REALISMO E IMMIGRAZIONE
L’immigrazione di massa è un trapianto di società, non semplicemente di singoli immigranti. Quando riceviamo un’immigrazione di massa da questo o quel paese, riceviamo non solo singole persone portatrici di caratteri e problemi individuali, bensì interi pezzi della società di quel paese – gruppi di persone che portano con sé, da i paesi di origine, i sistemi sociali, relazionali, morali, politici propri delle società di provenienza. Sistemi che tendono a modificarsi nell’interazione col nostro contesto sociale. Le modificazioni possono andare in vari sensi: verso la chiusura e la radicalizzazione etnico-religiosa, verso l’assimilazione alla nostra società, verso forme di ibridazione.
Per valutare realisticamente, sia in via preventiva-previsionale che in via consuntiva, gli effetti dell’immigrazione di massa che stiamo ricevendo, dobbiamo conoscere non solo l’impatto dei singoli immigrati, ma anche e soprattutto l’impatto dei loro gruppi associativi, delle loro comunità: verificare che tipo di culture, di pratiche e di sistemi sociali portano con sé le varie etnie che immigrano, e che effetti questi hanno sulla nostra società e sulla nostra economia. Dobbiamo verificare, quindi:
-se sono o non sono lesivi della sensibilità etica che costituisce il presupposto della coesione, dell’affidamento, della solidarietà sociale nostri (ad es., sottomissione della donna, mutilazioni genitali, mangiare cani e gatti);
-se sono intolleranti e aggressivi verso nostri diritti, principi, valori, credenze religiose;
-se impongano, con la forza o la minaccia o la corruzione, la tolleranza da parte della nostra società e delle sue istituzioni verso prassi legalmente illecite (ad esempio, corruzione o intimidazione delle Autorità affinché tollerino prassi di lavoro nero schiavistico, sfruttamento di prostituzione, spaccio di droga); e se nel far questo siano appoggiati dal potere economico e politico della loro patria (come può essere il caso della Cina o di paesi da cui dipendiamo per il petrolio);
-se migliorano o peggiorano la sicurezza e l’ordine pubblico, il rapporto dei cittadini col territorio;
-se migliorano o peggiorano il senso civico, il rispetto complessivo delle regole, la fiducia in tale rispetto;
-se migliorano o peggiorano il funzionamento dei servizi pubblici, come la scuola, la sanità, i trasporti;
-se migliorano o peggiorano l’igiene pubblica (cioè se apportano malattie infettive nocive per la popolazione);
-quali costi e quali benefici danno, e a chi, e se il saldo è attivo o negativo; cioè:
-se gli immigrati vanno a soddisfare una domanda di lavoro che la popolazione autoctona non può soddisfare;
-se il lavoro che essi forniscono va a beneficio solo dei datori di lavoro, in quanto mano d’opera a basso costo, oppure si traduce in vantaggi per tutta la popolazione;
-se il lavoro a basso costo che essi offrono, in nero o regolarmente, comporta il licenziamento, la non assunzione, l’abbassamento dei salari e la riduzione degli altri diritti dei lavoratori nazionali;
-se essi offrono, e in che misura, mano d’opera anche alla criminalità organizzata;
-in che misura versano i contributi, e in che misura lavorano in nero;
-in che misura lasciano i loro redditi in Italia, e in che misura li spediscono all’estero, diminuendo la ricchezza nazionale;
-in che misura, considerando anche i ricongiungimenti e i figli che generano, essi gravano sulla finanza pubblica in termini di assistenza, pensioni, sanità, scuola, casa (molti enti pubblici pagano coi soldi dei cittadini l’affitto e le spese condominali di numerosi immigrati).
Dobbiamo essere consapevoli che quando importiamo centinaia di migliaia di marocchini o di albanesi o di nigeriani o di cinesi o di rom e sinti, importiamo interi pezzi delle loro società, non semplicemente singole persone, e ce li mettiamo o lasciamo mettere nella nostra società. E’ un trapianto di società e culture, non (solo) di individui. Dobbiamo chiederci, ad esempio: com’è la società nigeriana? che pratiche, che valori, che problemi sanitari ha? ne vogliamo un pezzo di 300.000 persone?
Quando si dibatte sull’immigrazione, si ignora questo quesito fondamentale, come pure un altro, ancor più generale: siamo una società salda, integrata, con un alto rispetto delle regole, che quindi potrà reggere l’immissione di grossi gruppi di altre culture, da integrare? I gruppi analoghi che sono già immigrati da tempo, che impatto hanno avuto sul nostro sistema?
Si dovrebbe cioè fare un lavoro scientifico di prospezione e ingegneria dell’immigrazione, che allo stato manca.
Ad esempio, Torino e Milano hanno avuto una immigrazione di massa dal Meridione negli anni 50-70, che ha trapiantato al Nord una società diversa da quella autoctona. Orbene, questo trapianto, che effetti ha avuto sulla società autoctona? Ha migliorato o ha peggiorato la qualità della vita, l’ordine pubblico, la sicurezza, la vivibilità del territorio, il rispetto delle regole, la moralità della pubblica amministrazione e della classe politica? Ha impiantato nel Nord sistemi di potere tipici del Sud e indesiderabili? Gli effetti di tale immigrazione dal Meridione potevano essere preveduti e, in quanto indesiderabili, prevenuti, se si fossero presi in considerazione gli effetti che essa aveva avuto, ad. es., sulla società americana negli anni ’20 e ’30?
Queste verifiche vanno fatte in modo oggettivo e quantitativo, scevro da giudizi morali, ossia misurando e quantificando dati controllabili, senza nulla concedere ai pregiudizi in un senso o nell’altro, o ai preconcetti identitari.
Vanno altresì fatte distinguendo tra i vari gruppi etnici immigrati: albanese, rumeno, indiano, egiziano, marocchino, nigeriano, cinese, etc. Se si accerta che un certo gruppo etnico immigrato ha il 90% della popolazione attiva impiegato in agricoltura e un basso tasso di criminalità, quello è un gruppo utile. Se si accerta che un altro gruppo etnico ha il 90% delle donne dedito alla prostituzione e il 90% degli uomini dedito ad attività illecite o ignote, quello è un gruppo nocivo per la società, e va trattato di conseguenza: blocco degli accessi e dei rinnovi dei permessi, espulsione efficace dei clandestini.
Lo Stato ha come ragion d’essere la rappresentanza e la tutela degli interessi e dei diritti della sua popolazione, sia pure collaborando, nei limiti delle sue risorse disponibili, alla gestione dei problemi globali, ed astenendosi dal violare i diritti universali dell’uomo se non in caso di emergenza. Lo Stato è dunque tenuto, nei confronti della sua popolazione, a fare le predette valutazioni, e regolarsi di conseguenza. Le valutazioni e i provvedimenti devono considerare innanzitutto le caratteristiche dei gruppi sociali nel loro insieme, e in seconda battuta i singoli individui. Ossia devono innanzitutto individuare statisticamente i fattori problematici delle varie categorie di immigrati, e adottare misure di ordine generale, cioè leggi; e, al secondo livello, si devono distinguere i casi specifici. Ad esempio, all’interno di un gruppo etnico complessivamente sano e non disturbante, si individua l’autore di un reato e, singolarmente e senza generalizzare, lo si processa, condanna ed espelle, con provvedimenti non generali, ma singolari (sentente, decreti, ordinanze). Oppure, all’interno di un gruppo etnico complessivamente nocivo, ci si apre a casi singoli di persone di accertabile innocuità e meritevolezza.
Ancora prima che sui gruppi già immigrati, è indispensabile fare accertamenti preventivi sulle società da cui proviene o ci si attende un flusso migratorio verso il nostro paese: occorre accertare preventivamente quali caratteristiche abbia quella società e quella cultura in tutti i campi rilevanti: pratiche circa la violenza, le armi, livello di tolleranza; livello di igiene; concezione del lavoro; propensione al furto, alla rapina, allo sfruttamento del lavoro altrui; etc. Ciò per valutarne la prevedibile problematicità e istituire i filtri del caso, più o meno stretti. Pensiamo al caso di quelle società che sono caratterizzate dalla pratica della violenza, della guerra o guerriglia, tribale o religiosa o etnica, nelle quali la generalità delle persone, e magari anche i fanciulli, sono avviati all’uso delle armi, a combattere, uccidere e saccheggiare, a rubare o prostituirsi o spacciar droga. Il trapianto di pezzi di una tale società nella nostra è ovviamente indesiderabile, quantomeno per il fatto che l’immigrazione di numerose persone la cui principale competenza è l’uso delle armi fornisce ampia manovalanza alle già troppo forti organizzazioni criminali italiane – una manovalanza, per di più, avvezza ad ammazzare e a sfidare la morte.