“FARSI LUPI – PER NON MORIRE DA CAVIE”: intervista rilasciata a Luigi Tedeschi per Italicum
D.: Farsi lupi. Il lupo evoca in noi l’anelito alla libertà, è un simbolo vivente che suscita la memoria di culture arcaiche ispirate alla sacralità del rapporto tra l’uomo e la natura. Il lupo è un animale selvaggio non addomesticabile. Intelligente, perché il suo istinto lo induce a temere l’uomo. Occorre invece temere la ferocia dei cani pastori a guardia di un gregge da cui, alla pari di un carcere, non si può evadere. Il lupo inoltre uccide solo le poche pecore necessarie al suo nutrimento, non è una bestia insaziabile come l’homo consumens. Il pastore invece manda democraticamente tutte le pecore al macello: nel governo del gregge, come nella società capitalista, non si realizza una perfetta macelleria sociale egualitaria?
Certamente. Avrei potuto altrettanto bene intitolare questo libro Il branco e il gregge. Il branco ti difende, il gregge si arrende. Si consegna. L’uomo gregario ha appreso a desiderare senza misura – e ciò lo ha reso smisuratamente dipendente dal sistema – e ad esigere l’eguagliamento, almeno come finzione o come programma etico. Eccolo accontentato: tutti siamo eguagliati e impotenti dinnanzi alla Trascendenza contabile, ossia alla infinità del Capitale, o del Debito, il quale è anche più grande: l’essenza del capitalismo finanziario è l’accumulare crediti verso il resto della società, per aver titolo di prenderle tutto. I borghesi vengono espropriati e proletarizzati, poi mercificati non dai comunisti, ma dai grandi capitalisti. Ultimamente, il “democratico” governo tedesco verde-giallo-rosso, manganellatore dei dissidenti, ha fatto passare una legge che dà a Big Pharma accesso diretto a tutti i dati sanitari dei residenti in Germania, così potrà essere più informata e mirata nelle sue attività, mentre quello francese, altrettanto democratico, ne ha fatto passare un’altra che infligge sino a tre anni di galera a chi critica le verità sanitarie e farmaceutiche proclamate dal governo stesso.
D. : Nell’era post – moderna farsi lupi è assai problematico. Oggi il lupo non è temuto, ma amato. E per il lupo l’amore dell’uomo è del tutto innaturale. Il lupo è divenuto una specie protetta, che sopravvive in quanto necessaria all’equilibrio dell’ecosistema e la sua esistenza è quindi compatibile con l’ideologia green, al pari dei movimenti ambientalisti. In questo contesto, non viene meno l’immagine arcana e feroce del lupo, quale elemento di una natura che si sottrae al dominio dell’uomo sul pianeta terra?
Peggio ancora: il verdismo adopera i lupi nati lupi, e anche i cinghiali e i caprioli, come randello per scacciare gli agricoltori dalle montagne. Questi animali danneggiano le colture e le greggi, inducendo la gente di montagna ad andarsene, perché i fondi previsti per indennizzarla non sono disponibili. Anche l’uomo danneggia i lupi: quando l’uomo li frequenta, li contagia impecorandoli. Ma il titolo non si riferisce ai lupi nati lupi, ai lupi naturali, bensì agli uomini che possono farsi lupi, magari lupi mannari, invulnerabili alle armi comuni. Immagina, per esempio, che le obbedienti pecore armate in uniforme – poliziotti e militari – , stanche dei continui malori improvvisi che colpiscono i loro ranghi, si trasformino un bel giorno in tanti lupi mannari assetati di giustizia. Continua pure con l’immaginazione…
D.: Nel mondo contemporaneo sta scomparendo la dimensione del sacro e, in una società del tutto secolarizzata, il cristianesimo è in estinzione. Si evoca pertanto il trionfo del satanismo, quale entità contrapposta alla sacralità. Ma tali idee sono del tutto errate. Infatti, con la morte di Dio, non ha più ragione di essere anche il diavolo, quale rappresentazione del male che si contrappone al bene. Quando muore il diavolo, Dio è già morto da tanto tempo. Hai notato che con gli uomini pii e devoti sono ormai scomparsi anche gli atei bestemmiatori? Una volta scomparso il sacro, quale senso può più avere la dissacrazione? Dall’adeguamento all’oggettività alle condizioni dell’eterno presente della forma merce, non emerge la società dell’indifferentismo morale (non al di là, ma al di sotto del bene e del male), in cui alla morte di Dio fa riscontro anche la morte dell’uomo?
Dissento. Il satanismo (inteso propriamente, non come Ahrimane né come l’uomo che si sostituisce a Dio) è l’ultima forma di sopravvivenza del sacro, o l’ultima forma in cui l’uomo degradato riesce a viverla, e tiene viva la presenza di Dio, sia pure come avversario. Inoltre, col suo Dio trascendente fuori e sopra del mondo e della natura, che invita l’uomo a farsi suo figlio, a raggiungerlo nel Regno dei Cieli, è stato proprio il Cristianesimo, come storicamente si è canonizzato, a chiudere il mondo fuori dal sacro, a desacralizzare la natura, a dicotomizzare l’essere. Il Diavolo, figura panteistica o politeistica, è più fedele alla Terra e alla Natura, alle cose tangibili, in quanto non le desacralizza, anzi, contrariamente alla sua etimologia, ricompone la dicotomia; perciò sopravvive alle forze mondanizzanti che hanno spento Dio, e assicura una sopravvivenza, sia pur larvata, di Dio, quale suo indispensabile antagonista. Nel suo proprio grembo. Anni fa, avevo come clienti due maghi che lavoravano insieme: uno, Tizio, operava con Satana, e l’altro, Caio, con la Trinità. O così dicevano. Erano soci e amiconi. Si divertivano a fare le cose insieme. Caio era rimasto cattolico, mentre Tizio si era rivolto a Satana perché aveva molte difficoltà e il Padreterno non lo aiutava, o non lo aiutava più. Satana invece lo sosteneva, interveniva quanto aveva bisogno. Caio evocava la Trinità sia per fare il bene, che per lanciare maledizioni. Erano sempre di buon umore e giocosi. Perché? Io credo perché vivevano interiormente la magia della rinascente sacralità empirica, panteista o panenteista, del divino ancora immanente e ancora indifferenziato, indiviso tra Bene e Male. La vivevano e la praticavano professionalmente. Come la vita politica, così la pulsione religiosa non tollera vuoti. Se ieri il Monoteo trascendente è morto, oggi scorgo in erba una rinascita della religiosità immanentista e politeista.
D.: Dall’era post – ideologica, venuta meno la dialettica destra / sinistra, è scaturito un sistema oligarchico caratterizzato dalla contrapposizione tra le élites e le masse proletarizzate, a discapito della democrazia. A me sembra invece che questa società sia strutturata su un ossimoro: il totalitarismo democratico. Il potere dei tycoon della finanza e della tecnologia infatti è legittimato da un consenso plebiscitario, fondato sull’egoismo individuale e collettivo planetario, ideologicamente inquadrato nel globalismo neoliberista. I tycoon sono oggetto della venerazione (quali benefattori dell’umanità), dell’adulazione, dell’emulazione, dell’invidia sociale, anziché dell’odio di classe, da parte delle masse impoverite. L’impotenza del dissenso anticapitalista, non è dovuta alla identificazione dell’ideologia del gregge con quella dei pastori (microcosmi e macrocosmi dell’egoismo globale), che fatalmente condurrano il gregge stesso solo alla sua macellazione collettiva ed indistinta?
Non siamo affatto passati dalla dialettica destra/sinistra a una società oligarchica. L’oligarchia c’è ora come c’era anche nei secoli scorsi. Ogni società organizzata è ed è stata oligarchica. La democrazia è una chimera, evocata per imbonire o illudersi. Al più esiste una più o meno rilevante partecipazione decisionale dal basso. Ogni società si è strutturata piramidalmente, con in cima pochi detentori del grosso del potere, della conoscenza, dell’economia; e con strati intermedi di pastori e di cani per gestire la base, il gregge. Ciò che è cambiato sono i modi, le illusioni, con cui le menti del gregge si adattano alla realtà e progettano di mutarla, ossia gli ideo-miti marxista, socialdemocratico, cattolico, sono stati rimpiazzati con efficacia dal culto del tycoon, con l’aspirazione ad assimilarsi a lui, come bene hai detto tu. Questo culto ha affossato l’idea di lotta di classe e guida proprio a una macellazione collettiva e indistinta delle masse, che però oramai sono divenute superflue, useless eaters, un inutile onere per il mondo ed i suoi padroni. Lo preconizzavo nel 2010 con Oligarchia per popoli superflui: la finanziarizzazione dell’economia, l’automazione, l’intelligenza artificiale stanno rendendo superflue le masse di lavoratori, contribuenti, combattenti che erano necessarie per il funzionamento del vecchio sistema, ed è per questo motivo che il popolo sta i-n-e-v-it-a-b-i-l-m-n-t-e perdendo quote di diritti, servizi e reddito in favore delle élites; inoltre, queste masse sono un problema ecologico, e c’è la volontà di risolverlo. L’esito è intuibile.
D.: Questo mondo vive e si alimenta di emergenze. Emergenza sanitaria, climatica, bellica: l’emergenza è divenuta quotidianità. Il capitalismo assoluto può dominare il mondo e le sue élites possono preservare il loro potere nella misura in cui sussistano le emergenze. E queste ultime assumono un significato simbolico – esistenziale per una umanità che ha come finalità ultima la mera sopravvivenza. Il mainstream prefigura quotidianamente un futuro di catastrofi naturali, nucleari, pandemiche. Il potere, per governare il gregge e garantirgli la sua sicurezza carceraria, non ha necessità di evocare continuamente l’immagine traumatica e terrificante (vera o presunta) del lupo?
La successione senza fine di emergenze serve sia allo scopo che ho indicato nella mia precedente risposta, che allo scopo di sostenere il sistema finanziario: si creano le emergenze (reali o mediatiche, economiche o pandemiche) perché con ognuna di esse si crea la domanda di nuovo denaro, cioè di prestiti, e si alimenta le bolle allontanandone lo scoppio. Inoltre, tormentare la gente con crisi dopo crisi la rende sempre più apatica, rassegnata, incapace di agire e reagire, quindi sempre più governabile anche quando si introducono misure impopolari. Questo metodo, oggi chiamato shock and awe, fu delineato dal Machiavelli ne Il Principe, dove egli parla dello sgomento come strumento per questi fini. Il lupo, sì, viene evocato per facilitare il lavoro dei cani impaurendo il gregge.
D.: Secondo Machiavelli, il principe non è sottoposto a vincoli di carattere etico, però deve mostrarsi ai suoi sudditi retto e morale, deve cioè offrire alle masse una immagine di sé conforme ai principi fondativi della società su cui esercita il proprio potere. Può far uso di tali principi in funzione della ragion di stato. L’etica è dunque un instrumentum regni. Diceva infatti Machiavelli che “Gli stati non si governano con i paternostri”. Occorre tuttavia rilevare che senza i “paternostri” gli stati non potrebbero mai sussistere. E’ solo in virtù dei miti unificanti che si richiamano alla trascendenza che le comunità umane nella storia sono venute alla luce. La crisi della nostra civiltà non ha la sua causa prima nella scomparsa dei valori comunitari trascendenti? Questa società non è condannata alla dissoluzione in quanto il potere dei suoi principi è autoreferente, giustificato cioè dalla mera volontà di potenza delle élites?
Machiavelli più esattamente dice che il principe, ossia colui che compete con altri per conquistare o difendere il potere, al fine di essere competitivo, ha convenienza a non vincolarsi ad alcuna legge etica, altrimenti è come se tenesse le gambe in un sacco partecipando a una corsa in cui gli altri concorrenti le hanno libere. Però ha anche interesse ad apparire etico, buono, per suscitare fiducia e gradimento. E, aggiungo io, a far apparire malvagi e immorali i suoi competitori. Ciò detto, è noto che la condivisione di valori, vedute, sensibilità e credenze di fondo sia importantissima per la coesione e l’efficienza di una società, sicché l’immissione massiccia e rapida di gruppi di migranti portatori di altre mentalità ha un effetto distruttivo. In quanto al potere odierno, che bene tu dici essere autoreferente, credo abbia le capacità tecnocratiche per tenere in pugno la situazione anche se la società si dissolve. Cioè non ha più molto bisogno di miti trascendenti collettivi per legittimarsi e per imporsi agli occhi della popolazione generale, che, come dicevo, ha perso utilità, quindi influenza, e altresì capacità di resistenza, di autodifesa.
D.: Infine una domanda relativa al tuo precedente libro “Gregge e Potere”. Ormai anche il mito della pecora nera è scomparso. Tutte le pecore sono diventate infatti virtualmente ed artificialmente nere. Il sistema omologa e rende funzionale a se stesso il dissenso, generando nei fatti un consenso totalitario. Ci è stata negata perfino la dignità, la naturalità di essere pecore bianche. La nostalgia della coscienza dell’essere se stessi, non potrebbe tramutarsi in un’arma micidiale ed invincibile di contrapposizione al potere del capitalismo assoluto?
La storia della politica è la storia dell’evoluzione degli strumenti di controllo sociale. In passato prevalevano la religione e la repressione. Nell’Urbe si usavano anche panem et circenses. Poi è venuto in auge il controllo mediante l’ideologia, la propaganda mediatica e il binomio credito-indebitamento (essenza del capitalismo). Il capitalismo assoluto, come sistema di controllo, oggi si evolve verso la forma di assoluto controllo biologico. Poc’anzi ho detto che cosa ha fatto il governo tedesco con i dati sanitari del popolo e queallo fancese col diritto di critica e informazione. Invece, la nostalgia di come si era in passato presuppone, per sorgere, una memoria storica introspettiva, che è una facoltà metacognitiva raramente sviluppata: quasi tutti si vive appiattiti sul presente. Non vedo un’arma invincibile da contrapporre a questo processo. Farsi lupi, meglio se mannari, serve innanzitutto a difendersi, a tener duro, a sopravvivere. In attesa di un altro fattore risolutivo, che ravviserei piuttosto, se non nell0intervento extraterrestre, o nella Provvidenza, o nella Gotteschickung heideggeriana, quanto meno nella stessa eccessiva complessità (complessità caotica quindi complessivamente imprevedibile e ingovernabile) del sistema mondo, che gli ahrimanici tecnocrati dei diritti dell’Uomo si propongono di imbrigliare.
Claudio_76
27 Luglio 2024 @ 17:26
Buongiorno avvocato,
non manco di leggere le sue pubblicazioni e quest’ultima in particolare (“Farsi lupi per non morire da cavie”) suscita alquante perplessità circa lo stato di coscienza collettiva che manifesta il cosiddetto ‘popolo’.
Non sono d’accordo però con quanto espresso nell’aforisma n. 101 per la semplice ragione che tutto, esclusi i cicli geologici e gli eventi naturali, scaturisce dall’opera dell’uomo ivi compresi i “sistemi delle cose” con cui abbiamo a che fare.
Nulla accade se le persone non fanno nulla. Quindi anche i sistemi delle cose sono frutto di decisioni e atti di persone. E le persone hanno nome e cognome.
Citando l’autorevole Martin Luther King: ” può darsi che non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate, ma lo diventerete se non fate nulla per cambiarla. Le nostre vite cominciano a finire il giorno in cui stiamo zitti di fronte alle cose che contano”.
Accettare passivamente, tollerare che queste persone, e quelle che verranno dopo di loro, fomentino guerre e crisi a piacimento non mi pare un atteggiamento razionale. Vale sempre il detto ‘Mors tua vita mea’?
Cordialmente.