L’ECONOMIA DEL BUCO NERO
L’inserto economico di Libero del 25.03.08 divulga il dato delle aliquote fiscali che lo Stato applica alle banche, che sono l’unico comparto imprenditoriale in forte, anzi fortissimo sviluppo: circa il 33% contro una media superiore al 50% per le altre imprese.
Questo dato è strutturalmente incompleto, perché le banche, oltre che di un’aliquota preferenziale, godono di esenzioni dal dichiarare la maggior parte dei loro profitti – soprattutto quelli da creazione di liquidità mediante la concessione di credito. Ma, anche nella sua incompletezza, quel dato racchiude tutto: l’origine del male economico che affonda l’Italia, il progresso del male, e le risorse per curarlo.
Ma di questo tacciono i programmi elettorali dei due grandi partiti che si contendono il governo del Paese nelle elezioni dell’Aprile 2008: essi si basano sull’illusione. Sono concepiti per vincere, non per governare, per risolvere i problemi. Nessuno risolve i problemi – tutti li cavalcano. La politica persegue il potere, nongià quegli ideali sbandierando i quali cerca consensi. Su di essa non resta molto da dire, dopo Niccolò Machiavelli. E di quanto restava, quasi tutto lo ha detto John Stuart Mill, evidenziando un dato del tutto logico, se non ovvio: ossia, che gli interessi di chi governa (“the rulers”) o vuole governare divergono, come tali, da quelli dei governati – il che limita sia la realizzabilità sia della democrazia in generale, sia di una libera informazione, perché i governanti hanno interesse a che quella divergenza di interessi non sia rivelata, soprattutto nelle sue applicazioni pratiche. Hanno interesse pratico a ingannare, a gestire e manipolare l’opinione pubblica e il pubblico comportamento.
I programmi elettorali in questione sono ingannevoli perché promettono tagli delle tasse e innalzamento dei redditi – due cose che richiedono risorse finanziarie, di bilancio mentre queste risorse non ci sono. Infatti i partiti in questione non indicano dove reperirle. Non solo non ci sono le risorse aggiuntive per fare ciò che essi promettono, ma le stesse risorse, le stesse entrate fiscali su cui si basa la legge finanziaria per il 2008 si ridurranno rispetto alle previsioni, perché le previsioni di entrata si basavano sull’assunto che il pil aumentasse dell’1,5%, mentre il pil non aumenterà affatto. Amenoché non salti fuori qualcosa di ancora peggiore, ossia che il governo uscente, prevedendo privatamente la crescita zero, per compensarla aveva surrettiziamente applicato (mediante duplicazioni di imposta, ampliamenti della base imponibile, presunzioni di redditi) una pressione fiscale reale notevolmente maggiore del dichiarato – ipotesi che pare confermata da due dati recentissimi, ossia un forte aumento delle entrate fiscali e un forte aumento dei prezzi (falsamente detto ‘inflazione’): i prezzi sono spinti insù dall’aumento dei costi di produzione dovuti all’aumento della tassazione e dei tassi di interesse. Questo aumento del carico-gettito fiscale può far quadrare i conti pubblici per il 2008; ma, indebolendo l’economia e i consumi, induce recessione, quindi scarica il problema sugli anni seguenti, e sulla testa della gente, aggravandolo.
Inoltre sta arrivando la recessione e la crisi finanziaria da oltre Atlantico. E si fanno sentire gli effetti restrittivi di Basilea II e dell’accresciuta pressione fiscale e contributiva – sotto forma di numerosissime piccole aziende che chiudono o licenziano.
Tutto ciò determinerà verso fine anno, o con l’inizio dell’anno prossimo, un tendenziale aumento del disavanzo, quindi la necessità di maggiori tasse e/o di tagli alla spesa pubblica (con maggiori costi o minori entrate per la gente) e/o di ulteriori svendite di industrie strategiche nazionali (ENI) ai colonizzatori stranieri – i così detti paesi amici: Francia, Germania, USA, Svizzera, etc. Non credo si possa licenziare i 300.000 lavoratori perlopiù inutili, assunti senza concorso, a fini puramente clientelari ed elettorali, dal governo uscente – compresi i 2.000 dipendenti extra per l’Alitalia: questi sono oramai una spesa strutturale e fissa quanto inutile e parassitaria a carico dei lavoratori produttivi, dei contribuenti, dell’occupazione, dei giovani, dei pensionati.
Chiunque vinca e vada al potere, dovrà fare i conti col momento in cui le sue promesse elettorali verranno dimostrate illusorie dalla dura realtà. E con la probabilità di forte dissenso e lotta sociale. La Casta reagirà allora formando la grande coalizione, il Veltrusconi, il governo di unità nazionale, di emergenza. Ma per far che cosa? Per tagliare la spesa e licenziare? Per fare un salasso fiscale? O per reprimere la protesta popolare con le forze dell’ordine di genovese memoria, e magari con l’aiuto del potere bancario, che blocchi conti correnti e carte di credito a chi troppo dissente?
A che serve anche una grande coalizione con l’80% dei voti popolari, se non vi sono, oggettivamente, margini di azione (investimenti, innovazione, infrastrutture, tagli fiscali, scuola) per mancanza di risorse finanziare, perché tutte le entrate se ne vanno già in spese correnti non comprimibili? Potrà fare solo ciò che han fatto i governi precedenti, ossia tassare e tagliare le spese sociali e gli investimenti. E prendere a bersaglio alcune categorie economiche politicamente non forti, per saccheggiarle fiscalmente e usare il relativo bottino per tamponare qualche buco. Il fatto di essere (seppure solo formalmente) legittimata dal consenso dell’80% dell’elettorato le consentirà di fare solo una cosa specifica di nuovo: reprimere la protesta con la forza.
Alternativamente, una simile grande coalizione potrebbe usare la sua forza politica per togliere alle banche i privilegi fiscali di cui dicevamo in apertura, recuperando immediatamente decine di miliardi. Potrebbe, cioè, applicare alle banche le aliquote effettive che applica agli altri imprenditori. E potrebbe far emergere l’enorme nero dei profitti bancari –circa 750 miliardi di Euro l’anno – che le banche realizzano senza doverli dichiarare, in base alle regole contabili da loro stesse elaborate, che consentono loro di neutralizzare con pari appostazioni passive le erogazioni di credito. Le erogazioni credito, consistendo in operazioni puramente elettroniche senza esborso di denaro, non costituiscono uscite patrimoniali per la banca, la quale, nell’erogare credito realizza quindi un profitto netto (e quasi sempre garantito) pari al capitale e all’interesse attualizzato ( vedi i miei saggi Euroschiavi, Polli da Spennare; i saggi di Nino Galloni Il Grande Mutuo, Misteri dell’Euro e Misfatti della Finanza; nonché Creating New Money di Huber-Robertson, New Paradigm in Macroeconomics e The Princes of Yen di Richard Werner).
L’emersione di questi profitti extracontabili e la loro tassazione, anche con un’aliquota mite, produrrebbe le risorse per il risanamento e il rilancio, nonché per dare sollievo ai redditi deboli e alla debolezza finanziaria e competitiva del sistema imprenditoriale.
Ma si potrebbe andare oltre.
Si potrebbe porre fine alla finzione bancaria di mettere al passivo anche i depositi irregolari dei loro clienti, dato che essi non vengono coperti o rimborsati con valuta legale, ma, di nuovo, con scritturazioni di nessun costo patrimoniale per le banche stesse. Ciò apporterebbe altre entrate fiscali.
Ulteriori risorse verrebbero dalla nazionalizzazione della Banca d’Italia, ora in mano a privati per il 95%, la quale esercita, sia pur entro il Sistema Europeo delle Banche Centrali, il potere politico e sovrano di emettere cartamoneta a corso forzoso non coperta da oro, nonché di fissare il tasso di sconto e di disciplinare le altre banche – quindi, per norma costituzionale (art. 1, 2° Comma), dovrebbe essere pubblica.
Immediatamente, circa 70 miliardi di Euro annui, costituenti profitti non contabilizzabili di Bankitalia (secondo le regole contabili correnti) sarebbero acquisiti al bilancio dello Stato, e costituirebbero da soli un possente sollievo per i contribuenti e una fonte generosa per il finanziamento degli investimenti.
Simili iniziative politico-economiche sarebbero esportabili anche in molti altri paesi, costituendo pure per essi l’unica soluzione possibile al male economico di fondo, un male matematicamente certo e misurabile, e che consiste nella progressione esponenziale della curva del costo della liquidità. Mi spiego: tutta la liquidità esistente, tutti i mezzi di pagamento, nascono attraverso un’operazione di indebitamento di chi originariamente li riceve verso il sistema bancario: il denaro legale viene emesso in cambio di titoli del debito pubblico gravati da interesse; il denaro scritturale bancario viene emesso sotto forma di prestito, pure gravato di interesse. Ciò comporta che il totale del debito (capitale + interesse) risultante dalla emissione di tutta questa liquidità sia sempre, e sempre di più, superiore alla liquidità stessa. Si chiama ‘legge del debito infinito’. La progressione della crescita del debito totale, attraverso la periodica capitalizzazione degli interessi maturati, è esponenziale. Per un periodo iniziale è impercettibile, modesta, sostenibile; poi accelera sempre di più, si impenna, trasferisce gradualmente tutti i margini produttivi delle attività produttive a quella creditizia, bancaria, impoverendo fino a far chiudere le prime, precarizzando e immiserendo i dipendenti e arricchendo a dismisura le banche stesse. Questa è appunto la situazione italiana, in cui ipocritamente le sinistre portano avanti politiche di redistribuzione che, per trasferire briciole ai ceti più bassi tolgono ai ceti medi produttivi e già impoveriti, ma che esse mentendo descrivono come agiati, mentre nascondono il problema dello smisurato, ingiustificato e non tassato arricchimento delle banche, che lo conseguono drenando a sé i margini di profitto di tutte le categorie produttive. Il PD e, prima di esso, il PDS e il DS, sono il partito collaterale dei grandi banchieri.
Automaticamente, per effetto dei meccanismi suddetti, arriva a un punto in cui il costo per il pagamento degli interessi fa si che non sia più proficuo indebitarsi per investire. Quello è il crash point economico-finanziario, oltre cui inizia inevitabilmente la decapitalizzazione industriale e la recessione, e noi l’abbiamo già superato. E’ questo il fattore di crisi e povertà vero, di cui nessun partito parla. In tale contesto, le iniezioni di denaro creditizio – ossia, gravato di interessi – che le banche centrali fanno per sostenere il sistema, creando ulteriore onere per interessi, agiscono come una bevuta di acqua di mare su un assetato. Il denaro – questo denaro creato mediante indebitamento – è denaro che mangia se stesso, con la progressione esponenziale degli interessi passivi composti. Il che si vede benissimo da dati come il seguente: l’aumento di produzione indotto da aumento di liquidità va calando esponenzialmente. Ossia, anno dopo anno, per indurre un pari aumento di produzione è necessario immettere nell’economia quantità di denaro sempre crescenti, e crescenti non in modo lineare, ma esponenziale, fino al punto che investire non rende più, anzi ha un rendimento negativo. Questo punto è già stato raggiunto. La recessione americana è una sua conseguenza, come quella italiana.
Perché il buco nero è nero? Perché da esso non esce luce. E perché non esce la luce? Perché la velocità di fuga da esso è superiore a quella della luce, data l’enorme gravità che esso raggiunge.
Anzi, si dovrebbe dire che una stella collassando diviene un buco nero quando la concentrazione della sua massa diviene tale, per effetto del collasso, che produce una forza di gravità tanto intensa, da non lasciar uscire nemmeno la luce. Ma il punto di non ritorno è raggiunto prima, ossia quando la massa stellare incomincia a collassare, a contrarsi. In materia monetaria, il punto di non ritorno è raggiunto quando l’indebitamento è tanto grande da assorbire, con gli interessi passivi, tutto il valore della produzione. Quello è il crash point – o crush point – del sistema, da cui inizia il processo recessivo-distruttivo. Noi l’abbiamo già raggiunto: il debito delle famiglie americane, dal 2001 al 2007, è passato da 29.000 a 43.000, ossia è cresciuto di 14.000 miliardi; mentre nel medesimo periodo il pil è salito solo di 1.500 miliardi. Il che vuol dire che i 9/10 dei nuovi crediti sono stati assorbiti dagli interessi passivi sui debiti preesistenti. Storicamente, si assiste a un continuo peggioramento del rapporto tra costo dell’investimento produttivo e sua redditività, finché questo rapporto diventa superiore a 1, ossia finché l’investimento costa più di quanto rende, e la liquidità tende quindi a lasciare il settore produttivo rifluendo in quello speculativo, finanziario – e producendo così disinvestimento e recessione, come mostra la seguente curva di Larouche:
.
L’unica via di uscita da questo scenario di recessione mondiale, al di là delle misure-tampone, è l’eliminazione del fattore che produce la gravità, quindi il collasso, il big crunch del sistema e della società, e li condanna a finire nel buco nero: ossia, l’eliminazione del vizio congenito del denaro usato nel nostro sistema – l’eliminazione della creazione monetaria a debito, la sostituzione della moneta-debito con una moneta creata senza indebitamento da parte dello Stato né dei privati – e che quindi non produce la curva esponenzialmente crescente di cui dicevamo – sul modello proposto da Huber-Robertson e già più volte praticato nella storia, affiancata da monete locali complementari o alternative, parimenti prodotte senza debito, e già collaudate, esse pure, in molti contesti storici e geografici. In Italia, nell’Aprile 2008 parte il progetto di moneta complementare SCEC-BLS (www.centrofondi.it; www.arcipelagomoneta.it).
1.4.2008
Marco Della Luna