OLTRE IL MINIMALISMO DI TREMONTI: CHANCES DI SECESSIONE
OLTRE IL MINIMALISMO DI TREMONTI
Le ripetute manovre anti-default del governo in carica hanno carattere recessivo, perché deprimono spesa e consumi e riducono il potere d’acquisto; di aggravio fiscale, perché comportano più tasse, più costi per le famiglie a seguito del taglio dei trasferimenti agli enti pubblici; e di presa per i fondelli, perché i tanto vantati tagli di 54.000 poltrone pubbliche colpiscono le poltrone che costano poco e niente, mentre rispettano tutte le 25.000 poltrone dei consigli di amministrazione di enti pubblici o misti che costano molto e che rendono molto ai partiti e ai loro amici: sono quelle dove vengono collocati fedeli del partito, privi di competenza tecnica e incaricati di deviare la spesa pubblica, le assunzioni, gli appalti in favore dei partiti. Questa scelta di non sopprimere tali poltrone sostituendo i consigli di amministrazione con amministratori unici, è la riprova che la politica italiana vive di corruzione e che non è possibile che rinunci alla spesa parassitaria. E che per salvare la spesa parassitaria taglia quella buona. Tremonti sarà onesto e competente, saprà ciò che sarebbe bene fare, ma sa anche che nessun apparato partitico glielo permetterà, a meno che sia costretto da un potere esterno al sistema.
Le manovre in parola, inoltre, non hanno carattere strutturale. Non rilanciano investimenti e occupazione. Combinate con l’introduzione del vincolo di pareggio in Costituzione, rischiano di innescare una spirale recessiva. Per giunta, rischiano di non passare, data la forte opposizione innanzitutto popolare, ma anche partitica e persino interna alla maggioranza. Esponenti storici di Forza Italia, come Marcello Pera, annunciano che non voterebbero la fiducia. Lo stesso governo è diviso. Uno spettacolo che rivela ancora una volta che la classe politica italiana non è in grado di risolvere i problemi.
Chiaramente con queste manovre il governo si propone non di risolvere le causa, ma solo di guadagnare tempo – ma a che scopo? Non ne immagino altri, che questo: tener duro finché altri paesi importanti, soprattutto la Francia, entrino in crisi finanziaria; a quel punto l’Italia potrebbe sedersi a un tavolo di riforma finanziaria europea o globale e avere voce in capitolo. Cosa che non le sarebbe possibile se saltasse prima.
Se questo è lo scopo del governo, o di Tremonti, allora è uno scopo sensato, razionale, seppur minimale. Però per raggiungerlo bisognerebbe fare urgentemente anche altre cose (sempre salvo il discorso di fondo, ossia che sono tutte pezze su toppe se non si elimina la radice del problema, ossia il cartello privato della moneta e del credito). Vediamole:
1-Legalizzare e tassare droghe e prostituzione;
2-Togliere le esenzioni fiscali IVA, IRES, ICI alle attività imprenditoriali e alle proprietà economiche degli enti ecclesiastici (gettito ricavabile: almeno 4 miliardi l’anno); tassare/confiscare la loro manomorta (stimata in circa 1/5 del patrimonio immobiliare italiano); il fatto che non se ne parli nemmeno, e si sia preferito colpire i servizi pubblici, dimostra il potere politico della Chiesa Cattolica e la sua vocazione economica;
3-Togliere le esenzioni fiscali ai redditi da dividendi delle fondazioni bancarie (istituite con la legge Amato (L. 218/90);
4-Sopprimere i consigli di amministrazione degli enti pubblici (sono 25.000 poltrone, quelle che costano di più: quasi tutti personaggi incompetenti messi lì dal partito per “prendere”), sostituendoli con amministratori unici, nominati per competenze tecniche (lo ha proposto anche Di Pietro; ma la scelta di non farlo dimostra che tutti i partiti vivono di queste cose, e che si difendono trasversalmente come cricca);
5-Innalzare a 65 anni l’età pensionabile, per ambo i sessi; porre un tetto modulato alle pensioni di reversibilità, e gradualmente abolirle per il futuro;
6-Istituire un fondo sovrano cui conferire gli asset statali e usarli per emissioni di btp garantiti, quindi a minor tasso, con cui finanziare il riacquisto di quelli a maggior tasso oggi in circolazione;
7-Destinare ½ dei proventi e risparmi da quanto sopra alla riduzione del debito pubblico, e ½ a infrastrutture utili, alla ricerca, alla tutela idrogeologica e artistico-monumentale;
8-Smettere di nascondere il tasso reale di svalutazione dell’Euro (la c.d. inflazione), in modo da consentire azioni per il recupero di potere di acquisto ai percettori di reddito, essendo oramai conclamato che la pretesa di risanare il sistema mediante l’erosione surrettizia dei redditi reali è fallimentare.
Tassare i capitali scudati sarebbe incostituzionale e controproducente, perché lo Stato ha già fatto un contratto con i loro detentori: questi hanno pagato in cambio dello scudo; se lo Stato ora si rimangia il contratto, perde gravemente di credibilità per il futuro, e i capitali se ne andranno ancora di più.
Inopportuna è pure l’idea di mettere il tfr in busta paga: il tfr è un finanziamento per le imprese, e togliere liquidità alle imprese in questi tempi di stretta finanziaria sarebbe un suicidio.
Altra cosa da non fare è privatizzare beni e servizi pubblici: le privatizzazioni sono andate complessivamente a danno della gente e a profitto della mafia partitocratica.
Quanto sopra può bastare per tirare avanti uno o due anni, ma resta il problema di fondo: il sistema-paese Italia è meno efficiente dei suoi partners europei perché è amministrato e governato molto peggio, perché ha una classe dirigente molto meno capace e molto più “corrotta”, che vive di sulla spesa pubblica, sui trasferimenti, sul clientelismo, e che ha imparato questo metodo di ottenere consenso e restare al potere, e non ne conosce altro, ed è stata selezionata e continua a selezionare le sue nuove leve in base alla capacità di applicare questo metodo. E’ quindi chiaro perché paghiamo tasse scandinave e abbiamo servizi africani, incluso quello giudiziario; e perché la pubblica amministrazione italiana costa il 30% in più di quella tedesca e rende molto meno; e perché le opere pubbliche costano il 30% in più in Italia rispetto alla Germania: la classe politica dirigente, tutta, trasversalmente, vive di questo, di intercettazione della spesa pubblica e delle altre risorse pubbliche. Ecco perché non taglia i costi e gli sprechi della politica: non può. E’ il ramo su cui siede. la greppia da cui si nutre, la fonte da cui si finanzia. Tutta, in blocco. Sta portando il paese alla rovina, inesorabilmente.
Prassi e mentalità non si possono cambiare o riformare per legge. Quelle italiane si sono formate e consolidate in molti secoli di dominazione straniera, durante la quale si era deresponsabilizzati e ci si adattava arrangiandosi e fregando. E in secoli di una religiosità che, a parole, predicava livelli morali altissimi ma, nei fatti, accettava e praticava livelli morali bassissimi, e compromessi di ogni sorta, educando la gente a tutto ciò, alla rassegnazione e all’ipocrisia sistematica. Nel dopoguerra si è aggiunta la contrapposizione rigida democrazia-comunismo, che ha ingessato la politica e insegnato a turarsi il naso e votare il proprio partito di riferimento anche se marcio. Il risultato è che la c.d. corruzione è ineliminabile, è tutt’uno con la politica, con la produzione del consenso, con la legittimazione. Il Senato della Repubblica si taglia il budget dell’1 – 1,5% e se ne vanta! Il 17 Agosto, alla presentazione dell’epocale manovra anticrisi, intervengono solo 11 senatori! Hanno perduto il contatto con la realtà. Risibile è che la casta italiana faccia ora una campagna di spot televisivi in cui addita gli evasori come parassiti: i parassiti sono loro, è la casta stessa, proprio quella che mette e incassa le tasse, e le spende per i propri interessi, probabilmente molto peggio per la nazione di come gli evasori spendono i soldi che risparmiano dal fisco.
E questa classe dirigente, così come è, con le sue strutture e prassi, è l’espressione della stessa società italiana, della mentalità italiana, non un quid sovrapposto ad essa e che si possa togliere chirurgicamente – vuoi con una chirurgia giudiziaria, vuoi con una chirurgia rivoluzionaria. Non è vero che gli italiani sarebbero meglio rappresentati se i parlamentari non ci fossero: questi parlamentari, sebbene inutili, anzi nettamente nocivi al paese, sono l’espressione della popolazione italiana, delle sue dinamiche, dei suoi meccanismi, della sua mentalità. Gli Italiani non hanno il coraggio né una sufficiente fiducia e lealtà reciproca per organizzare ed eseguire una rivoluzione, ma anche se facessero una rivoluzione à la Robespierre e tagliassero la letteralmente la testa a tutta la casta (400.000 persone, secondo Stella e Rizzo) eliminando la classe politica e burocratica – parliamo ovviamente per mera ipotesi – non avrebbero risolto il problema perché non ci sarebbe una classe dirigente alternativa, ma soprattutto la società e la sua mentalità sarebbero quelle di prima. Le caratteristiche sociologiche di una popolazione non le cambi con lo strumento legislativo né con la ghigliottina.
Il predetto differenziale di efficienza sistemica impedisce l’integrazione dell’Italia con i principali partners europei. Impedisce anche, nel lungo termine (e già nel medio termine rende molto oneroso e nocivo) il condividere una moneta forte con questi partners. E questi partners, e gli elettorati dei loro paesi, sanno benissimo quanto sopra. Sanno che non possono accettare un’integrazione con un paese come l’Italia. Vedono ogni giorno in televisione ciò che succede cronicamente quaggiù: a Napoli, con i rifiuti urbani, e a Roma, con altri tipi di rifiuti. Non possono accettare la nostra classe dirigente. Manovrano, infatti, con le pinze, per condizionare, dirigere, ricattare (secondo alcuni) la politica italiana dal di fuori, via Bruxelles, via BCE. Questo fatto, assieme all’impossibilità di essere integrati per le ragioni suddette, dovrebbe dettare una conseguente politica nazionale, che non investa sacrifici per l’integrazione, cioè che non spenda risorse per raggiungere obiettivi che si sa irraggiungibili.
Tuttavia i problemi e le dinamiche finanziarie e monetarie ci stanno inesorabilmente e impersonalmente trasportando ben oltre questi punti.
Il 15.08.11 Bossi, parlando alla festa leghista di Alzàno (Bg), ha affermato un dato ovvio per la scienza economica, seppur inaccettabile per gli interessi oggi prevalenti e per la “morale” che esprimono, ossia ha affermato che il Norditalia può probabilmente funzionare con una moneta forte come l’Euro e con i vincoli di bilancio di BCE e Commissione Europea, mentre il Suditialia non può farcela. E ciò perché il Norditalia ha un livello di produttività e competitività analogo a quello dei paesi euro forti, quindi può reggere la loro concorrenza senza aver bisogno di svalutare. Al contrario, il Suditalia, da sempre (quindi oramai stabilmente) ha un livello di produttività e di competitività molto inferiore, quindi per esportare e per attrarre capitali ha bisogno di disporre di una valuta a cambio più basso, altrimenti la sua economia si atrofizza e deve essere sempre più mantenuto. D’altronde, Germania e Francia non sono disposte a mantenere il Suditalia (oggi hanno espressamente rifiutato di emettere l’eurobond, ossia il debito comune europeo per finanziare la spesa italiana, greca, portoghese, spagnola, irlandese), e un Norditalia frenato dai debiti, dalle tasse, dai prelievi che subisce per Sud e Roma, non ce la fa più a mantenerlo.
Quindi l’Italia, se rimane tutta unita e nell’Euro, finisce male nel suo insieme. A questo punto l’interesse comune di Norditalia e Suditalia è di separarsi – senza malinconie: i confini resteranno aperti e quando la diversità di tendenze, mentalità, abitudini, prassi, cultura è forte, dividersi costituisce una vittoria, una liberazione, un guadagno. Il Norditalia è già commercialmente inserito nell’area centroeuropea e, data la sua forza economica, i suoi t-bonds sarebbero assai appetiti, tanto più che, liberatosi dalla zavorra e dalle influenza sfavorevoli del Sud e di Roma, godrebbe di un brillante sviluppo. Il Suditalia, a sua volta, liberatosi dal cappo della moneta forte, ritornando a una Lira svalutata del 40% circa sull’euro, recupererebbe competitività e mercati, attrarrebbe turismo e capitali, e godrebbe pur’esso di un brillante sviluppo. E non potendo più contare sul contributo del Nord per rimediare alle proprie disfunzioni, cioè dovendo fare i conti con esse, avrebbe finalmente una forte motivazione a risolverle, anziché, come ha ora, ad amplificarle. Perciò sarebbe finalmente indotto a uscire dallo stato di degrado e inefficienza in cui versa praticamente dalla sua conquista da parte dei Savoia. La classe politica non potrà più vivere sull’intercettazione dei trasferimenti dal Nord al Sud, quindi sarà essa pure costretta a cambiare, a imparare un mestiere reale. Il Suditalia potrà anche intraprendere un’azione legale contro la Casa Savoia per ottenere il risarcimento delle rapine subite durante e dopo l’annessione.
Per effetto di quanto sopra, al Nord e al Sud potrà avvenire quella trasformazione della politica e dell’amministrazione, quella liquidazione della casta parassitaria, che non si possono fare per legge o per sentenza, ma che sono prodotte dai mutamenti del piano strutturale profondo.
In Germania diverse voci si levano in tal senso, auspicando la separazione di Norditalia e Suditalia (o Padania e Bordello, come insolentemente le ha definite The Economist). Esse rilevano, oltre a quanto sopra, che il Norditalia non accetterebbe l’umiliazione e il danno dell’espulsione dall’Euro o della relegazione in una 2a Classe, un Euro B, svalutato del 40%.
Del resto, passare a un Euro di serie B restando però sotto gestione di EBC, assieme a Grecia e Portogallo: a quel punto, converrebbe all’Italia il ritorno alla Lira e il recupero della sovranità monetaria. Il Norditalia avrebbe enormi danni economici se dovesse seguire il Sud in un Euro B o fuori dall’Euro. Quindi ha necessità separarsi dal Sud per salvare la sua economia. Se e quando si muoverà in tal senso, non sarebbe accettato che Roma gli mandasse contro l’esercito, perché l’economia internazionale non accetta la violenza delle armi contro aree economicamente importanti e interdipendenti.
Aggiungono che Il Suditalia, dopo la separazione, farebbe default – io raccomando, invece, un lungo piano di ammortamento del suo vecchio debito pubblico in Euro. Osservo anche che, in un Suditalia indipendente, le Mafie non potrebbero più nascondersi dietro lo Stato, e non potrebbero evitare di assumersi la responsabilità di far politica e di gestire la cosa pubblica, in quanto fanno l’uno e l’altro. Perciò dovranno farsi carico di responsabilità e compiti sociali, non limitarsi a gestire il business criminale. Cambieranno la loro natura. Ma starà alla fine alla popolazione del Suditalia accettare o non accettare e trasformare certe strutture di potere.
Per l’intanto, che sta per succedere? Che i decreti anti-default, pesantissimi, iniqui e recessivi, rischiano di essere stravolti, di non passare, o di passare tramite un voto di fiducia molto deleterio e rivelativo. E che poi – come rilevano in Germania – a Roma arriveranno gli ispettori della BCE, a controllare i conti e l’applicazione delle norme anti-default. In Germania non pochi si aspettano che gli ispettori troveranno molto da ridire, e che Bossi, tradizionalmente euroscettico, spera appunto che sia questa l’occasione buona per (far) dare allo Stato unitario italiano la spallata decisiva: il fallimento, la non attuazione o l’insuccesso dei sacrifici anti-default. Prima quindi li appoggia e sostiene le richieste della BCE in tal senso. Poi aspetta che facciano cilecca, e che si imponga la scelta tra esser cacciati tutti fuori dall’Euro e verso l’Africa, oppure separarsi e lasciar uscire solo il Suditalia con Roma. Questo è il sottostante del suo plauso alle grida di “secessione!” e delle sue affermazioni “per l’Italia è arrivata la fine” e “preparatevi”.
Non avverrà che la BCE, la Francia, la Germania o chi altro intervengano per salvare l’Italia dal default come hanno fatto per la Grecia: un tale intervento non è possibile, perché il debito pubblico italiano è enormemente maggiore di quello greco, superiore del 50% della somma di quelli portoghese, spagnolo e irlandese. E poi, riflettiamo un attimo: dopo ciò che stanno vedendo da anni sulla gestione dei rifiuti napoletani (e non solo napoletani), oltre che sulle storie di mafia, di mala giustizia, di malapolitica, ovviamente Tedeschi, Francesi, Olandesi etc., mai e poi mai accetteranno – e in effetti rifiutano di farlo – la via dell’eurobond caldeggiata da Tremonti: non accetteranno mai di condividere il debito pubblico con l’Italia, perché questa esprime un sistema e una fauna di potere politico e burocratico inefficiente, distruttiva, criminale. Quindi non ci sarà mai un’integrazione politica europea includente l’intera Italia. Probabilmente, ma con garanzie serie, potranno però accettare un’integrazione politica limitata al Norditalia, più forse la Toscana, le Marche, l’Umbria.
18.08.11 Marco Della Luna