INTERVISTA SU “GREGGE E POTERE”
LUIGI TEDESCHI DI ITALICUM INTERVISTA MARCO DELLA LUNA SUL SUO ULTIMO LIBRO:
“GREGGE E POTERE: IL LIBRETTO ROSSO DELLE PECORE NERE”
- Un libro di aforismi. Perché? Attraverso l’aforisma forse hai voluto dettare massime di orientamento politico – culturale di resistenza all’invasività totalizzante della post modernità? Oppure hai voluto elaborare una forma di catechismo rivoluzionario richiamandoti a Mao Zedong? Tale idea di un catechismo prescrittivo non ti sembra del tutto obsoleta, dato che lo stesso Bergoglio del catechismo sembra ormai farne volentieri a meno in questa Chiesa liquida e omologata all’incedere della post modernità?
R.: Una raccolta di aforismi è il modo più adeguato di rappresentare la caleidoscopica varietà dell’esperienza, mettendo tra loro in vicinanza, quindi in una rete di relazioni, i suoi elementi. In questo piccolo libro sono concentrati spunti per una dozzina di saggi diversi, dall’economia alla sociologia, dalla storia alla psicologia, dal diritto alla guerra. Attraverso una mitragliata di aforismi, ho innanzitutto inteso frantumare la capsula del catechismo mainstream, del pensiero unico e automatizzato, la cupola dogmatica dei condizionamenti etico-culturali. Gregge e Potere distrugge, non costruisce. Distrugge e libera. E non certo proponendo un massimario di pensiero politico. Dalla raccolta di aforismi del sommo Eraclito in poi, l’effetto attivante e liberante per la mente di questo genere letterario opera fornendo una grande quantità e varietà di stimoli, di spunti, di provocazioni critiche, sparati in rapida successione, su molti e disparati temi nodali, contro i nodi delle reti che vengono calate sulle nostre teste. Il pensiero, dagli aforismi, viene sorpreso, irritato e slanciato in tutte le direzioni. Viene sgranchito, disanchilosato, disancorato dalle abitudini. E’ un lavoro di stretching cognitivo. Ginnastica. Gli aforismi sono lo strumento ideale a questo fine, più della lettura di un saggio con lunghe elaborazioni sistematiche, che esigono un’attenzione fissa per lungo tempo. Invece, un aforisma si legge in dieci secondi, massimo un minuto, e uno tira l’altro, come i salatini.
- Codesto libro ha come sottotitolo “Il libretto rosso delle pecore nere”. La pecora nera è una immagine evocativa dello spirito ribellista di colui che rifiuta l’ordine costituito. In passato la pecora nera suscitava fascino, si è sempre identificata col ribelle solitario, col poeta maledetto, con l’anarchico individualista. Oggi sembra invece che siano le masse giovanili della cultura alternativa ad essere divenute militanti delle ideologie della classe dominante quali la transizione green, l’Lgbtq, il gender, il woke, il politically correct, l’animalismo etc…. Ed il loro nemico irriducibile invece è divenuta la residua “pecora nera” ribelle. Quali le cause di questo capovolgimento di prospettiva?
R.: Esatto, oggi la classe tecno-finanziaria dominante ultimamente ha omologato, ha irretito le nuove generazioni nella mappa di verità e valori e paure che le torna utile per pilotarle meglio e prevenire ribellioni e resistenze. Ha precanalizzato le ribellioni in modo che producano un effetto di sostegno al sistema e di delegittimazione o criminalizzazione del dissenso vero. D’altronde, la classe dominante statunitense aveva già fatto negli anni ’20 del secolo scorso una simile operazione, inculcando nelle masse lavoratrici i valori del consumismo, in modo da immunizzarle contro la consapevolezza del conflitto oggettivo di classe. Intendeva così prevenire una loro ribellione in senso anticapitalistico e socialista, sulla suggestione della rivoluzione sovietica. E vi è riuscita. Oggi, la ribellione vera inizia nel farsi pecora nera.
- Ricorre spesso negli aforismi il tema della fine della civiltà. In effetti l’Occidente sembra pervaso da un impulso di autodistruzione del proprio patrimonio storico – culturale, della propria economia, delle proprie istituzioni. Tutto ciò ci induce a pensare che non siamo coinvolti in un processo di transizione in cui ad una civiltà decadente ne subentri un’altra sorgente, ma nella fine della civiltà stessa. L’Occidente non può succedere a se stesso. Non ti sembra che tale prospettiva sia peculiare della evidente decomposizione della civiltà occidentale, i cui destini da tempo non si identificano più con quelli del mondo? Con l’emergere del mondo multipolare, non si stanno affermando nuovi soggetti geopolitici non certo decadenti, ma animati dalla volontà di riscatto dal dominio occidentale? L’avanzata minacciosa dei paesi del Brics, potrebbe suscitare una rinascita della civiltà occidentale? Ho seri dubbi in proposito.
R.: Condivido i tuoi dubbi. Ma non esiste una civiltà Brics: entro il gruppo dei Brics, unito soprattutto da fattori monetari e interessi commerciali, abbiamo il gigantesco formicaio autoritario e orwelliano cinese accanto alla grande e libertaria varietà indiana nella sua multimillenaria e ininterrotta tradizione spirituale politeista; abbiamo l’anima cristiano-neoplatonica russa, l’esotismo variegato del Brasile, etc. Però io intendo un’altra cosa, quando annuncio la fine della civiltà: intendo che la tecnologia consente oggi a qualsiasi classe dominante di esercitare sui singoli governati un controllo e un condizionamento capillari e irresistibili, una manipolazione biologica e genomica radicalmente riduttiva, e ciò cancella l’individualità, la libertà e la privacy, che sono i presupposti non della sola civiltà occidentale, ma anche di quelle orientali. Questo è il mondo unipolare in via di consolidamento e completamento. Unipolarità orwelliana. Niente mondo multipolare. La power élite occidentale sta trascinandoci nel formicaio cinese.
- La narrazione mediatica che pervade il nostro tempo è improntata al mito del progresso, alle incessanti innovazioni tecnologiche che prefigurano il nostro futuro. Occorre però costatare l’immobilismo cinquantennale in cui versa la politica e la società italiana. I temi ricorrenti sono rimasti sempre gli stessi: destra/sinistra, fascismo/antifascismo, conservatorismo/progressismo, gli eterni miti sessantottini, corruzione della politica, clientelismo, inefficienza dello Stato, perpetuo ed innocuo malcontento generale. Da tutto ciò non emerge dunque la realtà di un paese ibernato nella propria dimensione astorica e condannato alla irrilevanza geopolitica? Ma, ti chiedo, non esiste nella psicologia collettiva del popolo italiano una inconscia e/o inconfessabile volontà di preservazione di questo status quo, nella vana speranza di sopravvivere mediante un innato spirito di adattamento, in questo limbo post storico che ci renda immuni dinanzi dalle trasformazioni geopolitiche del nostro tempo?
R.: Nel mio saggio Le chiavi del potere (2002, 2003, 2019), affermavo che, a dispetto di tutte le innovazioni politiche, l’Italia non avrebbe potuto fare altro che continuare a marcirsi addosso. E così è stato. E’ l’immobilismo della società signorile di massa, recentemente analizzata da Luca Ricolfi, e che si macera in clichés culturali stantii e sterili. La politica italiana, a seguito di Yalta e della fine dell’impero sovietico, conta zero, meno ancora di quella dell’Unione Europea, che già conta poco, come si è visto quando la NATO la ha fagocitata nella gestione della vicenda ucraina. I leaders italiani sono personaggi pigliavoti creati volta per volta artificialmente per raccogliere voti mediante promesse politiche antisistema, che si rimangiano subito dopo che sono stati eletti e fare tutti l’unica cosa che sia loro consentito fare: obbedire al padrone straniero e servire il sistema. Prendersi le responsabilità per decisioni di soggetti stranieri. In cambio hanno le poltrone e fanno carriera. Giorgia è solo l’ultimo e vivido esempio di ciò. Storia vecchia, mi dirai, citando la “serva Italia di dolori ostello, non donna di provincia ma bordello”. Veniamo ora al destra-sinistra, fascismo-antifascismo. E al vessillo più stupido di tutti: il riformismo e il progressismo. Parole che sento declamare da quando ero bambino e che coprono una realtà di immobilisti e renditieri. Sono parole che fanno sempre presa. Sono vuote oramai, ma restano efficaci sulla psiche perché condivise e rinforzate nel corso dei decenni dal continuo, martellante uso, che le ha impiantate nei circuiti cerebrali. Funzionano perché sono semplici, sempre le stesse, sempre riconoscibili, anche se falsanti, forvianti e antistoriche. Sono usatissime dalle istituzioni e dall’industria culturale proprio perché rinforzano nelle masse il distacco dalla realtà e la tendenza ad illudersi, a cercare le cause e le soluzioni dove non sono e non possono essere. Berlusconi era tanto ricco da non aver bisogno di vendersi né di rubare, come fa il grosso dei politici di mestiere, quindi poteva essere indipendente: un’anomalia che quindi doveva essere eliminata giudiziariamente. Pur con tutte le sue pecche, che rendono grottesco il tributo del lutto nazionale e dei funerali di stato, credo che avrebbe fatto grandi cose per l’Italia se non fosse stato piegato, mediante gli attacchi giudiziari e il ricatto sui suoi interessi imprenditoriali, a collaborare con gli spogliatori dell’Italia, soprattutto dal golpe del 2011 in poi. Aveva le capacità e i mezzi per bonificare la palude.
- Nei tuoi aforismi, anche in chiave tragicomica, si evidenzia un’immagine dell’Italia devastante: paese corrotto, opportunista, geneticamente dedito al servilismo, inefficiente, privo di dignità, senza futuro. Ma i mali dell’Italia non mi sembrano troppo diversi da quelli di questa Europa americanizzata. Anzi, mentre i paesi anglosassoni e scandinavi sono stati consensualmente sradicati della propria identità e totalmente assimilati alla anglosfera americana, l’Italia non esprime ancora una propria peculiare vitalità? Nel suo irriducibile individualismo, il popolo italiano non manifesta anche la sua creatività ed un inconscio ribellismo anarchico ormai estintosi in Occidente?
R.: L’Italia è un protettorato, tale ridotta a Yalta. Gli italiani si distinguono per l’incapacità di agire collettivamente e per l’abilità nell’agire individualisticamente. E per la codardia: si sono lasciati impaurire dalla campagna governativa di pandemenza e, nella paura, in gran parte si sono allineati acriticamente col sistema. Vedremo se questa esperienza li ha vaccinati contro la prossima campagna di terrore, bellica, ecologica o sanitaria che sia, oppure no. Per il resto, concordo che molti mali dell’Italia sono diffusi in Occidente. E sì, i diversi popoli italiani conservano la fiamma di una loro originalità, individualità e resistenza. Ma questo è vero anche per gli Statunitensi. Anche tra loro, e lo dico per esperienza diretta e aggiornata, sobbolle il ribellismo anarchico. E non manca nemmeno in Germania e in Francia. Magari in forme ingenue, balorde, buffe.
6) La fase pandemica e la guerra hanno accentuato la svolta dirigista – elitaria della società capitalista. La limitazione progressiva delle libertà individuali è ormai conclamata. I social sono divenuti arbitri dell’esercizio della libertà di espressione del pensiero. Allo stesso modo della vaccinazione di massa, non viene inoculata la cultura della post modernità nelle menti di una società che assorbirà gradualmente l’incombente trasformazione antropologica del gender, dell’LGBTQ, il trans umanesimo, l’intelligenza artificiale? La censura, non si è già tramutata paradossalmente in uno strumento di libertà per divenire poi del tutto superflua in una umanità soggetta integralmente ad una governance zootecnica?
Hai detto bene. Aggiungo che limitare e canalizzare la capacità di pensare, prevenire il pensare diversamente, quindi di agire e reagire diversamente, imprevedibilmente, è fattibile e conveniente per la logica della società gestita (Max Horkheimer) e dell’azienda in generale, che deve produrre un rendimento ottimale per il suo padrone, non per i suoi lavoratori. Si sta realizzando al pieno e al peggio la solidarietà organica di Emil Durkheim: la dipendenza dei singoli dal sistema li obbliga ed educa ai comportamenti desiderati dal padrone del sistema – è il condizionamento operante o skinneriano su scala ambientale e permanente, che gradualmente rende superflua la censura, proprio perché questa viene intreriorizzata in guisa di un sistema di auto-restrizioni.
- Con il Grande Reset ed il Green Reset si verificherà una evoluzione tecnocratica – oligarchica del capitalismo. Con l’avvento dell’intelligenza artificiale incombono prospettive transumanistiche e distopiche sul destino dell’umanità. L’uomo, da soggetto, viene degradato ad oggetto del progresso scientifico. Mi permetto però di contestare la tua ricorrente affermazione secondo cui i popoli siano diventati superflui. L’umanità diverrà infatti materia prima di sperimentazione scientifica e sociale. L’uomo sarà infatti l’oggetto degli incipienti progetti di ingegneria sociale, politica, scientifica, telematica, genetica, ambientale, agro alimentare, farmacologica etc…
R.: E’ il tema che ho sviluppato in Oligarchia per popoli superflui (2010, 2018) e in Tecnoschiavi (2019). Le grandi masse non servono oramai più al potere costituito, perché esso si è concentrato in pochissimi vertici (prima erano molti e territorialmente separati e vincolati). Vertici i quali, grazie appunto alla concentrazione oltreché all’automazione, non hanno più necessità di grandi numeri di combattenti, di lavoratori, di consumatori, di coloni. Avviene come già avvenne a buoi e cavalli con l’avvento dell’automobile e del trattore: sono precipitati di numero rispetto a prima di quelle innovazioni. In questo senso i popoli sono divenuti intercambiabili e superflui. Da quando questa rivoluzione si è realizzata – intendo, quella rispetto alle masse umane, non a quelle di buoi e cavalli – sono state avviate nel mondo varie pratiche di riduzione della fertilità e della riproduzione. In quanto all’utilità della gente per uso di cavie, non servono grandi quantità di cavie, per gli esperimenti. Tranne che per i vaccini. Perciò si inizia dai vaccini: sono quelli che consumano più cavie. Ma anche per gli esperimenti sui vaccini, pochi milioni basteranno. Quindi non v’è utilità a preservare miliardi di umani. E adesso si sperimentano anche agenti mutageni e traccianti radio, inseriti in vari farmaci. E la stimolazione di cellule specifiche mediante radiofrequenze. Il quadro è quello della riduzione della gente a una condizione di gestione zootecnica, supercontrollata, e di mobilità ridotta (internet delle cose, auto elettriche, città dei 15 minuti, lockdown, green pass globale, etc.). E di spostamento del reddito disponibile dal consumo di beni e servizi ad alto impatto ambientale (automobili etc.), che non è sostenibile, a beni e servizi di basso impatto ambientale e basso assorbimento di materie prime, cioè farmaci e servizi sanitari (quindi sostenibile). Questa è la meta della green transition: in una prima fase di transizione, preservare l’ecosistema e insieme il PIL (un brusco calo di quest’ultimo farebbe saltare il sistema finanziario globale), fino a ridurre la popolazione a condizione di gestione zootecnica; per poi completare l’opera di de popolamento senza scossoni, dato appunto l’acquisito controllo zootecnico.
- La dignità della natura umana non sta scomparendo con l’estinzione progressiva dello stesso primordiale culto dei morti? L’uomo non verrà ridotto a mera materia organica in questo processo di letamazione della natura umana? O forse, con lo sviluppo degli OGM l’essere umano diverrà anche organicamente superfluo?
R.: Sì, con l’estinzione del culto dei morti, certo, e dell’intero senso sacrale, metafisico in generale. Della categorie delle cosa extra commercium. Per ora sono divenute superflue le grandi quantità di persone, come dicevo. Magari in futuro anche la stessa bioforma umana sarà rimpiazzata. Alla riduzione di tutto a materia e merce e alla passivizzazione totale dell’uomo vi è però un limite insuperabile, noto ai filosofi: l’irriducibilità a oggetto della coscienza (consciousness).
- Ma la coscienza e l’interiorità dell’uomo non sarà oggetto di colonizzazione e pianificazione sociale? Nella società neoliberale la libertà di coscienza sussiste nella misura in cui quest’ultima divenga coscienza collettiva, laicista, progressista, libertaria, conforme cioè all’atomismo individualista di stampo illuminista. In questa dimensione di “libertà obbligatoria” (per dirla con Gaber), il dissenso è un non – senso? Del resto, nel modello sociale prefigurato dal Grande Reset non si realizza una perfetta simbiosi tra neoliberismo e collettivismo?
Un momento: tu ora ti riferisci a un’altra cosa, cioè alla coscienza morale (conscience, Gewissen); io invece parlavo di coscienza (consciousness, Bewusstsein, autocoscienza), cioè dell’io trascendentale, per ricordare che essa non può divenire oggetto in alcun modo, nemmeno oggetto di conoscenza, quindi è al di là del dualismo oggetto-soggetto, nel senso evidenziato da Giovanni Gentile, superando il residuo naturalismo di George Berkeley: il pensare non è atto compiuto, ma atto in atto. “Atto che non si può assolutamente trascendere, poiché esso è la nostra stessa soggettività, cioè noi stessi; atto che non si può mai e in nessun modo oggettivare. Il nuovo punto di vista infatti a cui conviene collocarsi è questo dell’attualità dell’Io, per cui non è possibile mai che si concepisca l’Io come oggetto di se medesimo”. La coscienza, in questo senso, non è oggetto, dunque non è attaccabile. La coscienza morale, invece, psicologica, che è tutt’altra cosa, è oggettificabile, manipolabile, colonizzabile nel senso che dici tu. Il dissenso rimane allora realizzabile nella misura in cui è, simultaneamente, distacco e rinuncia al mondo, in senso buddhista.
15.06.2023