VERSO LE URNE DI PANDORA
L’on.le Angela Napoli della commissione antimafia lo ha detto apertamente, il 4 Agosto a Rai News 24, conversando con Corradino Mineo: i finiani voteranno il federalismo fiscale se sarà un federalismo “solidale”, altrimenti no. Cioè, il governo avrà il loro voto se continuerà a dare ai pubblici amministratori del Sud i soldi del Nord necessari per pagare le cose cinque volte più che in Lombardia e a mantenere personale da cinque a dieci volte più numeroso che in Lombardia. Ricorda la Napoli che programma di governo prevede sì il federalismo fiscale, ma non specifica come debba essere. Quindi c’è libertà di interpretazione.
Al contempo, i finiani risultano molto più numerosi del previsto, e incontrano i casini ani, i rutelliani e il siculo Lombardo; si parla di terzo polo e di sua capacità di attrarre pezzi del PD. Il 13 Agosto Napolitano ha rilasciato un’intervista al L’Unità, organo ufficiale del partito di opposizione, per dire che PDL e Lega non si illudano di andare automaticamente alle elezioni se il governo viene sfiduciato: si potrebbe fare un governo con altra maggioranza per evitare il vuoto politico (questo governo, è implicito, cambierebbe la legge elettorale per ostacolare una nuova vittoria di Berlusconi). Montezemolo, intanto, si pre-candida o si fa pre-candidare. Insomma, si coagula il partito romano-meridionalista della spesa pubblica assistenziale garantita a spese del reddito prodotto nel settentrione. Il Polo del Sacco del Nord. Forse certe iniziative, certi attacchi al governo in chiave di tutela della spesa assistenziale al Sud sono una reazione al f atto che il ministro Maroni sta colpendo molto duramente gli interessi e le pratiche intorno alla spesa pubblica al Sud. I beneficiari di questa spesa pubblica si sentono minacciati. Il 5 Agosto, al voto di sfiducia su Caliendo, il rappresentante degli autonomisti siculi di Lombardo ha richiamato il governo al suo dovere di sostenere il Sud.
Aggiungiamo che già si parla di nuova manovra (tagli, tasse) per l’autunno. E che gli istituti econometrici ammoniscono: il sistema-paese sta perdendo rapidamente produttività del lavoro, ossia competitività. Ossia, che produrre beni e servizi in Italia costa sempre di più. Il che si legge così: a causa della troppa pressione fiscale, dei forti costi finanziari, dei pochi soldi che rimangono per ricerca e investimenti, nonché delle scadenti infrastrutture, le aree produttive del paese perdono posizioni rispetto ai competitori internazionali, quindi esporteranno sempre meno, oppure dovranno tagliare i salari. O anche: spremuta come è per mantenere il Sud e la casta di politicanti disonesti e incompetenti, la parte produttiva del paese perde produttività e in un futuro non remoto non sarà più in grado di continuare il mantenimento, anche se la parte mantenuta non pensa a tale evento, essendo abituata ad essere mantenuta senza interessarsi alla produzione di ciò con cui viene mantenuta.
A questo punto si aprono tre vie divaricate all’inizio, ma convergenti in proiezione:
Prima via: Berlusconi e il Polo del Sacco del Nord raggiungono un accordo per continuare col governo attuale senza federalismo fiscale, o meglio attuandone uno “solidale”; per far ciò hanno bisogno di fare a meno dell’appoggio dei titolari della Lega Nord e degli altri esponenti del settentrione produttivo, oppure di comperare il loro appoggio. Poiché si tratterebbe di governare fino ad esaurimento delle residue risorse economiche, sarebbe un governo in cui si massimizza il rubare politico. Ma se fossi Bossi o Calderoli o Maroni non mi venderei, bensì andrei allo scontro popolare contro i romano-meridionalisti, perché così otterrei il 50% del voti del Nord (come ha detto il 5 Agosto a Radio 3 Massimo Cacciari), e potrei sensatamente puntare all’indipendenza.
Seconda via: Berlusconi insiste su un vero federalismo fiscale e sui costi standard, e cerca di rimpiazzare i voti dei finiani e di altri romano-meridionalisti con l’aggregazione di esponenti politici delle aree produttive. Cioè omogeneizza quanto rimane del PDL alla Lega Nord e punta a costituire una maggioranza nordista, capace di reggersi contro gli interessi e l’azione politica di Roma e del Sud – interessi che si coalizzeranno in un fronte partitico. In tal modo si stabilisce finalmente la corrispondenza tra i poli di interessi reali e rappresentanza politica, ossia un bipartitismo efficiente, con la fine dei partiti c.d. nazionali, ossia che pretendono di rappresentare sia il Nord che il Sud. E siccome ai due opposti poli di interessi corrispondono due aree distinte del paese, l’esito naturale di questa opposizione sarebbe la separazione del Nord. Di quel Nord al di sopra del Po, di cui, come sempre Cacciari ha detto, da Bologna in giù l’Italia non conosce – se non come vacca da mungere, aggiungo io. Per spingere Berlusconi su questa via, la Lega può coltivare rapporti col PD e minacciare di allearsi con esso per fare il c.d. federalismo (del resto, in oltre dieci anni al governo con Berlusconi non ha ottenuto alcuna vera riforma per il, Nord o per il paese nel suo complesso, e Berlusconi appare sempre più bolso e sulle difensive, sempre meno capace di riformare il paese).
Terza via: Colle e Palazzo evitano il ricorso alle urne, e danno vita a un governo transitorio senza mandato popolare, sostenuto da PD, CDU, IDV, finiani, rutelliani, autonomisti siculi – un governo che faccia una riforma elettorale tale da prevenire future vittorie di PDL e Lega Nord, e che ricorra a tasse e a misure forti per reprimere ogni resistenza in un quadro economico in accelerato deterioramento. Anche questo sarebbe un governo ad esaurimento delle risorse, a breve termine, quindi a massima ruberia politica. E anch’esso produrrebbe una fortissima polarizzazione antiromana, antimeridionale e secessionista dl Nord. E probabilmente dovrebbe fronteggiare l’urto di milioni e milioni di padani che effettivamente scenderebbero nelle piazze, se e quando la situazione socioeconomica si farà dura, o quando quel governo gli metterà nuovamente le mani in tasca. In una tale lotta, Napolitano sa che la propaganda avversaria gli lancerebbe contro almeno due accuse alquanto pericolose, basate sui suoi precedenti politici: la prima, di aver difeso l’invasione sovietica dell’Ungheria nel 1956, fatta per bloccare l’evoluzione democratica di quel paese, sicché si direbbe che oggi come allora, egli è contro la democrazia e le libere elezioni. La seconda, di essere stato dirigente del PCI ai tempi in cui il PCI era sottoposto a quel PCUS che teneva puntati i missili nucleari sugli Italiani, sicché è inconcepibile che oggi egli sia il loro presidente.
Stiamo fluendo verso le urne di Pandora. Da un voto popolare, in questa situazione, può uscire di tutto, anche la prova lampante che l’Italia è ingovernabile, che è un modello fallito. Può sortire il primo fatto politico importante della storia italiana dal 1949, ossia dalla firma dei patti di soggezione agli USA. E se Washington percepisce che l’Italia è ingovernabile col presente assetto, può farlo saltare e sostituirlo con altro più efficiente nel reggere il paese e mantenerlo in linea coi suoi vincoli verso gli USA. Gli interessi dell’apparato di potere italiano, partitico-burocratico, sono dunque seriamente a rischio. Impedire che si vada alle urne, in questo scenario, può quindi ben essere la priorità di un Napolitano, come pure di una Angela Napoli.
15.08.10