ART. 66 COST.: AUTODICHIA E DIVISIONE DEI POTERI NEL CASO BERLUSCONI
ART. 66 COST.: AUTODICHIA E DIVISIONE DEI POTERI
UNA CORRETTA SOLUZIONE COSTITUZIONALE PER B E PER IL GOVERNO?
L’art. 66 Cost. stabilisce che sono le camere a giudicare (sì, la Costituzione dice proprio: giudicare) sull’eleggibilità e sull’incompatibilità ciascuna dei suoi propri membri. Questo tipo di giudizio si definisce “autodikìa” (autogiustizia) e si tratta di un vero e proprio giudizio, di un atto di applicazione del diritto oggettivo, non di un atto politico o legislativo.
La funzione di questa norma costituzionale, notoriamente, è quella di tutelare l’indipendenza delle camere nelle persone dei loro membri, quali espressioni dirette della volontà-sovranità popolare, contro la possibilità di ingerenze, condizionamenti, intimidazioni, arresti abusivi da parte di portatori del potere giudiziario, ossia di magistrati. Serve quindi a tutelare l’indipendenza del potere legislativo, e delle persone dei legislatori, dai tentativi di condizionamento da parte del potere giudiziario e dei magistrati.
L’autodikìa è quindi una deroga al principio di separazione dei poteri, secondo il quale il potere giudiziario deve essere esercitato dai giudici soltanto – una deroga che ha il fine di tutelare la stessa divisione dei poteri, ma a un più alto livello. Scrive Wikipedia alla voce autodichia: “la generalità delle costituzioni prevede l’autodichia del parlamento (ed eventualmente di altri organi costituzionali) in relazione a controversie riguardanti atti e attività che si svolgono al suo interno (i cosiddetti interna corporis), in modo da sottrarlo ad ingerenze di altri poteri dello Stato e salvaguardare così la sua indipendenza. In campo parlamentare, il principio di autodichia riguarda essenzialmente “il diritto del Parlamento di essere giudice delle controversie che riguardano i propri dipendenti”. La Corte costituzionale ha stabilito la legittimità di tale forma di giurisdizione, ritenendo che deroghe al divieto costituzionale di istituire giudici speciali (art. 102, 2º co. Cost.) sono ammissibili “nei confronti degli organi immediatamente partecipi del potere sovrano dello Stato, situati ai vertici dell’ordinamento, in posizione di assoluta autonomia ed indipendenza”.”
Di fronte a un caso come il caso B., l’art. 66 Cost. Comporta pertanto che il Senato non debba e non possa affatto recepire acriticamente (“rispettosamente”) la sentenza, ma che esso dovrà indagare e assicurarsi, ai fini suddetti,
-che le norme in questione non appaiano incostituzionali – nel qual caso il Senato dovrebbe rimetterle alla Corte Costituzionale per la sua valutazione;
-che effettivamente prescrivano la decadenza degli eletti e non solo l’incandidabilità di chi non è ancora eletto;
-che le norme stabilenti l’ineleggibilità, l’incandidabilità o la decadenza non abbiano carattere penale, perché in tal caso non potrebbero essere applicate a fatti anteriori al loro venire in essere;
-che i giudici che hanno condannato B. abbiano operato nel rispetto dei principi fondamentali di indipendenza e di neutralità (quindi devono valutare se le dichiarazioni del presidente della Corte dr Esposito rivelino pregiudizio od ostilità verso B.);
-che i detti giudici abbiano rispettato i diritti della difesa e del giusto processo (quindi che non gli abbiano, ad es., impedito di portare testimoni rilevanti a sua difesa, come egli sostiene);
-che i giudici abbiano motivato la condanna, e che non lo abbiano fatto in modo fittizio o con palesi forzature, tali da suggerire un intento persecutorio.
Solo se tutti questi punti saranno soddisfatti, il Senato potrà legittimamente dichiarare decaduto B. Si noti come, con rare eccezioni, i suoi avversari politici disconoscano la doverosità delle verifiche suddette.
Naturalmente, nel fare queste valutazioni, la giunta e poi il Senato devono tener conto anche del fatto che B. ha subito un altissimo numero di indagini penali da quando è in politica, e indagare se vi sia il fumus di una strategia politico-giudiziaria contro di lui.
Dovranno anche tener conto di fattori generali, ossia:
-dell’alto grado di partiticizzazione dei magistrati in Italia, paese in cui, senza che nessuna istituzione di garanzia reagisca, molti magistrati dichiarano pubblicamente e liberamente di coordinare le loro azioni e il loro uso di poteri giudiziari a fini politici e ideologici (anzi, hanno dichiarato di voler colpire proprio Berlusconi); sicché il grado-base di probabilità di uso improprio dello strumento giudiziario è elevato, e conseguentemente il vaglio di correttezza da parte del Senato sulla sentenza di condanna dovrà essere molto approfondito;
-della bassissima qualità media della giustizia italiana, che si colloca a livello di Africa nera (157° posto al mondo) e che viene continuamente condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per violazione delle regole del giusto processo.
In tutto questo procedimento, o processus judicii, a B. deve essere dato modo di difendersi portando prove, ad esempio, dell’intendo persecutorio o della non-neutralità dei suoi giudici, nonché di esercitare il diritto fondamentale di ricursare quei senatori-giudici che possano essere ricusati in base alle norme sulla ricusazione dei giudici.
Preciso, per finire, che non si tratta di un quarto grado di giudizio, perché il Senato non ri-giudica sull’imputazione per la quale Berlusconi è stato condannato. Si tratta invece di un giudizio, in unico grado, sul processo e sulla sentenza di condanna.
07/09/13 Marco Della Luna