e nel male? O vorreste esser tanto insani, da affermare che ve li abbia mandati io?

56.             Alcuni tra voi posseggono armi che possono distruggere la vita nel mondo: perché vi ostinate a credere che intenda distruggerla io, che l’ho creata?

57.             Pensate al microscopio, al telescopio, a tutte le creazioni dell’ingegno vostro cui tanto si opposero i falsi preti delle false chiese, i quali, attendendo le catastrofi annunciate dai falsi profeti, ostacolano la crescita dell’uomo e l’avverarsi delle vere trasformazioni, così nelle arti della materia come nel progresso dello spirito.

58.             Orsù, dunque, bando alla pigrizia del fatalismo e agli insegnamenti dei falsi maestri, e operate per la gioia e il risveglio dello spirito, che con me avete in comune, e che anela a proclamarvi a piena voce figli miei e a riunirsi a me. Vi amo, nonostante tutto. Mi sono infatti costituito responsabile per voi, creandovi. E come potrebbe essere altrimenti? Io sono l’Eterno.»

 

 

 

L’INCONSCIO DEI CRISTIANI

 

Siamo sicuri che il Cristianesimo non sia il frutto di un semplice malinteso? E quale dio adorano realmente i Cristiani? Un oscuro conflitto vive nell’inconscio della Fede…

 

Chiunque consideri un certo messaggio, un certo libro, come verità rivelata da dio, deve essere coerente e aderente al contenuto e alle prescrizioni di questa verità. Tale principio è basilare ed evidente. Il violarlo, equivarrebbe a contraddirsi e a negare la veridicità di dio. 

Ma, prima ancora di entrare nel merito di un messaggio e di una proposta, di una Legge, qualche che sia, è necessario chiedersi se quel messaggio, quella proposta, quella Legge, sia rivolta a noi, se noi possiamo considerarci suoi destinatari.

In questo senso, siamo sicuri che il messaggio che il messaggio, la Legge, dell’Antico e del Nuovo Testamento, sia rivolto a tutti?

E, in secondo luogo, quanto è compatibile con il contenuto esplicito di ciò che i Cristiani definiscono “Scrittura rivelata” con il contenuto esplicito dell’etica e del sentire morale dei Cristiani?

 

L’Antico Testamento, in modo esplicito e inequivocabile, si rivolge unicamente e selettivamente a Israel, il popolo eletto, esortandolo a dominare gli altri (Deut. 15,6, per esempio, insegna a praticare l’ imperialismo finanziario, nel senso che Jahvé prescrive al suo popolo eletto, Israel: “Tu presterai a interesse a molte nazioni, ma da nessuna prenderai a prestito; così dominerai molti e da nessuno sarai dominato.”) e a fare molte altre cose incompatibili con l’etica dei Cristiani e la dottrina morale della Chiesa Cattolica (come  talora il genocidio di alcuni popoli palestinesi, prescritto da Jahvé a Gideon) a danno dei non-Ebrei, dei gentili, e la distruzione dei templi dei loro dei, perché Jahvé si definisce “un dio geloso”. Un dio, però, anche imperscrutabile, imprevedibile e sfuggente alla ragione, come nel caso di Hiob, perseguitato e sfidato da Jahvé senza che avesse colpa. Un dio soggetto a forti mutamenti di umore, che costano molte vite e sofferenze.

Ma Jahvé è soprattutto un dio fortemente etnico. L’Alleanza stipulata tra Jahvé e Israel è, in modo professo, l’alleanza tra un dio e un popolo, contro tutti gli altri popoli e i loro dei: Jahvé esorta continuamente Israel a conquistare le terre di altre nazioni e a distruggere i loro templi. E lo minaccia di disperderlo tra le altre nazioni o di sottometterlo ad esse, se non obbedisce. Quindi l’Antico Testamento, come la figura di Jahvé, è, per sua struttura, riservato a Israel. Ossia, non può essere esteso a tutti i popoli, perché esso è strutturato nella contrapposizione tra Israel e gli altri popoli. La certezza assoluta di tale contrapposizione essenziale, di tale antitesi etnica, è data dalle minacce di Jahvé al suo popolo eletto, di disperderlo tra gli altri popoli o di lasciare che altre nazioni lo asserviscano.

Ovviamente, tutto questo discorso si basa sul contenuto del messaggio biblico, si muove all’interno di esso, e non implica che io affermi (o neghi) che quel messaggio venga da un dio anziché da esseri umani e dalle loro mire di potere e ricchezza – come, fino a prova contraria, è logico ritenere.

 

L’Antico Testamento, anzi la Torah, ossia i suoi primi cinque libri (Péntateuco), era la base culturale, religiosa ed etica condivisa dal popolo ebraico al tempo della predicazione di Jeshua, ossia Jeshua. E da nessun altro popolo.

Dato ciò, se Jeshua, il (supposto) Masiach (Messia) (“masiach” significa “unto”, come il greco “christòs” – l’unto di Jahvé, ossia il re di Israel) e Re dei Giudei, avesse inteso rivolgere la Lieta Novella a tutti i popoli e non, selettivamente, a Israel, lo avrebbe enunciato molto chiaramente e preliminarmente, perlomeno agli apostoli.  Avrebbe detto: “Attenzione! Io sono ebreo e voi siete ebrei, ma sia ben chiaro che questo mio messaggio ha come destinatari tutti gli uomini, indifferentemente, dato che tutti sono fratelli e a tutti è dato chiamarsi figli di Dio; Dio non vuole (più) che agiate contro gli altri popoli in suo nome.” Infatti, chi ha un messaggio importante, innanzitutto dichiara a chi il messaggio è destinato – a maggior ragione, se il contesto in cui predica può creare impressioni diverse a questo riguardo. Se un ebreo, discendente di David, in odore di essere il Masiach, parlando ad altri ebrei in una società ebraica imbevuta di Pentateuco, di una Rivelazione rivolta specificamente, espressamente ed esclusivamente ad Israel – se questo ebreo, pur dichiarando di voler continuare, confermare, completare, attuare la Legge Mosaica e la Scrittura esistente, vuole che la sua chiamata soterica sia rivolta a tutti i popoli, e non solo a Israel,  necessariamente lo dice tra le prime cose e molto esplicitamente – anche perché questa ecumenismo sarebbe forse la principale innovazione che egli apporta.

Al contrario, nelle parole di Jeshua, riferite dai testi ufficiali dei Quattro Evangeli riconosciuti, non troviamo affatto una tale chiara e diretta affermazione. Troviamo commenti marginali, forse interpolati, come quello del centurione, dove Jeshua dice: “Molti Ebrei non ricevono il mio messaggio (sebbene siano quelli che dovrebbero per natura riceverlo), mentre persino qualche gentile (sorprendentemente) lo riceve, ha fede. A questi gentili fidenti sarà dato in premio di riposare con Abramo e gli altri patriarchi (provocazione terribile per gli Ebrei, l’idea che un gentile dorma tra loro accanto ai patriarchi – ma al contempo riaffermazione che la Rivelazione e la salvazione, anche nel messaggio di Jeshua, sono squisitamente incentrate su Israel, non affatto ecumeniche!), mentre gli Ebrei riottosi alla Novella rischiano di essere gettati fuori, dove c’è stridor di denti.” Quando Jeshua vuole ‘scandalizzare’ i farisei, preferisce citare come esempi di persone buone e meritevoli di salvazione, a dispetto dello stereotipo negativo, il samaritano (ebreo), il publicano (ebreo), l’adultera (ebrea). Se avesse voluto dichiarare che era venuto anche per gli altri popoli, per tutti i popoli, avrebbe citato molti esempi di egiziani, greci, romani. E avrebbe avuto una rappresentanza di gentili tra i discepoli.

Sostanzialmente Jeshua formula una minaccia agli Ebrei che non gli accordano fede: “Ebrei, badate che, se non avrete fede (in me), non vi salverete, e magari al vostro posto si salveranno alcuni gentili.”

In ogni caso, ribadiamo, non vi è legittimazione scritturale a considerare l’Antico Testamento come avente destinatari fruitori diversi dagli Ebrei. Anzi, il testo stesso dell’Antico Testamento lo vieta, nel suo tenore esplicito. E come potrebbe, allora, considerarsi come destinato ai non-Ebrei il messaggio del Nuovo Testamento, che si basa, appunto, sull’Antico Testamento, e che si rifà al dio dell’Antico Testamento? Se Jeshua è il figlio o l’incarnazione del dio dell’Antico Testamento, come lo si può considerare il redentore anche dei non-Ebrei, senza contraddirsi?

 

Vi sono passi evangelici in cui i Cristiani vogliono ravvisare una chiamata a tutti i popoli, ma senza alcuna ragione. Così, ad es.,  Giovanni 4:21-26 :

 21 Jeshua le disse: Donna, credimi che l’ora viene, che voi non adorerete il Padre nè in questo monte, nè in Gerusalemme. 22 Voi adorate ciò che non conoscete; noi adoriamo ciò che noi conosciamo;
poichè la salute è dalla parte de’ Giudei. 23 Ma l’ora viene, e già al
presente è, che i veri adoratori adoreranno il Padre in ispirito e
verità; perciocchè anche il Padre domanda tali che l’adorino; 24 Iddio
è Spirito; perciò, conviene che coloro che l’adorano, l’adorino in
ispirito e verità. 25 La donna gli disse: Io so che il Messia, il
quale è chiamato Cristo, ha da venire; quando egli sarà venuto, ci
annunzierà ogni cosa. 26 Jeshua le disse: Io, che ti parlo, son desso.

Questo passo, oggettivamente, parla del COME adorare,
non di CHI adori…

Jeshua stesso chiarisce in modo esplicito che, perlomeno in questa sua incarnazione, è venuto specificamente per Israel:

“Ho ancora altre pecore, che non sono di questo ovile; anch’esse io
devo condurre ed ascolteranno la mia voce e diverranno un solo gregge
e un solo pastore” (Gv 10, 16).

Questo passo esprime chiaramente che Jeshua sta occupandosi di uno degli ovili, ossia di Israel. Esistono altri ovili, di cui pure si occuperà. Come, quando, con quale incarnazione e con quale messaggio, non lo dice. Ma chiaramente gli altri ovili riceveranno un intervento diverso, o perlomeno altro, da quello di questo ovile. L’intervento di Jeshua nella Palestina di 2000 anni fa non è diretto anche agli altri ovili.

 Il risultato degli altri e futuri interventi sarà che tutti si fonderanno, nel futuro, in un unico gregge. Per ora i greggi sono molti.

L’unico elemento di raccordo tra i non-ebrei, i gentili, e Jeshua-Jahvé è un paio di frasi che gli evangelisti attribuiscono a Jeshua risorto e apparso ai suoi discepoli nel cenacolo, nelle quali li esorta a predicare a tutti i popoli, a convertirli e a battezzarli, per la loro salvazione, estendendo ai gentili quanto aveva detto per gli Ebrei prima della sua morte. Poche parole, riferite dai soli evangelisti, i quali non avevano mai conosciuto Jeshua. Un raccordo, quindi, assai esile, troppo esile per sostenere la costruzione di una religione. Ma non solo esile. Non solo non provato, ma anche intrinsecamente inverosimile. E, se esso non regge, crolla l’intera costruzione del Cristianesimo dei gentili.

 

L’ecumenismo, il rivolgersi ad altri popoli, sembra al contempo: a)uno sviluppo tardo, successivo alla morte di Jeshua; b)uno sviluppo dovuto agli apostoli; c)un ripiego imposto dai fatti: poiché la mia/nostra Novella non è accolta da Israel, suo destinatario originario, rivolgetevi/rivolgiamoci ad altri auditorii o mercati; d)un restyling o reframing della Rivelazione per adattarla ai nuovi mercati – il mondo greco e romano, e poi germanico.

 

Infatti, è inverosimile e incongruo che Jeshua, se fosse venuto come portatore di un messaggio universale, per tutti i popoli, e non solo per Israel, non lo abbia mai fatto chiaro nei tre anni passati pubblicamente a predicare, a presentarsi, ad essere presentato, specificamente come Masiach, Re dei Giudei, discendente del re David (ad es., Mt 2,6), etc. etc.; e abbia aspettato di essere crocifisso, ucciso e resuscitato per dire, in privato agli apostoli, proprio mentre stava per ascendere in Cielo, che andassero ad evangelizzare e battezzare anche tutti i popoli (Matteo, 28, 19-20; Marco, 14, 15-16; 16, 15-16;  Luca, 24, 47-49), come se questa idea gli fosse venuta durante la sua discesa agli inferi.

Jeshua, a quanto si dice, qualche che sia stata la sua consistenza storica effettiva, si presentò come un profeta di Israel, sia pur speciale, di fatto predicando valori e una sensibilità molto diversi dalla Torah, dalla legge mosaica, ma dichiarando (all’evidente scopo di agganciarsi al sistema di convinzioni imperante in Palestina e di rendersi accetto e non farsi ammazzare – non dimentichiamo che il Deuteronomio prescrive la uccisione per l’ebreo che si rivolga ad  un altro dio o che infranga la legge mosaica, analogamente a ciò che prescrive l’Islam per il mussulmano che cambia religione!) di basarsi su di esse pur volendole perfezionare – non poteva fare diversamente, anche se il suo insegnamento era sostanzialmente contrario a molti punti della legge mosaica. Ossia, era costretto a presentare il proprio messaggio con un’etichetta non corrispondente al contenuto, per non essere condannato a morte.

Raccolse intorno a sé molti discepoli, tra cui un nucleo di dodici intimi che lo seguivano stabilmente. I suoi seguaci speravano in lui come figlio di Dio, Masiach, Re di Israel secondo il lignaggio di David, venuto a riportare Israel alla vittoria e alla gloria. Jeshua si mise in contrasto con gli interessi economici e di potere della chiesa israelitica, scacciando i mercanti dal tempio e condannando l’avarizia. Accusato dai sacerdoti presso il governatore romano di blasfemia e di spacciarsi per Re degli Ebrei, fu ucciso col metodo applicato dall’autorità romana ai sovversivi (crocifissione), non con quello della legge mosaica (lapidazione). I suoi discepoli si ritrovarono senza la loro guida, che era anche la loro fonte di reddito, disoccupati, minacciati di persecuzione, abbandonati dalla gente che fino a pochi giorni prima aveva osannato l’ingresso del loro Maestro in città. In questo stato, connotato da scoramento e perdita di fede (come gli Evangeli stessi riferiscono), essi ‘videro’ Jeshua risorto, che li confortò, li istruì ulteriormente, e prescrisse loro di andare a predicare agli altri popoli; indi, sparì in Cielo. Troppo tardi, per essere credibile!

La vicenda è spiegabile, psicologicamente, come altri casi simili, in cui una setta, quando l’evento costituente il nucleo della sua predicazione non si avvera, o quando la realtà lo smentisce in modo oggettivo, non si scioglie, non prende atto della sua fallacia, ma ristruttura la sua ‘rivelazione’ e la sua missione, per poter sopravvivere e conservare quel nucleo di fede, da cui dipendente, per i suoi componenti, l’autostima, il senso del valore della propria esistenza, la propria identità, la coesione stessa del gruppo. E si mette a predicare e convertire con rinnovata alacrità.

Lo stesso fatto che l’esortazione alla predicazione ecumenica compaia solo dopo la morte e l’asserita resurrezione, e che venga fatta in privato ai discepoli, non in pubblico, davanti a molti testimoni, come sarebbe stato logico, fa ritenere che la stessa riapparizione di Jeshua dopo la sua morte sia stata aggiunta agli evangeli al fine specifico di legittimare gli apostoli a cambiare il loro target di predicazione, rivolgendosi ai gentili, ai quali Jeshua non si era rivolto. E proprio per questo, per il fatto che Jeshua non aveva predicato se non agli Ebrei, era necessario farlo resuscitare: affinché venisse a legittimare il cambio di destinatario del messaggio. Ma non si poteva farlo apparire in pubblico, dopo morto, perché la sua resurrezione non era, evidentemente, abbastanza oggettiva, o reale. Così, si scrisse che egli apparve e parlò solamente a pochi ‘amici’, la cui testimonianza, anche sul supposto incarico di evangelizzare tutti i popoli, a questo punto, non può essere molto convincente. E lo è ancora meno se si tiene conto di un dato di fatto pesantissimo, del quale si preferisce non parlare, ossia che vi sono finali di Evangeli, per Matteo e Marco, che non parlano affatto di tale incarico.

Sostanzialmente, è abbastanza chiaro che i discepoli, per superare il trauma e il fallimento dell’uccisione del loro Maestro, fino a poco prima osannato dagli Ebrei, si siano inventati, o allucinati, la sua risurrezione, la sua apparizione molto privata, il suo nuovo incarico di predicare a tutti i popoli, e la sua frettolosa ascensione in cielo.

Peraltro, grazie a questa allucinazione compensatoria, o innocente frode, dei discepoli, avviene qualcosa di molto costruttivo, evolutivo: i discepoli, ora apostoli, proprio attraverso il trauma della perdita del Maestro, ricevono i carismi dello Spirito Santo: si desta in loro il divino immanente, iniziano a compiere miracoli essi stessi – il miracolo inizia a venire dall’interno dell’uomo, dal suo spirito, non più da un dio esterno, incarnato o non. Essi ascendono dalla religiosità scritturale, legalistica, dogmatica dell’exoterismo ebraico, a una religiosità spirituale, mistica, esperienziale. Superano sia il dio trascendente, imperscrutabile e oltrante dell’Antico Testamento (analogo ad Allà, tranne che è etnico), che il logos fatto uomo, ma sempre esterno ai singoli uomini, ossia Joshua.

 

 

In conclusione, è contraddittorio da parte dei gentili assumere e usare come Rivelazione e Testamento un testo che esplicitamente si rivolge a una categoria di destinatari specifica e diversa da loro; è contraddittorio, cioè, per i gentili, considerare un testo come interamente rivelato e veritativo, ma non tener conto di quel suo contenuto dichiarativo, che esclude loro come destinatari.

I Cristiani, riconoscendo di essersi appropriati indebitamente di Rivelazioni non rivolte a loro, restano quindi senza Scritture, senza Rivelazione. Amenoché non si rifacciano ai messaggi dei mistici, al contatto personale diretto mistico col Divino e liberi di cercare altre vie e altri Maestri, se desiderano. Il che sarebbe pienamente conforme agli insegnamenti di Jeshua risorto. Infatti, dopo la resurrezione, l’insegnamento di Jeshua fa un palese salto di qualità: staccandosi dall’attaccamento univoco al popolo Ebraico, quindi esce dall’alleanza razziale e razzista Jahvé-Israel contro tutti gli altri dei e tutti gli altri popoli, che è un carattere essenziale ed esplicito dell’Antico Testamento, e finalmente si rivolge come redentore a tutti gli uomini di tutte le genti. E nel faro ciò, egli invita gli apostoli a predicare ai popoli e ad invocare lo Spirito Santo e i suoi doni, la sua illuminazione (già gli apostoli parlano in lingue), la sua ispirazione, è un aprirsi alla spiritualità autentica, che è universale rispetto ai popoli e alle terre, e superiore al tempo e alle contingenze, ai nomi, alle etichette, alle ortodossie codificate.

 

Ma i Cristiani non arrivano a quel riconoscimento, perché, nella loro vita, dapprima, nell’infanzia, imparano a credere Dio Padre e Jeshua come il loro dio e il loro redentore, e l’Antico Testamento, nonché il Nuovo, come il loro libro sacro. Così che poi, quando incominciano a leggerli (e nel complesso ne leggono poche pagine, soprattutto dell’Antico Testamento, e soprattutto delle parti in cui maggiormente quel testo si dichiara diretto al solo Israel), partono dal preconcetto che quel Dio sia il loro dio, e che Jeshua sia venuto per loro; e sfugge loro, poiché non sono preparati a coglierlo ma semmai a censurarlo, tutto quell’insieme di elementi in senso contrario, ossia le continue, esplicite dichiarazioni di quello stesso dio, in cui egli enuncia agli Ebrei che essi sono il suo popolo eletto e che egli sta parlando solo a loro e per loro e sovente contro gli altri popoli. Come sfugge loro che pure lo stesso Jeshua, il loro Gesù o Jesus, si rivolgeva ai soli Ebrei.

Ancor peggio, è che, a causa del condizionamento suddetto, i Cristiani, non riescono a cogliere parecchi tratti pericolosi di Jahvé, dio etnico, selvaggio, dalle tendenze molto contraddittorie (tra la ferocia e la clemenza), proprie di una personalità (o di una cultura) non integrata, e delle sue leggi c.d. mosaiche: la sua volubilità e instabilità, le sue esortazioni alla guerra, al genocidio (vedi Gideon), all’uccisione degli apostati e delle adultere, all’intolleranza verso le altre religioni, alla distruzione dei loro templi e oggetti di culto, alla discriminazione etnica, alla sistematica pratica dell’usura in danno delle altre nazioni, per dominarle (Deuteronomio, 15.6, 23, 25). Quest’ultima pratica, certo non esclusiva degli Ebrei, è in contrasto col precetto evangelico secondo cui chi serve Mammona non serve Dio (ma chi è Mammona, se non lo stesso Jahvé?), ed è sicuramente e visibilmente, nel mondo, lo strumento, oggi soprattutto, di dominazione, oppressione e sfruttamento prevalente – causa di guerre, miserie., migrazioni forzate, insicurezza, attraverso sia l’indebitamento estero che l’indebitamento interno dei paesi. I Cristiani hanno maturato un’etica basata su amore, mitezza, universalità, eguaglianza, libertà, remissione dei debiti; eppure non colgono e non integrano questi gli opposti, atroci caratteri  del dio-demone Jahvé: ancora il 12.09.06 il Papa, contro ogni evidenza, ha sostenuto che il dio dell’Antico Testamento sarebbe un dio d’amore e non crudele. Quindi i Cristiani non riescono a difendersene e a difenderne gli altri. Anzi, proprio in quanto erroneamente identificano Jahvé come loro dio, e dio d’amore, essi, novelli cavalli di Troia, mascherano a sé e agli altri il suo vero volto, le sue vere tendenze, e finiscono per proteggere quelle medesime pratiche di dominazione, oppressione e sfruttamento, che, se potesse osservare obiettivamente, ogni cristiano condannerebbe e terrebbe in abominio.

Nell’inconscio dei Cristiani vive quindi questo oscuro conflitto, questa profonda contraddizione tra i caratteri reali del dio “Padre” (che, contrariamente a quanto assicura Jeshua, non è affatto “buono”), da una parte; e, dall’altra, i valori, la sensibilità e i principi etici maturati sino ad oggi, rimane opaca, non visibile nell’inconscio dei Cristiani.

E allora questo conflitto inconscio, opaco all’introspezione del fedele, si manifesta al cristiano nel mondo esterno, sotto forma di ingiustizia, sfruttamento, povertà, guerre. Mali che è difficile combattere,  per coloro che rimangono figli di un dio, che è il dio dell’usura e dell’imperialismo finanziario.

Anche Jeshua pare vivere questo conflitto, il tormento insito nella contraddizione  di essere portatore di un messaggio di amore, mitezza, pace, perdono, e al contempo di legittimare la feroce legge mosaica;  di sentirsi figlio di un Padre terribile, ma che deve definire “buono” e per il cui volere deve morire. La croce pare un adeguato simbolo di questa condizione lacerante. E quando Jeshua afferma che non si può servire insieme Dio e Mammona, parla soprattutto a sé stesso, della sua  escruciante condizione. Perché chi altri è Mammona, se non Jahvé, il dio dell’usura di Deut. 15.6?

 

Per quanto sopra, un profondo ripensamento dell’Antico e del Nuovo Testamento, e una alternativa ricerca delle vere radici del Cristianesimo, ma anche del Giudaismo, nella spiritualità autentica e mistica, per sua natura non etnocentrica ma universale – quindi la scoperta delle autentiche radici vitali del Cristianesimo e del Giudaismo su basi altre dall’Antico Testamento,  e sulla comprensione del Nuovo Testamento come incentrato sulla resurrezione e sulle specifiche rivelazioni compiute dal Cristo risorto, oltre che sugli Atti degli Apostoli e sulle Epistole – è indispensabile e, soprattutto, è condizione preliminare e preparatoria, affinché le pratiche più ingiuste e dannose per l’umanità possano essere riconosciute, condannate e bandite alla loro radice, e affinché sia colto, finalmente e liberamente, il senso dell’Evangelo.

 

 

 

 

 

 

 

PENSIERI SULLE RELIGIONI – DA “LA FORESTA DEGLI AFORISMI” – NON PUBBLICATO

 

38-  Essenza della fede

  Insegna Parmenide che la medesima cosa non può essere, al contempo, saputa e creduta; infatti, come ammette S. Agostino nella Summa theologica, “Credere est tendere in unam partem contradictionis cum formidine alterius  partis”, ossia sforzarsi di pensare che le cose stiano in un certo modo anzichè in un altro, pur sapendo che non c’è la prova che stiano nel modo desiderato o insegnato: quindi credere è un atto non cognitivo, ma volitivo – non accertativo della realtà, ma costitutivo di uno stato psichico. E, se così è, sussiste il forse serio pericolo che il credere insistente, convergente e fanatico della massa finisca per creare davvero un Dio ad immagine e somiglianza –horribile dictu– dei credenti.

 

64- Radici

  L’atto costitutivo della chiesa cristiana romana si può riconoscere nell’accordo per falsificare il Nuovo Testamento.

 

88- Comunità religiose: origini e pervertimento.

  In origine, nelle mani dei fondatori, le comunità religiose sono strumenti rivolti alla realizzazione spirituale dei  singoli. Successivamente nella comunità si forma un corpo di amministratori, che hanno il compito di potenziare e perpetuare l’organizzazione – ossia, potenziarla e perpetuarla diventa il loro fine; e siccome essi sono, all’atto pratico, i personaggi più importanti della comunità (gestiscono i soldi e le relazioni con l’esterno), l’osservanza dei dogmi e dei riti, diviene lo strumento di quel potenziamento e di quella perpetuazione, e la vigilanza su questa osservanza diviene privilegio e potenza di costoro. Così, l’apparato da mezzo diventa scopo, le sue proprie esigenze si impongono sulle altre, e la realizzazione interiore individuale perde importanza, anzi, finisce col divenire una minaccia eversiva, poichè depotenzia il ruolo dei signori dell’apparato, mentre l’ortodossia esige soprattutto comportamenti di conformazione e obbedienza all’interno della comunità, e di differenziazione e disprezzo verso l’esterno. Esige dai devoti, in ogni caso, essenzialmente comportamenti esteriori, perchè sono gli unici che possa imporre, controllare, ed esibire come dimostrazione di forza e compattezza. I comportamenti così prescritti, prescindendo da quelli economici, sono sovente complicati, impegnativi, debilitanti e persino paradossali: ciò serve a tenere la mente occupata e lontana da pensieri pericolosi, e a spezzare l’autonomia di giudizio -scopi che, peraltro, data la generale degenerazione culturale, possono anche essere benefici. E presto i devoti ignoranti scambiano questi atti esteriori per atti di devozione alla divinità anzichè all’organizzazione, o meglio ai suoi capi – scambiano il rimbecillimento per progresso spirituale.

  In conclusione, chiunque voglia perseguire la propria realizzazione, farà bene a rifuggire l’inserimento in qualsiasi apparato.

 

212- Metodologia della conversione

   Il problema preliminare delle religioni verso i nuovi adepti, è quello distaccarli dal modo corrente di pensare, di agire, di essere – ossia di sbrancarli dal ‘mondo’ per inglobarli in sè stesse.     A questo fine, esse adoperano correntemente o il sistema del dogma, o quello del dilemma – salvi i casi di procedimenti iniziatorii più o meno traumatici, o ricorrenti a sostanze psicotrope.

  Il sistema del dogma è quello autoritario che impone al pensiero una verità assoluta  e rivelata, e una legge parimenti assoluta e rivelata all’azione, all’insegna della massima certezza e della negazione della possibilità e legittimità del dubbio persistente. Tutto è regolato in modo codicistico. C’è una risposta per tutto e per tutti, e chi non si conforma, è condannato. Accanto agli ovvii vantaggi, l’inconveniente di questo sistema è che esso, dovendo accontentarsi di insegnamenti capibili  abbastanza uniformemente da tutti, non può presupporre molta intelligenza nei suoi destinatarii, quindi i suoi insegnamenti devono essere semplici e non discostarsi troppo dal pensiero comune, almeno concettualmente; siccome però il suo scopo è operare il distacco dal pensiero comune, lo fa per altra via, ossia non per via concettuale. Lo fa sovente imponendo dogmi contrarii al senso comune ma facili a capirsi letteralmente, e soprattutto comportamenti contrarii ai modelli della comune coscienza. E  dato che quest’ultima è orientata in senso edonistico, esso impone innanzitutto rinunce ai piaceri corporali.  Impone inoltre attività rituali complesse, parimenti contrarie alla concezione ordinaria del rapporto di causa-effetto, nonchè lunghe preghiere, di ore ed ore, che assorbano tutto il tempo libero dei devoti, in modo che nel restante tempo essi stiano completamente occupati dalle attività quotidiane spicciole e necessarie, e non abbiano tempo di riflettere autonomamente. Essi devono avere la mente costantemente impegnata o a pregare, o ad eseguire i precetti, o ad opporsi a proprii impulsi, o ad espletare attività che non diano occasione di sviluppare idee proprie. E’ vero che, in questo modo, i suoi adepti tendono a sviluppare un pensiero e a una moralità infantili, o addirittura rimbecilliscono; ma tanto sono persone che rimbecilliscono in ogni caso, e quello religioso è un modo meno nocivo di rimbecillire, rispetto a quello materialista ed edonista, perchè almeno non porta a reincarnarsi in bestie. Le persone intelligenti che si inseriscono in questi credi malgrado il modesto livello concettuale che li caratterizza, di regola, lo fanno o per il gusto di dominare, o per arricchirsi, o per puntellare il proprio io ipertrofico, oppure perchè vogliono davvero aiutare il prossimo. Esempi di religioni che applicano prevalentemente questo metodo, almeno con le masse: il cattolicesimo, l’islam, i farisei, i c.d. Hare Krshna, i testimoni di Geova.

  Il sistema del dilemma, dell’incertezza, dell’indeterminatezza, è adatto per gruppi più ristretti; esso mira a produrre una rottura col senso comune, con l’identificazione nei valori e nelle certezze correnti, attraverso un mezzo opposto a quello descritto sopra, ossia suscitando un’esperienza problematica per poi imporre, in vista della liberazione o illuminazione, il dilemma invece della certezza, il paradosso invece della logica, la suspense invece del dogma, la ricerca invece del dottrina e la contradizione invece della legge, forzando il neofita a una sofferta, ristrutturante e interminabile elaborazione personale. Il vero pensiero del Maestro, resta Mistero, e il suo atteggiamento verso di te è imprevedibile. Spesso ti trovi anche abbandonato, paurosamente libero. I seguaci non sanno quale traccia seguire e disputano costantemente sulla sua interpretazione. Il koan dello zen e la meditazione al buio tibetana sono l’espressione più pura di questa tecnica. Ad essa ricorrono o ricorrevano ampiamente anche Sai Baba, Osho Rajneesh, Anandamayi Ma, Ramana Maharshi e Hairakhan Babaji. Si usa anche in molte religioni che prevalentamente adoperano l’altro metodo, ma a livelli superiori a quelli pubblici, a livelli iniziatici, di adeptus exemptus. In  complesso, quello della dubitazione è un metodo difficile da applicarsi su vasta scala, e riservato a cerchie ristrette di persone strutturalmente capaci di convivere col dubbio e coll’antinomia; perciò non è frequente incontrarlo. I suoi inconvenienti sono quelli generali dati dalla libertà nell’agire, nel sentire, nel pensare – quindi molti dei suoi adepti si lasciano andare alle proprie personali inclinazioni e prendono grandi sbandate. Inoltre sviluppano sovente il gusto dello stato dilemmatico, dell’ambiguità, del soggettivismo, come fini a sè stessi.

  Nel filosofo vero, diversamente che nell’uomo di religione, la coscienza, o lo spirito, attua da sè la rottura e la liberazione dal pensiero ordinario, applicando ai suoi contenuti la critica razionale pura, come fecero -per esempio- Parmenide e Bradley.

 

227- Eravate a Sua immagine e somiglianza …

  Dio fece l’uomo a Sua immagine e somiglianza. Poi però lo privò di qualcosa, per fare la donna. Non ci fu benevolenza in questo, contrariamente a quanto scritto dai compilatori della Genesi, bensì gelosia – lo conferma il fatto che anche nella mitologia ellenica i sessi in origine non erano divisi, ma a ciò provvedettero gli dei, perchè gli uomini non sessualmente divisi sembravano loro troppo potenti. E il dio che proibì di mangiare il frutto dell’albero della vita e del bene e del male affinchè l’uomo non diventasse simile a lui, sembra proprio l’opposto -l’Avversario- di quello che si sarebbe preso la briga di farsi uomo e di morire come uomo, per illuminarci e donarci la vita eterna quali suoi figli.

 

 

244- La vera pietra filosofale:

  Quella che tramuta la visione pessimistica della vita in una ottimistica della morte.

 

267- Tema per la meditazione natalizia del gregge dei fedeli:

  “In virtù di quale dono dello Spirito Santo la Chiesa riesce a essere davanti ai nostri occhi e dentro ai nostri cuori sempre la protettrice dei deboli, mentre storicamente è stata sempre alleata dei potenti, dei sopraffattori, dei colonialisti, degli imperialisti, degli schiavisti, degli oscurantisti, quando non ha massacrato e torturato in proprio, dagli Albigesi a Galileo?”

  R.: “Non in virtù dello Spirito Santo, bensì del nostro bisogno di credere che sia tale, e della suggestione di pochi altruisti, famelicamente filantropi, sfruttata dall’abilità di molti opportunisti”.

 

 

272- Perchè tante stragi nelle sette? Perchè tanta insistenza su temi apocalittici?

  R.: Le sette si formano intorno a un capo carismatico che fa vivere ai fedeli un mondo di sogno come se fosse quello reale. Ma gli urti contro la dura realtà prima o poi mettono in crisi il mantenimento della fede nel mondo di sogno. Allora la fede nel sogno si difende demonizzando e svilendo il mondo reale, materiale, corporeo che lo minaccia, e chiedendo ai fedeli di separarsi da esso e di combatterlo.

  Quando tale combattimento si rivela poco sostenibile e inidoneo a stornare il ritorno del reale, la fede nel sogno si difende sviluppando la convinzione delirante collettiva dell’imminente-immanente fine del mondo reale-materiale a causa della sua nequizia e ad opera di un agente alleato alla fede e collocato nella trascendenza -dio, la natura, etc.; in questo modo la fede nel sogno si prende, sul piano delirante, una rivincita  sul mondo reale, facendo subire a questo -ad opera di un dio vendicatore- la stessa demolizione che questo faceva subire alla fede del sogno, e insieme facendo pregustare ai poveri adepti la sconfitta del loro avversario – ed essi la pregustano, anche se essa, nelle loro rappresentazioni, comporterà -perlopiù- la fine del loro mondo o perlomeno di molte cose e persone a cui tengono.         

  Siccome però tale vendetta tarda sempre a venire, e l’apocalisse non arriva mai, questa difesa, come le altre, prima o poi entra in crisi. Quando ciò accade e ricomincia lo sfaldamento della fede nel sogno, e tutto sembra crollare, si generano i presupposti per i suicidii collettivi. In essi, il leader della setta chiede ai seguaci di rinunciare definitivamente ed effettivamente (non più solo fantasticamente, come nei miti apocalittici) a ogni compartecipazione nel diabolico e infelice mondo materiale, pulsionale, corporeo -quindi di rinunciare al corpo distruggendolo- per poter passare, definitivamente, al mondo ‘spirituale’.

 

331- Il peggiore degli Inferni? Un Paradiso a termine.

 

332– Fisioterapia riabilitativa per i grandi devoti, dopo la rimozione dell’apparecchio gessato (v. n. 323 )

  Esercitarsi nello studiare le varie religioni: a)classificandole organicamente secondo i criterii della tassonomia zoologica evoluzionistica, in quanto alle relazioni esterne di ciascuna di esse con le altre; b)analizzandole coi metodi della psicopatologia in quanto ai contenuti e alla strutturazione interna di ciascuna.

 

339- Tiresia doceat

  Il buon credente teme dio, ma ancor più la caduta della sua maschera. Il mito dell’accecamento di Tiresia (per aver osato guardare la dea nuda al bagno) ha la funzione di preavvisare tutti dei pericoli cui si espone chi non ottempera al criptico monito: “I TEGO ARCANA DEI”.

 

342  Oremus

  La fede è o repressione consapevole, oppure inconscia rimozione, del dubbio. Nel primo caso la si qualifica ‘fede di mala fede’; nel secondo, patologica.

 

 

346– Verificabilità

  Qualsiasi ipotesi in cui si inserisca Dio, o l’infinito, l’assoluto, etc. come variabile, è inverificabile -ossia, insignificante.

 

357- Degenerazione sacra

  I riti di passaggio, ossia le iniziazioni con cui i fanciulli vengono omologati come adulti nella tribù, sono di solito eseguiti coralmente da tutti gli adulti maschi della tribù insieme, e non da una casta sacerdotale depositaria di un potere o di una legittimazione esclusive: essi inscenano, con maschere, sangue di animali e rumori strani, una sparizione e sottrazione improvvise dei fanciulli iniziandi, il loro divoramento o squartamento ad opera di qualche mostro impersonato da qualche adulto mascherato, e la loro rigenerazione magica finale- o altre sciocchezze simili, che spaventano le donne e le tengono in soggezione e lontane dalle ‘cose degli uomini’.

  Però gli antropologi riferiscono che gli adulti che celebrano questi riti sono consapevoli che si tratta di una finzione, di una messa in scena: uno aborigeno australiano riferiva schiettamente: “Il rito? Raccontiamo balle alle donne e mangiamo i maiali sacrificati”.

  Questo accade laddove la celebrazione dei riti, e la consapevolezza del loro carattere ludico e fittizio, compete a tutti gli adulti come tali, egualitariamente. Quando invece si forma una casta sacerdotale depositaria in via esclusiva della legittimazione al rito, allora soltanto questa casta, o parte di essa, mantiene la consapevolezza del carattere fittizio e ingannatorio del rito, e specula sull’inconsapevolezza degli altri membri della società a fini di potere e di locupletazione: il business dell’ignoranza e della superstizione.

 

358- Kefas

  Era il più duro di testa, era pronto a  rinnegare, e ambiva al primato nel Regno dei Cieli: di diritto gli spettava dunque di fondare la dinastia dei becchini dello spirito.

 

 

364– Eterni paralleli

Come il decadimento della coscienza filosofica produce la fede, così quello dell’uranio produce il piombo.

 

386- Incubo per l’Anima:

Il pensiero che credere nell’immortalità di qualcosa che non si vede, è più facile che rubare una caramella a un bambino.

 

387- Refugium maerentium

I tormenti dell’esistenza un tempo si sopportavano grazie al sentimento religioso; oggi, grazie alla coscienza dell’assurdità dell’esistenza stessa.

 

393- E fece l’uomo a sua immagine e somiglianza

Ma niente è più diabolico, che l’immagine speculare di Dio.

 

399 -L’ideale della religiosità sociale hindu:

Passare la vita fermi davanti a un semaforo spento.

 

401 -THE CREATIVE CREED OR THE TRIUMPH OF TRUE MAGIC

The latest of the Apostles is said to have said unto few:

“However and whatever we believe, we actually know nothing for sure as to how God  is fashioned  or whether he exists at all, for we have no proves.

But it is our will, that a God should exist, and that he be fashioned in a certain manner, and have certain assets, for we want our souls not to perish, and we want to fancy the good will be eventually rewarded and the evil ones chastised:

Thus we shall keep gathering to masses, like armies, and by means of our converging prayers, songs, and rites, direct the energy of our enhanced and converging willpowers to make such will come true. Grieve not.

This very way we will eventually make sure that such a God does exist anyhow, I mean, whether he existed on his own or  not; and that he be good and love us.

For even this and nothing else is the essence of faith, which is True Magic, an operating one, and not, as your fathers were taught to believe, a stark set of convictions that could not be shaken by contrary evidence. Amen.”

 

407-Namaskar

Il vuoto che è in me saluta il vuoto che è in te.

 

408-Credente:

Colui che definisce la luce con la sicurezza di un cieco.

 

418-L’ambizione luciferina di ogni chiesa:

Costituirsi come istituzione che sopravviva allo spirito.

 

432 – Fides e Feedback

  Il fedele tiene una condotta tale da ricevere approvazione e accettazione da parte della società dei fedeli. L’approvazione-accettazione gruppale, di cui quasi tutti e quasi sempre hanno una necessità molto più forte di ogni altra cosa, funge da rinforzo a quella condotta. Questo è il meccanismo e la forza che, agendo sull’insieme degli appartenenti al gruppo con  maggior potenza di ogni altro fattore, trasforma gradualmente la creatività iniziale dell’ispirazione mistica in una ripetizione istituzionale, la spiritualità in conformismo, la meditazione in litania, ma prima ancora l’essere-con-consapevolezza in un fare robotico.

 

 

 

 

445-Lo stato presente della religiosità:

La fede è oggi ridotta a credenza nelle parole tramandate dalla fioca e diffusa eco di un vecchio delirio, basato su antiche allucinazioni.

 

471-             Donna cattolica: “Mi costringo a fare ciò che non mi piace e a non fare ciò che vorrei, così posso farlo pesare a chi mi vuol bene.”

 

472-             Bianchi Redentori: I cigni nuotano sul lago verso l’antica Ombra per dissiparla col loro ultimo Canto.

 

473-             Falsi Redentori: Hare Klysma.

 

 

474-             Dio è transfert sul nulla.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

4 risposte a RELIGIONE E BUONUMORE

  1. Onofrio Donzelli scrive:

    Gentile Avv. Marco della Luna
    visito per la prima volta il suo sito, leggendo la sua notevole produzione di scritti, documenti, etc.. Riservandomi di visitarla ancora, le segnalo che stamattina, mercoledi’ 5 giugno, su Rai 3, La storia siamo noi, ho visto un filmato che mi sembra coincidere con le sue (e mie) preoccupazioni. La prego di interessarsene.
    prof.Onofrio Donzelli

  2. RobertoA scrive:

    Personalmente ritengo molto valida ed importante la trattazione relativa al signoraggio bancario e la riserva frazionaria fatta dal Dr. Della Luna. Le mie congratulazioni.

    Tuttavia quando si affrontano temi riguardanti la fede in Dio si commettono, direi inevitabilmente, generalizzazioni pericolose. La prima generalizzazione assai pericolosa è considerare la “fede cristiana” uguale alla “nuova fede giudeo-cristiana” iniziata col Concilio Vaticano II. Già Giovanni Paolo II nel Discorso al Corpo diplomatico del 24 febbraio 1980 aveva iniziato a gettare esplicitamente le basi della costruzione del Nuovo Ordine Mondiale dicendo: “Giustizia e sviluppo vanno per mano con la pace. Sono parti essenziali di un Nuovo Ordine Mondiale ancora da edificare. Sono una strada che conduce verso un futuro di felicità e di dignità umana”. Benedetto XVI nella sua enciclica Caritas in veritate n. 67 (200*) ha iniziato a mettere in pratica il disegno pubblico del suo predecessore. Infatti ha scritto: “Per il governo dell’economia mondiale, per risanare le economie colpite dalla crisi, […] urge la presenza di una vera Autorità Politica Mondiale”.

    Quando poi si affrontano temi importanti come “fede” e “ragione” occorre davvero molta prudenza. La “nuova fede giudeo-cristiana” è fondamentalmente un “fideismo”.
    Non dimentichiamo che Leone XIII nell’enciclica “Libertas” scrive: “Nessun filosofo dubita che l’atto di giudicare appartenga alla ragione e non alla volontà. il bene desiderato dalla volontà, è necessariamente un bene in quanto riconosciuto tale dalla ragione.”

    Cordialmente

  3. Edoardo V Melaragna scrive:

    Caro Marco ,
    l’argomento non e’ di vitale importanza come il Sole e la Luna , ma , e’ assai prossimo.
    Certamente l’ uomo in generale abbisogna di Guida , ribadisco Guida non giuda . A parte la ” sbattuta ” , pongo un quesito : Puo’ una persona , non impazzire , se dentro di se’ non ha un credo( sempre che sia pro domo vitae ) , qualunque esso sia , che gli da’ la possibilita’ di levarsi la mattina ed ingannare il tempo in attesa della metamorfosi materica, dando un senso , un ordine , dando impegno alla vita stessa ? La difficolta’ delle umane genti e’ cercare di fare la sintesi del puzzle della gnosi . Chi vi riesce , diviene persona saggia , equilibrata , scientemente puro e leggero nel valutare i fatti che accadono sotto l’astro del giorno e quello della notte . Chi rimane al semaforo spento , e’ morto , mentre la vita chiama la vita . . . la genesi che e’ sempre inseminante nel mondo vegetale , animale ed umano. Beato colui che e’ centrato . Questa meravigliosa passeggiata terrestre , non e’ mai anemica , nichilista , e perdente . . . anche quando la vita stessa ti fa’ segnare il passo. Ovvio che per tangere l’assoluto senso , della via , ci vogliono le giuste leve . Ma a nessuno e’ precluso nulla , in quanto , Dio , non ha dato bonus per appartenenza lobbistica , clericale o altro. E’ solo un fatto di volonta’ . Poi e’ normale che non essere chiusi in un ghetto , in un cerchio , qualunque esso sia , da’ la possibilita’ di poter affrontare la strada con il senso di liberta’e canoscenza che sta’ in capo alle persone veramente libere. Grazie , sempre , per gli spunti , elevati , fonte, di riflessione e progresso.
    Edoardo V Melaragna

Lascia un commento