DOVE PORTANO QUESTE RIFORME

DOVE PORTANO QUESTE RIFORME

Ci sono due linee di riforme “indispensabili per la crescita”. Linee convergenti. Pericolosamente.

La prima linea è istituzionale-strutturale e sta producendo:

-svuotamento dei poteri e dell’autonomia degli Stati nazionali parlamentari

-concentrazione dei poteri politici in organismi sovrannazionali

-isolamento tecnocratico degli organismi decidenti

-soprattutto, indipendenza e gestione autoreferenziale delle banche centrali e della politica monetaria

-riduzione della partecipazione e dell’influenza democratiche sugli organismi decidenti

-riduzione della trasparenza, della responsabilità, della controllabilità degli organismi decidenti

-riduzione della conoscibilità dei loro obiettivi di medio e lungo termine e degli effetti di medio e lungo termine delle loro decisioni.

Queste caratteristiche (votate da quasi tutto il parlamento, perché comportano la blindatura della partitocrazia contro la società civile) sono marcatamente proprie soprattutto dell’UE: quasi tutto il potere, e tutto il potere legislativo, sono in mano ad organismi non elettivi, non responsabili, non trasparenti, burocratici, intergovernativi. L’unico organo elettivo, cioè il parlamento, ha poteri limitati, che preferisce non esercitare (non ha mai costretto la Commissione a un rendiconto), e la sua natura di cagnolino da passeggio è stata evidenziata da come è stato fatto votare il nuovo presidente dell’UE: era ammesso un solo candidato – Juncker – e il voto era segreto. Per giunta, nessun elettore europeo, prima di votare, aveva saputo che sarebbe stato Juncker il candidato unico alla presidenza.

Nessuna meraviglia se le medesime caratteristiche le ritroviamo anche nella urgente e irresistibile marcia delle riforme istituzionali di Renzi: queste riforme, appunto, diminuiscono la partecipazione e l’influenza degli elettori, ostacolano i referendum, danno al premier i poteri sia politico-legislativi, che di controllo (su se stesso) anche solo con un 22% dei consensi. Nessuna meraviglia: è chiaro che l’Italia e la sua costituzione devono essere riformate in questo senso per integrarsi nella struttura autocratica dell’UE.

La seconda linea di riforme, iniziata alla fine degli anni ’70, è quella economico-finanziaria, e punta essenzialmente a difendere e tutelare gli interessi dei creditori finanziari con sacrificio degli altri interessi sociali: il modello di sviluppo keynesiano, caratterizzato dallo Stato che corregge il mercato e fa investimenti anticiclici per evitare la recessione e assicurare l’occupazione, al prezzo di una costante, fisiologica inflazione, viene sostituito con un modello da alcuni ritenuto hayekiano, ma che tale non è perché F. Von Hayek voleva non solo il libero mercato come unico regolatore dell’economia, ma anche uno Stato che tenga il mercato libero dai monopoli e che si astenga dall’assistenzialismo sociale e imprenditoriale. Il modello economico-finanziario imposto all’UE fa per contro tutto questo, anzi in esso i grandi monopoli bancario-finanziari dettano la politica degli Stati e dell’Unione.

Il detto modello raggiunge lo scopo della tutela degli interessi dei creditori-finanziari mediante alcuni principali strumenti: indipendenza-irresponsabilità delle banche centrali dai parlamenti, vincoli di bilancio pubblico (proibizione della spesa pubblica antirecessiva), stretta monetaria, compressione salariale (e della domanda interna) per assicurare un pareggio o un surplus della bilancia estera, socializzazione delle perdite delle banche. Quando la politica economica è affidata ai banchieri centrali, che, per statuto, deliberano e operano non solo in autonomia ma nella segretezza e nella irresponsabilità, la democrazia rappresentativa è finita, il consenso popolare è superato.

Il risultato – prevedibile e inevitabile perché facente parte degli obiettivi – è la deflazione, la disoccupazione, l’avvitamento fiscale, la recessione o stagnazione – che ora si prospetta pure per la Germania.

La Costituzione italiana del 1948 è, per contro, esplicitamente keynesiana: l’art. 1 fonda la Repubblica sul lavoro, non sul capitale, e numerose altre norme riconoscono al lavoro (all’occupazione, alla produzione, agli investimenti) il primato assoluto e la funzione di perequazione sostanziale tra i cittadini; quindi essa è in opposizione radicale e inconciliabile col modello politico-economico costitutivo dell’UE e della BCE, che si basa sulla priorità alla prevenzione dell’inflazione (primaria minaccia per le rendite finanziarie), e per prevenirla impone l’austerità, cioè innanzitutto l’astensione dagli investimenti pubblici anticiclici per uscire dalla recessione – sicché la recessione perdura, diviene strutturale e non accidentale.

La storia della c.d. integrazione europea è in realtà la storia della sostituzione di un modello socio-economico-istituzionale con un modello opposto, ossia dei valori sociali e produttivi, fondanti per la democrazia elettiva e la legittimità costituzionale, col loro contrario: parassistimo finanziario e autocrazia. E’ la storia di un’inversione non dichiarata, che è avanzata di soppiatto, sotto il camuffamento di ideali sbandierati e mai attuati di solidarietà integrazione dei popoli, identità comune, di promesso sviluppo che non arriva mai. Un’inversione di cui oramai sentiamo fortemente gli effetti pratici, anche se molti di noi non sanno da che cosa provengano, e pensano che le cause siano la corruzione o l’evasione o l’articolo 18.

In Italia, oltre a queste piaghe, le due linee di riforme, di cui Napolitano, Monti, Letta e Renzi sono paladini e artefici – soprattutto Napolitano, che, per imporla e accelerarla, deborda continuamente dalla sua funzione di garante e arbitro per intervenire nella politica dei partiti – sul piano economico sta producendo un continuo e rapido aumento del debito pubblico – cioè l’opposto di ciò che promette – e l’emigrazione di capitali, imprese e cervelli, con la deindustrializzazione del paese e la moria delle sue aziende (dirò poi perché queste loro azioni non vanno condannate, nemmeno moralmente).

La direzione, la finalità autocratica, essenzialmente dittatoriale, a cui mira la prima linea di riforme, cioè quelle istituzionali, spiega chiaramente la ragione per la quale, paradossalmente, ci si ostina a portare avanti la seconda linea di riforme, cioè quella economico-finanziaria, sebbene stia producendo effetti rovinosi e contrari a quelli che dovrebbe produrre, tra la sofferenza di milioni di persone: le due linee di riforme convergono in un’operazione di ingegneria sociale, di costruzione di una società radicalmente e apertamente oligarchica che comandi incontrastata le popolazioni fiaccate e rassegnate da molti anni di frustrazioni e insicurezze, e impoverite di redditi, risparmi, diritti civili, sociali, politici. Il modello economico in via di imposizione, con le sue riforme, non importa se produce recessione o stagnazione, il suo scopo reale e non detto non è la crescita, ma una riforma dell’ordinamento sociale e giuridico che assicuri il dominio sulla popolazione generale, la possibilità di sfruttarla senza limiti, l’estrazione da essa di rendite certe per il capitale finanziario anche in periodi di contrazione del pil, e il tutto in modo formalmente legittimo. A questo servono le riforme. E le privatizzazioni, che ieri Padoan ha ripromesso, parlando in Cina, che verranno eseguite.

Torniamo alle riforme strutturali: giustizia, amministrazione, lavoro, privatizzazioni . Il governo afferma che servirebbero per rilanciare il Paese economicamente, ma chiaramente così non può essere.

Le privatizzazioni sono state già ampiamente fatte, coi risultati che sappiamo: regali agli amici del palazzo, peggioramento e rincaro dei servizi per i cittadini, immediato sperpero dei ricavi senza alcuna riduzione del debito pubblico né della spesa pubblica. Le riforme del lavoro ci sono state, e hanno già peggiorato la situazione. La giustizia è già stata riformata molte volte, ed è sempre andata peggiorando. Il processo civile è stato riformato ogni anno per circa 22 anni, ma la situazione non è affatto migliorata. Quello penale ha pure avuto le sue riforme, ma il risultato è negativo. Si può diminuire il numero dei processi aumentando le tasse su di essi, per scoraggiare la domanda di giustizia – e anche questo è stato fatto molte volte, l’ultima il mese scorso – ed è una schifezza. Si può accelerare i processi diminuendo le garanzie e i diritti processuali, e così si peggiora la qualità delle sentenze, già molto bassa. La situazione della giustizia, o meglio della giurisdizione, deriva non tanto dalle regole processuali, quanto dall’incertezza e pletoricità, contraddittorietà e mutevolezza delle norme, comprese le norme di riforma. Deriva dalla litigiosità della popolazione e dalle manie giudiziarie instillate dai mass media. Deriva dalla mentalità e dalle prassi dei magistrati. Tutte cose che non si correggono con le leggi e soprattutto che possono cambiare solo con le generazioni. Analogo discorso vale per la pubblica amministrazione, che è per giunta dominata da una mentalità-prassi tradizionalmente, nel suo insieme, burocratica, corporativa, parassitaria, clientelare, indifferente ai risultati pratici per la gente. E anche questo non lo si cambia con una legge di riforma.

Quindi è assurdo ciò che promette Renzi, ossia che queste riforme strutturali rilancerebbero l’economia. Possono solo rilanciare l’affarismo spartitorio e screditare ulteriormente il settore pubblico – e questo credo sia il vero obiettivo.

Ce le presentano come riforme necessarie e salvifiche, ma queste sono riforme sbagliate e in mala fede sin dal loro concepimento. Nel 1999 l’Ocse tracciava una sintesi delle riforme economiche attuate in numerosi paesi nel decennio che si stava chiudendo. In breve, le linee lungo le quali si era sviluppata l’azione di politica economica in quel decennio e lungo le quali si sarebbe sviluppata negli anni seguenti sono queste:

i) Ampliamento degli strumenti finanziari e riduzione della regolamentazione dei sistemi finanziari;

ii) Riduzione delle aliquote per i redditi più alti;

iii) Liberalizzazione dei movimenti dei capitali e ulteriore liberalizzazione del commercio internazionale;

iv) Deregolamentazione e privatizzazione nei settori delle utilities;

v) Restrizioni all’utilizzo delle politiche industriali;

vi) Flessibilizzazione dei mercati del lavoro e irrigidimento dei criteri di fruizione del welfare state;

vii) Riduzione dell’area dell’intervento pubblico nell’economia;

viii) Riduzione degli oneri, legali ed economici, allo svolgimento dell’attività d’impresa.

Maurizio Zenezini, in Riforme economiche e crescita: una discussione critica, Quaderni del dipartimento di economia politica e statistica dell’Università di Siena, n.696 – Aprile 2014, studiando come, negli ultimi vent’anni, i paesi europei hanno introdotto numerose riforme economiche orientate a rendere le istituzioni economiche più “favorevoli ai mercati”, nella convinzione che l’ambiente regolativo costituisca un fondamentale fattore di crescita economica. In base ai dati empirici, ossia sottoponendo queste riforme alla prova dei fatti, gli effetti sulla crescita e l’occupazione dei più recenti interventi di riforma in Italia appaiono virtualmente nulli nel breve periodo e modesti, nel migliore dei casi, nel lungo periodo. O meglio, risultano nettamente negativi: le riforme flessibilizzanti del mercato del lavoro hanno peggiorato l’occupazione, le riforme bancarie hanno destabilizzato il sistema bancario, etc.

Di fronte agli insuccessi delle riforme che ha imposto, l’OCSE le difende con gli argomenti più arbitrari, chiaramente in mala fede, come il dire che, se non le si fosse fatte, ora le cose andrebbero molto peggio. Conclude Zenezini:

Se le riforme non mantengono le loro promesse, potremo dichiarare che l’efficacia di una riforma già effettuata dipende da qualche altra riforma ancora da effettuare che, a sua volta, richiederà quasi certamente riforme in nuove direzioni: le riforme del mercato del lavoro non funzionano se i mercati dei prodotti restano rigidi, le riforme delle utilities non funzionano se il commercio al dettaglio resta impantanato nelle regolamentazioni comunali, se le lavanderie restano chiuse il sabato pomeriggio, se i giudici non compilano il “calendario udienze” (Ocse, 2013a, p. 86).

In alternativa, si potrà affermare che le riforme agiscono nei tempi lunghi, mentre gli effetti di breve termine sono difficili da modellare, e potrebbero anche essere negativi: “le riforme […] dovrebbero aumentare il prodotto potenziale di lungo periodo, ma la grandezza di questo effetto, specialmente nel breve periodo, è difficile da stimare con qualsiasi grado di precisione” (Ocse, 2013a, p. 84).

Potremmo, infine, puntare il dito contro gli indici “formali” di deregolamentazione.

Gli organismi economici internazionali hanno misurato le numerose riforme fatta in Italia, su questa base esperti e responsabili della politica economica hanno regolarmente tracciato bilanci di tale attivismo riformatore, ma, dato che il paese si è infilato in una traiettoria di declino economico, “si può sospettare che i principi legali della regolamentazione delle attività economiche divergano dalla pratica, o dalla loro percezione, in Italia più che in altri paesi” (Ocse, 2013a, pp. 82 sgg.): se le riforme non funzionano, dovremo rivedere gli indici delle regolamentazioni.

Sarebbe impossibile fornire un’immagine più sconcertante della irresponsabilità che costituisce la cifra latente della politica economica degli ultimi decenni. Nessun riesame delle riforme effettuate è permesso, è impedita la discussione su politiche economiche alternative: se le riforme non funzionano, si può sempre dire che senza di esse le cose sarebbero andate peggio, se gli indici di deregolamentazione non sono correlati con la desiderata performance potremo denunciare l’insufficienza degli indici, se le riforme hanno effetti trascurabili, si chiederà comunque di rafforzarle e di aumentare la flessibilità, se una riforma mirata ad un particolare obiettivo non ha successo, si modificherà l’obiettivo o si punterà in qualche altra direzione.

E’ la stessa irresponsabilità che Keynes denunciava nel 1925 esaminando le conseguenze dellapolitica economica del governo Churchill (Keynes, 1925): Poiché il pubblico afferra sempre meglio le cause particolari che le cause generali, la depressione verrà attribuita alle tensioni industriali che l’accompagneranno, al piano Dawes, alla Cina, alle inevitabili conseguenze della grande guerra, ai dazi, alle tasse, a qualunque cosa al mondo fuorché alla politica monetaria generale, che è stata il motore di tutto.”

Da quanto detto prima appaiono alcune evidenti realtà, confermate dai fatti:

-in un sistema basato sulla moneta-debito, salvo ripudiare il debito o condonarlo o eliminare i creditori, è matematicamente impossibile azzerare o anche solo ridurre il debito complessivo;

-quindi chi lo propone come principio di virtuosità o come obiettivo o è un cretino o è un mistificatore;

-un singolo paese, se è competitivo nelle esportazioni, può ridurre e persino azzerare il proprio debito estero realizzando avanzi della bilancia delle partite correnti, cioè prendendo denaro da altri paesi, ma ciò matematicamente aggrava in pari misura l’indebitamento estero di questi altri paesi; analogamente, un particolare cittadino, un’impresa, un ente pubblico può chiudere i propri debiti accumulando attivi negli scambi con gli altri soggetti economici, ma ciò si traduce in un pari aumento dell’indebitamento di questi; tuttavia, siccome l’indebitamento complessivo inarrestabilmente cresce per effetto dell’accumularsi degli interessi, tutti i paesi, tutti gli altri soggetti in competizione tra loro tendono ad affondare nell’indebitamento (in metafora: su una barca che sta affondando io mi posso salvare arrampicandomi sulle tue spalle, ma solo provvisoriamente);

-ridurre il debito aggregato implica ridurre la liquidità nel sistema, perché tutta la liquidità è debito-credito;

-quindi comporta un aumento delle insolvenze e dei fallimenti;

-causa inoltre calo della domanda aggregata, quindi calo degli investimenti produttivi, i quali vengono fatti in base alle aspettative di redditività al netto delle tasse; sicché se i potenziali investitori vedono che la prospettiva è di tagli alla spesa pubblica, alta tassazione, riduzione del debito-liquidità, allora prevederanno che la domanda sarà bassa, cioè che non ci sarà domanda solvibile per i loro prodotti, perciò investiranno altrove.

Attualmente in Italia abbiamo un programma di tagli alla spesa pubblica, una pressione fiscale che non può calare anche a causa dei 40 miliardi all’anno di riduzione del debito pubblico che il governo dovrà fare in esecuzione del Fiscal Compact, un reddito e una capacità di spesa in picchiata anche a causa dell’alta disoccupazione e maloccupazione, soprattutto giovanili; inoltre le banche stanno riducendo il credito alle imprese e alle famiglie e tengono altissimi i tassi: sanno che gli aspiranti mutuatari, data la mancanza di continuità del loro reddito, non avranno i mezzi per ripagare i prestiti, quindi logicamente non erogano prestiti, se non raramente e con spread altissimi, al decuplo dell’Euribor, per compensare il rischio – dicono. Quindi oggettivamente non ci sono le condizioni per un’uscita dalla depressione economica. Anzi, è in corso un avvitamento recessivo, che determinerebbe rendimenti altissimi sul debito pubblico, senonché qualcuno -la BCE e/o la Fed-, comprando sul mercato secondario, e distorcendo il mercato, li tiene artificialmente bassi – come fa ancora più vistosamente con le nuove emissioni del debito pubblico greco.

D’altronde le banche italiane (ma non solo italiane) sono piene di sofferenze sommerse, ossia non dichiarate, e magari fanno aumenti di capitale di miliardi, uno dopo l’altro, per un multiplo della valorizzazione di borsa, ogni volta bruciando la liquidità acquista, in base a bilanci falsi, che nascondono questa realtà. Se essa affiorasse, avremmo il global meltdown del sistema bancario. A quale cliente una banca presterebbe il triplo di quello che vale in borsa? Qui siamo davvero “au bord du gouffre”! Eppure il sistema globale non pare aver esaurito la sua capacità di rilanciare e differire. I numeri sono infiniti, quindi, essendo la moneta fatta di numeri, infinita è anche la possibilità di rinviare la soluzione degli squilibri finanziari…

Negli ultimi 20 anni o poco più un altro fattore è all’opera, a danno dell’economia reale e dell’occupazione: il settore speculativo, remunerando i capitali in esso investiti in tempi assai più brevi del settore produttivo dell’economia (consideriamo che un’operazione speculativa può durare mesi o giorni, mentre il ritorno negli investimenti industriali si può avere solo dopo anni), quindi dando rendimenti maggiori di quest’ultimo, sottrae al medesimo molti capitali, tendendo a lasciarlo a secco. Addirittura vediamo che molte banche, dopo aver ricevuto fondi pubblici o della banca centrale, non li prestano, ma li usano in parte per comperare titoli pubblici al fine di migliorare la loro capitalizzazione e di lucrare le cedole, e in parte per speculare, fare trading, in proprio.

Conseguenza di questa competizione sui rendimenti, è che il settore produttivo, per cercare di trattenere i capitali offrendo loro una remunerazione competitiva col settore speculativo, si forza di dare, anno per anno, i massimi utili-dividendi possibili, e a tal fine fa alcune cose aventi un impatto negativo sull’occupazione, sulla produzione e sulla competitività, soprattutto nel lungo periodo:

a)riduce la produzione dal livello che dà il massimo ricavo totale al livello che dà il massimo ritorno sul capitale investito (quindi fa tagli agli impianti e alle maestranze);

b)riduce quanto possibile le spese correnti (compresi salari e manutenzione) nonché per investimenti (compresa l’innovazione) necessari a mantenere le posizioni sul mercato, cioè sacrifica gli obiettivi di medio e lungo termine a quelli di budget – da qui il termine budgetismo, che indica questa distorsione della politica aziendale.

L’ottimizzazione del bilancio è anche richiesta dal bisogno di avere un buon rating dell’affidabilità bancaria, onde mantenere le linee di credito e contenere i tassi di interesse.

Consideriamo anche che i managers degli investitori istituzionali come i fondi di risparmio e quelli pensionistici sono pagati in ragione al volume degli investimenti che attirano, e che questo dipende dai rendimenti che raggiungono, e che questi rendimenti a loro volta dipendono dai rendimenti delle azioni, ad esempio, che hanno in portafoglio. I rendimenti delle azioni dipendono ampiamente dai dividendi che si prevede che staccheranno, quindi di nuovo dalla prestazione anno per anno. Anno per anno, perché i managers restano usualmente in carica pochi anni, sicché non si interessano a come andrà una determinata corporation nel medio o lungo termine. La strategia delle imprese dell’economia reale avrebbe bisogno di pianificazioni e respiro di molti anni, specialmente in campi ad alta tecnologia; ma tutto cospira a distorcerla in funzione dei criteri dell’economia improduttiva. “Tutto questo è il mercato, quindi va bene, interferire sarebbe sbagliato” obietteranno alcuni. In effetti, è il mercato finanziario che interferisce con quello produttivo, cioè con quel mercato che, secondo la teoria, se libero e trasparente, dovrebbe, in base alle leggi sue proprie, portare alla piena occupazione e alla stabilità. E le interferenze del mercato finanziario nuocciono palesemente a quello produttivo. Molte società valide, quando si quotano in borsa, incominciano in effetti a subire queste interferenze disturbanti, che le fanno degenerare gestionalmente. Ciò succede regolarmente con le banche italiane che vanno in borsa. L’idea che la borsa serva a finanziare e a premiare la buona gestione delle imprese è smentita e capovolta dai fatti.

Alla luce di quanto sopra detto, possiamo tranquillamente concludere che, quando un leader comunitario, soprattutto un leader italiano, promette crescita o impegno per la crescita, promette la sospirata flessibilità, promette che l’UE porta allo sviluppo – quando promette queste cose, e insieme dice che “le regole europee”, “il risanamento”, “il rigore di bilancio” saranno rispettati, mente sapendo di mentire, mente per imbonire la gente: il modello che viene implementato attraverso l’UE e l’Italia in particolare non vuole crescita, lavoro, sicurezza, rilancio produttivo, ma stagnazione. Come non vuole partecipazione popolare né diritti sociali. Al massimo sono ammessi interventi di riduzione del disagio sociale per prevenire che evolva in sommossa, o sussidii a categorie sociali realizzati a spese di altre categorie sociali (come gli 80 euro di Renzi), in una logica di divide et impera. Logica peraltro applicata anche tra gli Stati membri: consentire ad alcuni (Germania e soci) un relativo (e provvisorio) sviluppo a spese degli altri, onde avere il loro appoggio per completare l’opera di inversione costituzionale. Che si appalesa, oramai, come un’opera eversiva. E quando ci dicono “fare le riforme istituzionali è condizione per ottenere flessibilità di bilancio dall’Europa”, il significato è: “se non ci lasciate riformare la costituzione per realizzare l’autocrazia che vuole la grande finanza, la grande finanza vi lascia senza soldi”.

Diversamente da altri, io non biasimo moralmente i progettisti e gli autori di quanto sopra. Non dico che sono criminali perché sacrificano il 99% della popolazione agli interessi dell’ 1%. Infatti, il loro modello socioeconomico deflativo-parassitario-autocratico è più adeguato a ciò che i popoli sono, al loro effettivo livello mentale e di consapevolezza, che non è molto diverso da quello del bestiame, come dimostra la bovina docilità con cui si lasciano “riformare”. Il modello democratico, e anche il modello (post)keynesiano, presuppongono che l’uomo mediano e il popolo siano qualcosa che in realtà non sono affatto, quindi semplicemente non possono funzionare. Il modello socioeconomico deflativo ha, inoltre, il vantaggio di riuscire a imporre coercitivamente e dall’alto, di fronte al raggiungimento dei limiti fisici dello sviluppo e alla necessità di ripiegare, la necessaria decrescita ecologica dei consumi e della stessa popolazione, che in regime di democrazie nazionali non si potrebbe ottenere.

24.07.14 Marco Della Luna

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Avvocato, autore, scrittore
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5 risposte a DOVE PORTANO QUESTE RIFORME

  1. Giovanni V scrive:

    Salve Avvocato!

    Poi gliene parlerò via email del mio piano….in sostanza si tratta di creare una rete globale internazionale antisignoraggio per un nuovo sistema monetario che ridia la sovranità monetaria al popolo (ora somaro), ossia allo Stato.

    Al momento ci sono diversi movimenti, ma sono sparpagliati ed ognuno di essi è focalizzato solo per il proprio paese di riferimento per fini politici.

    Ovvio che i rischi sono elevati perché quando vai contro certi poteri poi l’effetto boomerang potrebbe essere più che possibile.

    Dai vari giornali online e forum in rete ho caapito una cosa: che anche il WEB è controllato dai soliti noti, specie in Italia ma non solo!

    In effetti tutti attuano queste tecniche di manipolazione mentale, riprese anche da Lei nel suo book “Neuroschiavi”, e che mirano al noto DIVIDE et IMPERA, ossia dividere la gente affinché nulla cambi:

    http://www.disinformazione.it/strategie_manipolazione_media.htm

    In pratica cosa fanno….oltre a parlare di cose futili (tecnica della distrazione) pubblicano online solo messaggi con insulti ai partiti di destra, sinistra o ad altri bloggers con ideologia diversa da quella dominante, mentre tutti i commenti apolitici senza insulti che FANNO RIFLETTERE non sono pubblicati.

    Ieri ad es su ILGIORNALE c’era un articolo sulla RECESSIONE in cui siamo ora…

    Ovviamente tutti addosso a RENZIE….dimenticandosi che anche con B la situazione non era molto diversa….

    Primo commento… “Ah ci vorebbe B…ridateci B…basta sinistra”
    Secondo commento “B deve andare in galera…altro che Palazzo Chigi etc..”
    E così via….
    Io invece decido di inviare loro il suo post illuminante sul CAPPIO del DEBITO PUBBLICO, facendo loro notare il sistema predatorio in cui viviamo, per cui gran parte delle tasse va a finanziare gli interessi sul debito pubblico (spesa improduttiva), e ciò avviene da sempre a prescindere che ci sia un governo di destra o di sinistra…

    Risultato? Il mio messaggio non passa… troppo intelligente!!

    Da GRILLO invece, essendoci più traffico, pubblicano tutti i messaggi che ricevono, ma se vai troppo contro il dominus o smentisci una sua tesi poi te li cancellano, per paura che troppa gente li legga, e se glieli invii di nuovo ti bloccano l’account o l’IP, con la scusa dello SPAMMING (che per loro significa smentire GRILLO o CASALEGGIO).

    Dunque anche il WEB non è affatto diverso dalla TV e dai GIORNALI, come invece mi aveva fatto credere GRILLO quando aprì il suo blog nel 2005!

    Uno può dire: vabbé, apri un tuo sito e parla di quello che vuoi!

    Sì ma chi mi legge e soprattutto chi mi crede, non essendo io un personaggio famoso?

    Ed ecco il secondo problema da risolvere: l’effetto di interazione parasociale!!!

    http://restoqui.jimdo.com/2012/04/24/perch%C3%A8-non-bisogna-fidarsi-di-grillo-travaglio-co-sn

    Come abbatterlo? eh, eh…qui ti voglio!!

  2. Lorenzo Zanellato scrive:

    Egregio Avvocato, egregi signori,
    Correggetemi se sbaglio, ma la Ministra Boschi ieri sera ha detto una sciocchezza, affermando che il referendum ci sara’ comunque.
    L’art. 138 cost. Non è negoziabile e solo superando i 2/3 non si avra’ il referendum, mentre al di sotto di tale soglia si potra’ indirlo con la procedura prevista.
    Non è una ” concessione” dall’alto , poiché trova in questo articolo un rigoroso metodo di modifica costituzionale.

  3. ahfesa scrive:

    Caro avvocato,

    E spettabili sempre più bovini (senza offesa) lettori, devo cominciare rimproverando che lei, come gli oligarchi di cui parla, non risponde più alle domande ed inoltre é (sempre senza offesa, come si diceva nel film di Piedone) anche un ingrato ed un miscredente.

    Il mio duro giudizio si fonda sul lapalissiamo fatto che lei ignora una fondamentale vittoria oggi conseguita del Nostro Grande Paese, certamente per merito del Nostro Grande Presidente . Una vittoria che é molto più grande della meschina indipendenza, dell`unità nazionale, della liberazione dal nazismo, della liberazione (per ora mancata) dei due lagunari prigionieri e (persino) supera una vittoria ai mondiali : ABBIAMO LIBERATO MARIAM !
    O forse no l`hanno liberata i sudanesi, magari pure lautamente pagati, ma non sottilizziamo, noi abbiamo fornito aereo presidenziale e gran treno di ministri, cortigiani e giornalisti osannanti (tutti pagatissimi e lussuosamente trattati) per scortarla in pompa magna davanti al Nostro Grande Presidente. E corroborati da cotale portentoso successo ci avviamo a profonodere altre regalie, ovviamente tutte a spese del bovino contribuente che appunto come i bovini esiste per essere macellato.
    Ah come aveva ragione l`Abate Parini nell`indimenticabile « Vergine Cuccia delle Grazie Alunna » ! Om volgare all`uman doglie la sua pietà riservi !
    E per dirla in termini attuali che sono le migliaia di anziani, nostri concittadini, ridottti alla fame e spogliati anche della casa dopo una vita di lavoro onesto e tassato. ? Che sono le centinaia di migliaia di giovani senza lavoro o (i fortunati) con un lavoro precario senza futuro ? Che sono le centinaia di migliaia di malati onesti contribuenti, ma senza vera ssistenza, salvo il pagare per non morire ? Che sono le miriadi di attività economiche che muoiono mettendo alla disperazione e a volte al suicidio (meglio) gli inutili che da esse traevano il sostentamento ? Sono vili dettagli, degni appunto di gente gretta a volgare, veri parassiti della Nuova Grande Europa.

    Vede dunque come e quanto bisogna gioire per la risorta Mariam, alla quale spetta un meritato empireo di gioia e prosperità. Ovviamente a spese delle predette nullità sopra citate. E dicevo é anche miscredente, avvocato, perchè non gioisce doppiamente per il salvataggio di una conversa, pur ammonito dalle evangeliche parole delle 99 pecorelle. (vero che le nostre non sono al sicuro nell`ovile, ma in mezzo ai lupi, ma non sottilizziamo)

    E quindi con un Tal Governo che ottiene subito e non « in cento, pardon mille giorni » cotali Mirabolanti Vittorie e giustamante ci dice che *questa é l`Europa », che vuole mettersi cianciare di Keynes, di banche e di ingegneria sociale ed altre inutili ovvietà.
    Che il popolo é bue lo sanno tutti. Già quel fesso di Platone diceva che ogni popolo ha il governo che si merita. E noi questo ce lo meritiamo. E finiremo prede indifese di oligarchi sempre più ignoranti, corrotti e rapaci, senza alcun rimedio né civile, né politco nè economico. E non solo. Difatti fra poco, quando non ce la faremo più a pagare le tasse e ci avranno tolto tutto, si ripristinerà la servitù personale e non solo lavorativa (gli schiavi ed i negrieri li abbiamo già e pure prosperi ed in crescita) ma anche sessuale. Avendo certamente il potente il diritto di abusare come nel medioevo dei nostri congiunti da lui ritenuti piacenti e ovviamente, per essere moderni, senza alcuna differenza di genere o età.

    Cara la mia gente se non ci si ribella fra qualche anno saremo tutti in fila davanti al supermercato (del Don Rodrigo locale) per comprare il pane. E tenuti in riga da mercenari di colore a suon di legnate. E di pane non ce ne sarà per tutti. E non per disponibilità, ma per la semplice ragione che come dice l`avvocato giustamente, un popolo inerme, rassegnato ed anche affamato é meglio controllabile e sfruttabile. E come dicevano certi « ingegneri sociali » che popolano gli incubi degli storici, più ne crepano meno si lamentano, basta che ce ne siano abbastanza per essere sfruttati.
    Io non sono credente, ma dato che le mie speranze negli uomini si sono esaurite speriamo nella Provvidenza. E se invece arrivasse il diavolo a cavarci d`impiccio, ebbene parafrasando Churchill, direi certamente una buona parola per lui quando fossi davanti a S. Pietro.

    PS Io Mica sono contro alla liberazione della Mariam, ci mancherebbe tre in più mica fanno differenza, ma penso che la rilevanza mediatica del caso sia esorbitante. Ed altrattanto sproporzionati siano i costi dell`operazione. Difatti se alla signora si fosse dato in luogo opportuno e senza tante storie il 10% di quanto si é speso « per liberarla » ella sarebbe certamente più contenta e non si sarebbero scomodati papi e ministri che temo dovrebbero far (meglio) ben altri lavori. E poi non vorrei che la poveretta una volta usata come supposta da bocca per il popolo bue venga riconsegnata all`oblio ancora in condizione di indigenza.

    PS Churchill dal 1924 al 1928 non era primo ministro ma cancelliere dello scacchiere nel gov. Baldwin

  4. Giovanni V scrive:

    eh, eh,eh… ma il bello è che molta gente non affatto stupida continua ad andare a votare il proprio partito di riferimento credendo di cambiare il mondo.

    Oppure si sente in obbligo di andare a votare per battere il “nemico”, non capendo che destra e sinistra sono alla fine la stessa cosa, ossia una finzione al soldo dei soliti noti, come lo sono i Sindacati, i partiti, la Magistratura etc….

    Vi è però anche il fenomeno dello scambio del voto (voto in cambio di lavoro) che ho la sensazione non riguardi solo il Sud Italia, come si vuole invece far credere.

    Avvocato, ma perché oltre a scrivere libri e articoli illuminanti come questo, non pensa ad un modo per smuovere veramente le acque?

    Pensavo ad un movimento transnazionale apartitico (con Lei leader, per quanto riguarda l’Italia) volto a svegliare milioni di menti e coscienze dormienti in tutto il mondo attraverso l’uso dell’inglese e dei social networks stile Ron Paul: che ne pensa?

    Internet può aiutare in questo se usato in modo sapiente (pensi a Casaleggio in Italia) e io su questo posso dare una mano!!

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