RIFORME E ALTO TRADIMENTO
RIFORME E ALTO TRADIMENTO
In tutta l’Europa occidentale, con le riforme iniziate alla fine degli anni 70, il modello di sviluppo economico e giuridico favorevole al lavoro e alla crescita, di stampo keynesiano, è stato sostituito con un modello neomonetarista, diretto al trasferimento di redditi, ricchezza, diritti e potere politico dalla popolazione generale e dalle classi produttive alla élite finanziaria apolide, subordinando a questo fine antisociale e incompatibile coi principi costituzionali. Questo disegno, già ampiamente realizzato dall’UE e dalla politica italiana, è la radicale eversione del fondamento di legittimità dello Stato sancito dall’art. 1 e dall’art. 3 della Costituzione, laddove questo fonda la Repubblica sul “lavoro”, sulla democraticità, sull’eguaglianza giuridica e sostanziale (a tacere di molti altri principi basilari e inalterabili della Costituzione italiana e non solo di quella italiana). Quindi, come ampiamente documenta il magistrato Luciano Barra Caracciolo nel suo recente saggio Euro e (o?) democrazia costituzionale, l’insieme delle riforme e dei trattati introdotti in esecuzione di questo piano è radicalmente anticostituzionale e – aggiungo io – penalmente illecito siccome attentato contro la Costituzione commesso con mezzi violenti consistenti nel cagionare rischi di default pubblico e nel diffondere disoccupazione, allarme e grave sofferenza sociale.
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Il grande mutuo (Antonino Galloni, Editori Riuniti, Roma 2007) preannunciava l’imminente esplosione di un’imponente crisi finanziaria e di liquidità dopo l’inizio, anni prima, delle problematicità nell’economia reale. Quasi contemporaneamente, in epoca di grandi promesse europeiste al pubblico, un altro saggio,Basta con questa Italia (Marco Della Luna, Arianna Editrice, 2008), scritto nel 2007, anticipava che l’Italia, come sistema paese, con le sue aziende pubbliche e private meno competitive di quelle straniere, sottocapitalizzate, sotto finanziate, strozzinate, vessate da fisco e pubblica amministrazione, incapaci di significativi avanzamenti tecnologici, sarebbe stata rilevata dal capitale straniero, che la avrebbe riformata e gestita secondo i propri interessi, e certo non secondo quelli degli Italiani.
Esattamente questo sta avvenendo puntualmente e con la collaborazione della politica e delle istituzioni di questo paese nonché dell’Unione europea e della Banca centrale europea, che hanno creato ad arte le condizioni affinché ciò avvenisse. Queste condizioni sono essenzialmente una grave carenza di liquidità, che si pretende di combattere con misura fiscali e budgetarie che invece la aggravano, gettando il Paese nelle mani del capitalismo imperialista appoggiato dalla BCE.
L’eversione costituzionale consiste essenzialmente nel sostituire, con l’inganno e le crisi create ad hoc, il sistema socioeconomico legittimante stabilito nella Costituzione con uno incompatibile con esso perché antidemocratico ed oligarchico. In tutta l’Europa occidentale, con le riforme iniziate alla fine degli anni 70, il modello di sviluppo economico e giuridico democratico, favorevole al lavoro e alla crescita, di stampo keynesiano, è stato sostituito, a colpi di emergenze preordinate, con un modello neomonetarista, diretto al trasferimento di redditi, ricchezza, diritti e potere politico dalla popolazione generale e dalle classi produttive alla élite finanziaria apolide, subordinando a questo fine antisociale e incompatibile coi principi costituzionali, la crescita economica, la quale in effetti è stata quasi arrestata, e trasformando strumentalmente gli ordinamenti giuridici e costituzionali dei paesi interessati. Di questo si è più ampiamente parlato nel precedente articolo dal titolo Dove portano queste riforme.
Per completezza, evidenziamo qui tre circostanze.
La prima: non ostante tutto, le imprese italiane esportano più di quanto il sistema Italia importi – quindi hanno un buon potenziale medio di profitto, sono interessanti, fanno gola.
La seconda: la Germania ha fatto e fa imbrogli di tutti i generi ma ha fatto anche una delle cose giuste fino a due anni fa: investimenti dei privati in innovazione tecnologica che riducono il clup (costo del lavoro per unità di prodotto); ma le imprese tedesche hanno potuto farlo perché disponevano di ciò di cui non dispongono le imprese italiane, ossia di un ceto politico-amministrativo abbastanza non dedito al “mangiare”, abbastanza competente, capace di progettualità di medio-lungo termine. Disponevano anche di un mercato interno con un reddito e una capacità di assorbimento non in contrazione strutturale.
La terza: da due anni la stessa Germania sta contenendo la propria domanda interna ed è in uno squilibrio dovuto a eccesso di avanzo commerciale che corrisponde al disavanzo di altri. E’ vero che a tale avanzo non corrisponde un disavanzo dell’Italia, ma nondimeno quell’avanzo è utilizzabile per comperare, in Italia, servizi in via di privatizzazione. Poi dobbiamo tenere presenti le decisioni di Draghi del 5 giugno scorso, o meglio le sue promesse di intervenire miratamente per sostenere il credito bancario all’economia reale, “nei limiti del mandato della BCE”. Espressioni allusive, indeterminate, ambigue, che prospettano una variabile ad oggi ancora tale.
Il trasferimento a costo tendenzialmente nullo o quasi delle aziende italiane al capitale soprattutto straniero o apolide è avvenuto e sta avvenendo attraverso due primari strumenti.
Innanzitutto l’euro, quale blocco degli aggiustamenti fisiologici dei cambi quindi delle bilance dei pagamenti, che ha l’effetto di rendere meno esportabili le produzioni italiane favorendo invece quelle dell’area del marco, di aumentare l’indebitamento estero dell’Italia, di rendere più difficile ottenere crediti in Italia.
In secondo luogo, la tempistica della riduzione del costo del lavoro quindi del costo di produzione per unità di prodotto: la Germania, aiutandosi slealmente con lo sforamento del limite del 3% del deficit sul Pil (autorizzato dall’Italia), nonché con trucchi contabili e con illeciti aiuti di Stato alle imprese, ha ridotto prima di Italia e altri paesi il suo costo del lavoro per unità di prodotto. Lo ha fatto anche introducendo forme di impiego a 250 e € 450 al mese, dette minijob e midijob.
Avendo ridotto il costo del lavoro per unità di prodotto prima dell’Italia e beneficiando del blocco dei cambi che deprezzava il suo cambio “naturale”, ha potuto esportare verso l’Italia e altri paesi periferici molto più di quanto importava da essi, realizzando così per molti anni forti saldi attivi della bilancia dei pagamenti, ed indebitando quei paesi verso di sé, tanto più che prestava loro soldi per importare i suoi prodotti (caso estremo: la Grecia). Ciò le ha permesso e le permette di rastrellare a basso costo aziende valide o potenzialmente produttive e redditizie di quei paesi per integrarle nei propri cicli produttivi lasciando ad esse, cioè in Italia, le briciole dei margini di utile, e chiudendo o convertendo quelle di esse che siano in contrasto o concorrenza con imprese tedesche. Gli utili di queste aziende a rastrellate vengono trattenuti o deportati in Germania.
L’operazione di rastrellamento si sta estendendo, con la partecipazione della Francia, al settore dei servizi pubblici, il quale, beneficiando di posizioni di monopolio di fatto o di diritto, e rivolgendosi a una domanda rigida, cioè incapace di ridursi significativamente a fronte di incrementi tariffari, è un settore che produce fortissimi utili con caratteristiche di vendite. Utili e rendite che vengono raccolti e che saranno sempre più raccolti dalle tasche dei cittadini e delle imprese italiane per essere deportati in Germania e in Francia. Probabilmente l’asse franco-tedesco per dominare l’UE si basa su accordi di questo tipo.
Al fine di massimizzare l’utile di questa operazione, sia sul settore manifatturiero che su quello dei servizi, questo capitalismo mercantilista e imperialista ha bisogno di fare le cosiddette riforme, le quali in sostanza sono riduzioni dei diritti economici e non economici dei lavoratori anche autonomi, aumento della loro sudditanza al datore di lavoro, aumento dei livelli di precariato e di disoccupazione sotto occupazione in funzione di battere la forza contrattuale dei lavoratori. Analogamente vengono colpiti i piccoli e piccolissimi imprenditori, artigiani, commercianti, che non si prestano al piano di conquista dell’imperialismo mercantile franco tedesco.
Per realizzare pienamente questa operazione di take-over sui servizi pubblici, è necessario farli privatizzare. A questo fine essi vengono, attraverso opportune campagne mediatiche, presentati come inefficienti, corrotti, dispendiosissimi, costosi, parassitari. Non si dice che investire in essi aumenterebbe la loro efficienza in quanto li doterebbe di strumenti oggi mancanti, e avrebbe un sicuro effetto di moltiplicatore del Pil, mentre il togliere loro fondi ha un effetto demoltiplicatore. Come ulteriore strumento per sabotarli, li si sta sovraccaricando di oneri e spese anche attraverso la politica di immigrazione di massa senza limitazioni, che sta ponendo un onere crescente e potenzialmente enorme alla spesa pubblica per l’accoglienza, mantenimento, cure sanitarie, alloggio, ricongiungimenti familiari.
Quando la situazione diverrà esplosiva per i crescenti costi così suscitati da una parte e per la crescente disoccupazione e recessione dall’altra, con ulteriori maggiorazioni delle tasse, la popolazione stessa chiederà la privatizzazione estesa dei servizi sociali ora ancora in mano pubblica. A quel punto, capitali stranieri entreranno e occuperanno queste posizioni di mercato collegate a rendite monopolistiche.
Sottolineo che la Germania e i suoi satelliti riescono a sfruttare questo processo perché hanno eseguito prima dell’Italia e di altri paesi le riforme consistenti nella riduzione del costo del lavoro e dei diritti dei lavoratori, acquisendo grazie ciò, per una mera ragione di anteriorità temporale ovviamente studiata apposta, quei vantaggi commerciali, quegli attivi negli scambi con l’Italia, quei conseguenti crediti verso di essa, che poi spendono ora per rastrellare le imprese e i servizi italiani.
La Banca centrale europea, l’Unione Europea, Maastricht, l’euro, vertici istituzionali, tutti concorrono a questo scopo strategico, spingendo per le riforme che l’Europa ci chiede. Ossia, tutti questi soggetti lavorano per cedere trasferire al capitale straniero le risorse e le aziende del paese e insieme per trasformare i lavoratori italiani in forza lavoro sottopagata e sottomessa dei nuovi padroni finanziari stranieri. In compenso di questa prestazione di tradimento, la nostra casta politica si riserva il ruolo di complice dei capitali stranieri, onde mantenere le sue poltrone e i suoi privilegi.
Intorno a questo progetto, la partitocrazia italiana si è ora saldamente unita in modo trasversale, destra e sinistra, per realizzare di corsa le famose riforme. Riforme che non c’entrano col rilancio economico. L’Italicum è stato concordato tra Renzi e Berlusconi per sopprimere i partiti piccoli e autonomi, non radicati nel controllo della spesa pubblica. Soprattutto la nuova legge elettorale e il nuovo Senato, che hanno la funzione di blindarla contro la protesta, il dissenso, il potenziale voto contrario dei cittadini traditi e derubati dai partiti. Si noti che il Senato viene preposto alla regolazione della spesa pubblica e consegnato agli uomini degli apparati partitici regionali, ossia la parte peggiore, più vorace, della partitocrazia. Potranno mangiare più che mai, spalleggiati e legittimati anche dagli interessi stranieri.
È già in programma anche una riforma della giustizia per mettere a guinzaglio quei giudici che restano fedeli alla Costituzione e alla Repubblica. La voteranno tutti insieme, trasversalmente. Sono già d’accordo. E poi qualcuno avrà diritto alla grazia.
Ribadisco che le promesse di risanamento e rilancio entro il modello economico vigente sono pura menzogna. Per tornare alla crescita e all’occupazione è indispensabile, innanzitutto, spiegare il complotto alla gente, specialmente agli imprenditori e ai lavoratori, uscire dalla struttura sopra descritta, dall’Euro, dall’UE e disfarsi dei personaggi politici e istituzionali che la assecondano.
In parallelo, occorre avviare una revisione del concetto di moneta oggi in uso, la fiat currency, e capire-far capire, con tutte le conseguenze, che essa non è una merce né una materia prima, ma un simbolo, generato col computer e senza costi; non ha quindi senso logico parlare di scarsità o mancanza di mezzi finanziari per gli investimenti necessari e utili alla società, anzi è un crimine eversivo e contro l’umanità fingere che vi sia una tale scarsità o mancanza, e usare questa finzione per impadronirsi di un paese e della sua economia reale, e per deprimere i salari e i livelli occupazionali.
E, ancora più fondamentalmente, occorre capire e far capire che l’illusione che i mezzi monetari siano una merce, che abbiano un valore intrinseco, costino a prodursi, siano oggettivamente limitati, è il principale e indispensabile strumento per far accettare alla società e, soprattutto, ai ceti produttivi il progetto dominante della politica da qualche decennio, ossia il graduale trasferimento-accentramento dei redditi, della ricchezza esistente e dei diritti (civili e politici) dalle mani dei lavoratori (dipendenti e autonomi) alle mani del cartello dei produttori dei mezzi monetari che in cambio non produce e non dà alcuna ricchezza reale alla società.
27.07.14 Marco Della Luna e Antonino Galloni