DIRITTO AD ESISTERE ?
La campagna antimafia condotta sotto il Ministero Maroni ha innegabilmente fruttato risultati molto estesi. Molto estesi orizzontalmente, con numerosissimi arresti e confische in tutt’Italia, al Sud, al Centro, al Nord. Ma che non sono saliti verticalmente, non hanno individuato ed eliminato la mafia nel parlamento, nei piani alti dei ministeri, nei vertici dei partiti, delle banche, delle fondazioni bancarie. Hanno neutralizzato personaggi sostituibili, e forse già sostituiti. Non hanno infranto gli elementi strutturali che generano la mafia e le danno forza, né ridimensionato il potere politico di questa né il suo giro d’affari, né la sua presa sulla società. Non aspettiamoci, pertanto, che le cose cambino apprezzabilmente.
Altro è il più importante risultato di questa campagna: essa, proprio col successo quantitativo che ha avuto e continua ad avere, con le centinaia di arresti anche nel Nord, con l’individuazione di una ramificata rete mafiosa di potere, affari, imprese, corruzione nelle regioni settentrionali, ha dimostrato che la mafia, dal Sud, si trapianta al Nord e lo sta massicciamente e sempre più, col passare del tempo, infiltrando coi suoi uomini, i suoi capitali e i suoi investimenti, condizionandone non solo l’economia e l’ordine pubblico, ma anche la vita quotidiana, l’amministrazione, l’uso dei pubblici poteri, il modo di vivere, e minando la tenuta di quanto resta del suo tessuto sociale, di quella fiducia di fondo che tiene insieme la gente. La società del Nord è così in via di assimilazione alla società matrice del modello mafioso di potere ed economia.
Tale dato di realtà pone quindi una netta questione: una società, un Land, una regione (o macroregione), dotta di una sua identità mentalità, morale, way of life, ha o non ha il diritto (riesce o non riesce a farlo riconoscere) di bloccare questo tipo di penetrazione e assimilazione ponendo limiti selettivi all’ingresso, all’insediamento, alla permanenza di persone, imprese e capitali, sul suo territorio, quando gli organi e i poteri dello stato non sono disposti o capaci di farlo? Oppure deve accettare di subirle, rinunciando alla propria identità e qualità, fino ad essere assimilata, affinché sia salvaguardato il principio – sicuramente elevato e pregevole – di libero movimento ed insediamento di persone, imprese e capitali? Ad esempio, hanno Veneti e Lombardi il diritto di opporsi con mezzi efficaci alla trasformazione in senso calabrese o siciliano della loro società attraverso le varie dinamiche di penetrazione e assimilazione? Oppure sono tenuti ad accettare questa trasformazione in atto?
Questo dilemma vale ovviamente non solo per l’emigrazione interna, ma anche per quella globale: ha un popolo, una civiltà, il diritto e la forza di limitare qualitativamente e quantitativamente i flussi migratori in entrata e di porre come condizione per lo stabilimento di immigranti, che questi si assimilino (realmente, non superficialmente) alla propria, che ne accettino e non calpestino norme e valori, affinché nel tempo non finiscano per alterarli? Pensiamo ai costumi degli islamici e dei cinesi, ad esempio, e alle loro rivendicazioni di poter applicare le loro norme, come nascondere il volto, usare la loro medicina tradizionale, costituire comunità chiuse e zone franche dove fare a modo loro, praticare mutilazioni alle bambine, etc. Va anche considerato che la penetrazione cinese è appoggiata dalla Cina, una superpotenza che è in grado di imporre a paesi deboli come l’Italia anche deroghe alla loro legalità interna in favore di quelle comunità. A risultati analoghi può portare la dipendenza per petrolio e gas da potenze islamiche, rispetto alla penetrazione islamica. Allo stato presente, tra le due suddette opzioni, tutto è in favore della seconda: dalle norme sia della vigente costituzione italiana che dell’Unione Europea, all’interesse sia della mafia, che del capitalismo come tale: i popoli, le culture, le società, devono accettare di essere aperti alla penetrazione e profondamente modificabili da chi le penetra.
Attuare la seconda opzione presupporrebbe profonde modificazioni normative, che consentano ad organi rappresentativi dei popoli, intesi propriamente, ossia in senso etnico-sociologico, naturale, di regolare e dosare la penetrazione esogena, e di allontanare in via amministrativa le persone e le imprese immigrate (sia nazionali, che comunitarie ed extracomunitarie) che siano in contrasto con gli interessi del popolo il questione. Naturalmente, tale funzione-potere, per essere reale, dovrebbe essere espressione della sovranità popolare, completamente indipendente dai poteri e dai controlli dello stato c.d. nazionale e da quelli comunitari (si pensi all’Italia, nel cui parlamento nazionale la rappresentanza delle mafie è determinante). Ossia, bisognerebbe introdurre il principio che ogni popolo, sia esso indipendente o inserito in una federazione, ha il diritto di assicurarsi l’esistenza, e che quindi ogni regione o macroregione è sovrana nel regolare l’immigrazione e il diritto elettorale sul proprio territorio, sia legislativamente, che esecutivamente e giudiziariamente. Il che ripropone un ulteriore principio, affinché ciò che viene cacciato per la porta non rientri per la finestra, ossia che magistrati e responsabili delle forze dell’ordine siano cittadini regionali eletti dai cittadini regionali e verso di questi responsabili., e che siano abolite le prefetture, come organi periferici del potere centrale. Anzi, lo stesso concetto di “periferia” va superato, perché intrinsecamente incompatibile col principio federale.
04.12.10