RELAZIONE SU CTU IN PSICHIATRIA
FORMULAZIONE E COMPRENSIONE DEI QUESITI
Osserviamo una diffusa standardizzazione, o stereotipizzazione, dei quesiti che i giudici formulano ai loro consulenti tecnici in campo psicologico e psichiatrico. Questo dato di fatto, questa prassi, può ingenerare un senso di stabilità e di certezza delle procedure giudiziarie nonchè della collaborazione con l’esperto. In realtà la situazione non è certa nè stabilizzata. Anzi, racchiude contradizioni e antinomie, che il ctu dovrebbe avere sempre presenti durante l’espletamento del suo incarico ma anche prima di esso, nel momento della formulazione del quesito.
La CTU civile e la Perizia penale sono due istituti che, pur restando inalterate le norme che li disciplinano, hanno avuto nella prassi una profonda evoluzione che li ha portati sovente a superare il ruolo che il diritto positivo assegna loro. Nella presente relazione tratterò essenzialmente problemi inerenti alla ctu.
Una prima e ben nota linea evolutiva, è quella della psicologizzazione. La CTU civile e la Perizia penale erano, in passato, orientate alla ricerca e alla diagnosi di malattie mentali che comportassero l’incapacità genitoriale o l’interdicibilità – la prima – e la non imputabilità o ridotta imputabilità – l’altra.
Oggigiorno abbiamo quesiti e ctu civili che si interessano a processi intrasoggettivi e relazionali da un punto di vista psicologico, sovente -dati gli orientamenti prevalenti tra gli psicologi- attraverso un’ottica psicodinamica, prescindendo dalla ricerca della malattia psichiatrica. In ambito familiare, ciò è una conseguenza dell’art. 155 cc, che spinge il giudice a cercare non tanto una decisione della causa tra le contrapposte posizioni di padre e madre, quanto l’interesse dei figli minorenni, in analogia a quanto consentito dall’art. 336 cc al TM per i provvedimenti in camera di consiglio.
Parallelamente, come faceva notare il prof. Placidi, in ambito penale, la Perizia penale, malgrado il disposto del diritto positivo che esclude la ricerca di fattori causativi psicologici, ha un taglio e una sostanza sempre più psicologici.
Una seconda, pure nota, linea evolutiva, è quella dell’affidamento alla ctu di funzioni prescrittive – stabilire, in sostanza, per esempio, il regime di affidamento e frequentazione della prole minorenne. Anche questa linea evolutiva diverge da ciò che la ctu è per il diritto positivo, ossia per le norme del codice, sebbene sia indotta dalle disposizioni dell’art. 155 cc, oltre che dalla popolarità e fascinosità della psicologia.
Una terza linea evolutiva, meno discussa, meno problematizzata, ma ancor più seriamente divergente dal codice perchè potenzialmente lesiva del diritto alla difesa, è quella della delega da parte del giudice al ctu di compiti istruttori che sono riservati al giudice. Una delega che può essere implicita o esplicita nel contenuto del quesito e del suo preambolo. Esaminiamo questo tema partendo dai suoi presupposti.
Nel diritto processuale civile, la ctu non è un mezzo di prova -come lo sono, invece, la testimonianza, la confessione, il giuramento, i documenti- bensì un mezzo per valutare tecnicamente dati la cui prova sia già stata assunta nel processo attraverso i mezzi di prova suddetti, nonchè per fornire elementi diretti di giudizio.
Codice civile (1942) art. 2697
Codice procedura civile art. 61
Codice procedura civile art. 191
La consulenza tecnica, pur disposta d’ufficio, ha la funzione di fornire all’attività valutativa del giudice l’apporto di cognizioni tecniche che egli non possiede, ma non è certo destinata ad esonerare la parte dalla prova dei fatti dalla stessa dedotti e posti a base delle proprie richieste, fatti che devono essere dimostrati dalla medesima parte alla stregua dei criteri di ripartizione dell’onere della prova posti dall’art. 2697 c.c..
Cassazione civile, sez. lav., 10 dicembre 2002, n. 17555
Enpals c. Com. Parma
Al riguardo dell’onere della prova, faccio presente che, nella maggior parte delle cause in cui si dà luogo a una ctu o perizia psicologica o psichiatrica (affidamenti di minori, interdizione e inabilitazione, questioni di imputabilità), è parte anche il PM, che quindi dovrebbe attivarsi per cercare e fornire prove a tutela dei minori o degli interdicendi.
Insomma, il CPC descrive il CTU come un assistente, ausiliare del giudice, che dal giudice può essere delegato a compiere determinate attività accertative in proprio – artt. 61, 193, 194.
Nella prassi, ossia nei quesiti, il CTU ha però una autonomia di indagine molto maggiore. Egli può, infatti -come riconosce la SC- non solo valutare circostanze di cui sia già stata acquisita la prova, bensì anche assumere egli stesso quelle circostanze, la cui assunzione si possa fare solo attraverso le sue conoscenze e capacità tecniche.
Codice procedura civile art. 61
La consulenza tecnica d’ufficio, il cui scopo è quello di aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che comportino specifiche conoscenze tecniche, non può essere disposta al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume ed è quindi legittimamente negata dal giudice qualora la parte tenda con esso a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o di prove ovvero a compiere un’indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati. Ai sopraindicati limiti è consentito derogare unicamente quando l’accertamento di determinate situazioni di fatto possa effettuarsi soltanto con il ricorso a specifiche cognizioni tecniche, nella quale ipotesi, peraltro, la parte che denunzia la mancata ammissione della consulenza ha l’onere di precisare, sotto il profilo causale, come l’espletamento del detto mezzo avrebbe potuto influire sulla decisione impugnata.
Cassazione civile, sez. III, 31 luglio 2002, n. 11359
Raduano c. Soc. lav. e sicurtà
Giust. civ. Mass. 2002, 1414
Non solo.
Oltre alla ricerca di prove e all’assunzione di prove nei termini suddetti, la ctu perviene anche alla raccomandazione di scelte – atto che concettualmente nulla ha a che fare con l’attività probatoria. Ciò è quanto accade -dicevamo- ogniqualvolta il giudice affidi al CTU -caso frequentissimo- la individuazione del genitore più adatto come affidatario e la predisposizione di un programma di frequentazione del genitore non affidatario.
E’ del tutto evidente la lontananza qualitativa di questa prassi dal significato delle norme del diritto positivo. Una lontananza che si è prodotta per soddisfare bisogni pratici.
E’ del resto un ben noto dato di fatto, che la prassi dei giudici e dei giudizii sovente si allontana dalle norme di legge, o si sottrae ad esse. Ad esempio, i tentativi di imporre per legge tempi rapidi e un carattere di oralità al processo si sono sempre scontrati con una resistenza della prassi. E così i tentativi di imporre per legge limiti e garanzie alla custodia cautelare in carcere sono sempre stati in parte vanificati da una prassi di disapplicazione di quei limiti e garanzie. La stessa Costituzione -è arcinoto-, pur essendo legge fondamentale, è da sempre in buona parte disapplicata o violata dalla prassi, che ha formato la c.d. costituzione materiale. Si pensi solo alla tradizione di governi formati e dissolti fuori dal parlamento e di presidenti della repubblica che si schirano politicamente. A questo fenomeno, definibile ‘trasgressività istituzionale’, ho dedicato uno studio approfondito nel mio saggio Le Chiavi del Potere, dove espongo come essa sia funzionale e indispensabile al mantenimento di qualsiasi sistema di potere. Sempre in tema di ctu, ritroveremo però all’opera la trasgressività istituzionale tra poco.
Intanto, riprendendo il discorso, dal punto di vista del diritto, è anche però evidente che questo allontanarsi dei quesiti, quindi della prassi della ctu dalle norme processuali pone un problema di ordine superiore, ossia di salvaguardia del diritto alla difesa delle parti processuali, il quale, a norma dell’art. 24 Cost., deve essere garantito.
E qui occorre chiarire che cosa è, e soprattutto come va fatta, la ricerca della ‘verità’ nel processo, perchè essa è diversa dalla ricerca della verità tout court. Si può pensare, comunemente, che la giustizia, il processo, la sentenza accertino, o mirino istituzionalmente ad accertare, la verità. Concezione falsa. La verità giudiziale non è la verità tout court, è una cosa diversa. Può deviare completamente dalla verità reale: res judicata facit de albo nigrum, si era capito già in tempi antichi. Il processo non ha la funzione di ricercare la verità, bensì di applicare prestabilite regole all’ipotesi iniziale per arrivare, in tempi più o meno lunghi a una decisione che sia definitiva – regole di accertamento, sì, ma di accertamento secondo un metodo specifico che pone limitazioni -più o meno elastiche a seconda del tipo di procedimento- alla ricerca della verità, in funzione della garanzia della difesa, dei diritti dei terzi, della necessità di definire il giudizio (necessità che non ha la ricerca pura della verità). Così non tutte le prove sono ammissibili.
Ad esempio non sono ammesse intercettazioni telefoniche fuori dei casi di legge, atti istruttori compiuti senza la presenza del difensore, atti istruttori non chiesti per tempo, testimonianze valutative o su dicerie; nel processo civile non è ammessa la prova testimoniale – ma solo documentale – di contratti di alto valore od aventi ad oggetto diritti reali; nel processo tributario non è ammessa alcuna prova testimoniale; etc.
Per lo psichiatra, allo psicologo, quale persona di scienza, quale clinico, la ricerca della verità, dei fatti, appare ovviamente come qualcosa di libero, da farsi secondo il metodo cui egli aderisce, le sue teorie. Nel processo, per contro, la ricerca della ‘verità’ avviene conflittualmente, ossia nello scontro di interessi e di punti di vista delle parti, a ciascuna delle quali deve essere garantita la partecipazione alle varie attività, comprese la ricerca, l’assunzione e la valutazione delle prove. E avviene con misure di sicurezza, come l’incapacità a testimoniare di persone che abbiano un interesse in causa, che legittimerebbe la loro partecipazione al giudizio; la responsabilizzazione attraverso sanzioni penali del teste o del perito che dichiara il falso, o della parte che commette spergiuro. Queste garanzie non assistono, invece, l’attività investigativa del ctu.
Così, stando alla lettera delle norme procedurali, la ctu dovrebbe limitarsi all’esame delle prove già acquisite e non andare alla ricerca di altre prove, nè assumerle, nè elaborare prescrizioni.
Poichè però fa tutte queste cose, si pone un problema di adeguamento della tutela del diritto delle parti alla partecipazione e al contraddittorio, specialmente laddove il ctu -come non di rado accade nella consulenza psicologica e psichiatrica- debba o voglia porre a fondamento delle proprie valutazioni e conclusioni fatti, circostanze, che non sono stati provati nel processo, e che sono controversi. Ad. es., immaginiamo che un ctu incaricato di valutare l’idoneità e la capacità di un padre ai fini dei rapporti con la prole, si trovi di fronte all’affermazione della madre, che il padre in questione sia alcolizzato e violento, o pesantemente dedito al gioco d’azzardo; e che il padre neghi questa affermazione. La circostanza non è stata oggetto di prova nel procedimento, ed è molto rilevante ai fini delle conclusioni del ctu, conclusioni che comprenderanno, di fatto, la decisione sul punto dell’affidamento o della frequentazione. Magari la circostanza si trova menzionata in qualche rapporto dei Servizi Sociali. Come si dovrà comportare il ctu? Dovrà ripararsi dietro il dire “La madre afferma e il padre nega che il padre sia un violento ubriacone; ai fini psicologici non interessa la verità oggettiva, ma la verità del vissuto soggettivo, nel quale il padre è così.” Questo sarebbe una presa in giro della giustizia. Dovrà recepire come oro colato tutto ciò che sia stato scritto da una qualsiasi autorità, per rispetto verso l’autorità? Questa scelta potrà far piacere ai colleghi dei SS, ma sarebbe contraria al codice e alla costituzione. Dovrà dire: “ritenuto sulla base delle affermazioni di persone sentite, dei SS etc. che il padre sia un alcolista e un violento, lo ritengo inidoneo per l’affidamento”? Ciò sarebbe solo superficialmente corretto, perchè le controverse circostanze oggettive dell’alcolismo e dei comportamenti violenti possono, quindi devono, essere provate mediante le prove ordinarie, e non essere liberamente, soggettivamente stimate dal ctu (ricordiamo che il ctu, secondo la giurisprudenza, può assumere direttamente solo quelle prove che siano assumibili unicamente attraverso le sue competenze tecniche specifiche, sicchè davanti al dubbio su un fatto che si può provare diversamente -con testimoni- il ctu deve astenersi, anche se, di fatto, spesso ciò non avviene). Dovrà allora limitarsi a prendere conclusioni ipotetiche -ossia, se è vero che il padre è un alcolista violento, allora è genitorialmente incapace? Ciò sarebbe metodologicamente onesto, ma lascerebbe il giudice in difficoltà. Credo che la scelta insieme corretta e pratica sia quella di far presente al giudice e ai difensori, per iscritto, che, appunto, sono emerse circostanze di fatto, controverse, e non ancora oggetto di prova nel giudizio, rilevanti per la risposta ai quesiti, sollecitando che venga disposta prova sul punto, perchè senza prova sul punto la ctu non può essere eseguita in modo soddisfacente.
Naturalmente, quando la circostanza controversa sia una circostanza di cui la parte interessata a provarla aveva precedentemente conoscenza, e aveva l’onere di chiederne la prova, e non l’ha fatto -non ha, ad esempio, chiesto di provarla mediante testimoni nel termine di legge, posto, per il processo civile, dall’art. 184-, allora il ctu non potrà considerarla come provata nè potrà egli stesso assumerla, supplendo all’omissione della parte processuale, perchè ciò sarebbe contrario alla legge e alla giurisprudenza che abbiamo poc’anzi esaminata.
Situazioni del genere non sono rare, e spesso producono serie sofferenze e ingiustizie, che non possono essere raddrizzate nel prosieguo della causa, specialmente se manca il vaglio giudiziale per ragioni di frettolosità e di standardizzazione, che portano a scotomizzare la problematicità. Pensiamo al ctu che si induce a prendere per buona, per vera, una circostanza controversa del tipo e del peso che dicevamo poco fa, in realtà falsa, e che di conseguenza dia al giudice un input di pericolosità di uno dei due genitori o di entrambi e che ciò porti all’affidamento della prole a un istituto o a una famiglia. Nel tempo che serve al genitore ‘calunniato’ per provare la falsità delle circostanze comportanti il giudizio di pericolosità o inidoneità -che è un tempo di anni- il rapporto coi figli è compromesso, il figlio sviluppa un inserimento in un altro contesto sociale, familiare; sicchè il giudice dirà: “Toh, avevi ragione, non sei un ubriacone nè un violento. Però, sai, sono passati anni, i tuoi bambini si sono nel frattempo inseriti in un altro contesto… che ci vuoi fare… dobbiamo lasciarli dove sono, a questo punto.”
E’ questo il caso di un mio sfortunato cliente, Mario, il quale, dopo la separazione dalla moglie epilettica schizofrenica violenta, subì l’allontanamento dei figli sulla motivazione che fosse alcolista e incline alla violenza sotto l’effetto dell’alcool. In realtà, mario era ed è astemio, ma le assistenti sociali e la psicologa dell’ASL avevano scritto, nel loro rapporto che fosse alcolista, perché così aveva detto loro la moglie di Mario. Ebbene, nei successivi dodici anni di cause davanti al Tribunale dei Minori per riavere i figli, Mario non è mai riuscito ad ottenere, pur domandandolo frequentemente e presentando dovizia di certificati medici e di analisi di laboratorio, che il consulente tecnico del Tribunale riesaminasse la valutazione di alcolismo. Palesemente, i consulenti del Tribunale – tutti psicologi – osservavano una legge non scritta, che prescrive che non si possa smentire i colleghi dell’Asl né, tantomeno, rivelare i loro errori più clamorosi.
Purtroppo, per dirla tutta, esiste una tendenza diffusa, nei giudici, soprattutto in campo psicologico, a delegare al ctu gli accertamenti di circostanze che potrebbero, dunque dovrebbero, essere accertate con le prove ordinarie, onde alleggerirsi il lavoro. Le udienze di prova orale sono, infatti, molto impegnative per il giudice in termini di tempo e lavoro.
E a questo punto si compie un ulteriore passo avanti nell’illegalità. Primo passo: il giudice ha delegato al ctu una funzione che al ctu per legge non compete, essendo riservata alle prove tipiche. Secondo passo: il ctu ha assunto prove su date circostanze senza il rispetto delle garanzie processuali, fuori dal contraddittorio, e le ha inserite nella sua relazione. Terzo passo: il giudice, che si ritrova la relazione del ctu dove si affermano come accertate quelle medesime circostanze, le tratta come circostanze provate ai fini della decisione, come se fossero state oggetto di una prova legittima, eludendo le norme e garanzie in materia istruttoria, grazie a un uso surrettizio del seguente principio:
Codice procedura civile art. 132
Codice procedura civile art. 161
Quando il giudice di merito ritenga di aderire alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, non è tenuto ad una particolareggiata motivazione, ben potendo il relativo obbligo ritenersi assolto con l’indicazione, come fonte del proprio convincimento, della relazione di consulenza, anche nel caso in cui le valutazioni contenute in una prima relazione peritale siano state oggetto di esame critico in una successiva consulenza tecnica d’ufficio, alle cui conclusioni il giudice di merito ritenga di aderire. Anche in questo caso, infatti, è sufficiente la ragionata accettazione dei risultati della nuova consulenza per ritenere implicitamente disattesi, senza necessità di specifica ed analitica confutazione, le argomentazioni e i conclusivi rilievi esposti nella precedente consulenza.
Cassazione civile, sez. lav., 9 gennaio 2003, n. 125
Tondinelli c. Inail
Giust. civ. Mass. 2003, f. 1
Sarebbe invece auspicabile che sia il giudice stesso, nella formulazione del quesito, magari su richiesta dello stesso CTU nominato, a introdurre quella prescrizione, con una dicitura del tipo: “Qualora la risposta ai quesiti dipenda dall’accertamento della verità di un fatto contestato da una o più parti, e che possa essere provato con i mezzi istruttori ordinari, il CTU ne riferisca al giudice e ai CTP”; e anche “qualora la circostanza si trovi affermata in dichiarazioni de relato, sia orali che contenute in un documento, e risulti la persona che si assume aver percepito la circostanza, assuma il ctu informazioni scritte da questa persona; qualora non risulti, il ctu ignori le dichiarazioni.” Ciò per garantire la risalibilità alla fonte originaria e l’eventuale possibilità di sentirla a testimonianza.
Questo ci porta verso un approdo preciso, significativo: l’interattività del ctu nei confronti del giudice. Una risorsa non adeguatamente sfruttata.
Ma non sempre.
Recentemente mi è stato sottoposto un caso in cui l’interattività è stata imposta dalle circostanze. Le circostanze di una giustizia talvolta disattenta.
Un professionista, sposato e padre di un handicappato che da lui dipende per la gestione quotidiana, viene investito da un veicolo mentre attraversa la strada sulle zebre e subisce gravi lesioni anche cerebrali, con danni cognitivi, motori e alterazioni della personalità. E’ compromesso nella capacità lavorativa e non è più idoneo a gestire il figlio. Nella causa di risarcimento dei danni intentata dalla moglie anche per il figlio, il giudice istruttore nomina un collegio peritale formulando, per quanto ci interessa, un quesito vertente sulla sola idoneità parentale del padre a seguito del sinistro.
Adotta il testo-standard del quesito per l’idoneità-capacità genitoriale -quello usato nei giudizi che riguardano l’affidamento dei minori-, ossia chiede al ctu di accertare se e quanto sia scemata la capacità-idoneità genitoriale della famiglia a seguito del sinistro. Verbalmente raccomanda però al ctu di fare valutazioni anche del sofferto danno.
Alla prima riunione del ctu coi ctp, il ctp di parte convenuta, correttamente, fa presente che la relazione del ctu verrà contestata siccome inutilizzabile nalla parte che andrà a quantificare il danno da risarcire, perchè tale quantificazione non è compresa nel testo del quesito.
A questo punto il ctu fa istanza al giudice istruttore affinchè questo modifichi, integri, il testo del quesito, estendendolo alla descrizione e quantificazione del danno.
Parliamo ora di un problema di merito, anzi del principale problema di merito della ctu e della perizia psicologica e psichiatrica: quello del relativismo, della soggettività, dell’opinabilità.
Nella formulazione del quesito e del suo preambolo, e ancor prima nella scelta del ctu o del perito psicologo o psichiatra, il giudice dovrebbe tener conto di un ulteriore aspetto, ossia che non esiste un’unica psicologia nè (sia pure in minor misura) un’unica psichiatria; e che da scuola a scuola, da metodo a metodo cambia non solo la capacità dimostrativa, ma anche l’ampiezza del campo di indagine. Campo di indagine che è molto ristretto nel caso, per esempio, del comportamentismo -il quale però ha la massima capacità dimostrativa grazie al metodo sperimentale e oggettivo-quantitativo- e molto ampio nel caso della psicoanalisi -la quale non ha capacità dimostrativa, bensì suggestiva, grazie anche al fatto che la stragrande maggioranza degli psicologi italiani è di orientamento psicodinamico – circostanza, quest’ultima, che garantisce condivisione, diffuso consenso, scarso e poco percepito dissenso, quindi validazione sociale. Fattori questi importantissimi e preziosi per l’attività giudiziale, che è un’attività fondamentalmente rivolta alla stabilizzazione sociale, alla produzione di consenso, e non -ripetiamo- un’attività di indagine scientifica, la quale è, per sua natura, falsificante, quindi destabilizzante.
Parlando di psicologia in particolare, questa circostanza della pluralità delle psicologie, che spesso tra loro si delegittimano reciprocamente, appare lampante. Il dr. Bondavalli, precedente relatore, si è diffuso sul punto, quindi non serve che io mi dilunghi in esemplificazioni. E posso venire a problematiche pratiche che investono la ctu e la perizia.
Innanzitutto, il problema della scelta del ctu.
Il giudice dovrebbe da un lato aver presenti i tipi di questioni che dovranno essere indagati allo scopo di scegliere non solo il tipo di specialista, ma lo specialista di una scuola che si occupi dei tipi di questioni che ricorrono e che sono da esaminare nella fattispecie.
Oppure scegliere più di un consulente, quando la competenza di uno non basti. Ma in questo caso, se i due consulenti devono collaborare, sorge un ulteriore problema: bisognerà che il giudice ponga attenzione a nominare due consulenti che siano tra loro metodologicamente ed epistemologicamente compatibili.
Esempio del primo caso: supponiamo che, in una data causa, si ponga una questione di possibili disturbi psicopatici di una persona. Sarebbe improprio nominare ctu uno psicologo di una scuola che si occupa specificamente dello studio di sistemi di relazione intersoggettiva. Bisogna nominare uno psichiatra.
In una fattispecie concreta ho visto una relazione di ctu (un sistemico) che, in apertura, dichiara che non farà conoscere, per principio, al giudice, l’eventuale psicopatia individuale di uno o dell’altro genitore; ciò comporta una violazione dell’art. 193 cpc, e del giuramento di “bene e fedelmente adempiere le funzione affidate, al solo scopo di far conoscere al giudice la verità” – onde ulteriore ragione di nullità della ctu. Il ctu scrive: “la necessità del Giudice di conoscere la potenziale nocività dei genitori è un’insidia poiché implica la possibilità di evidenziare in uno solo dei due tale nocività, sapendo invece che la nocività è spesso funzione di una relazione disfunzionale tra coniugi o tra genitori”. Questa affermazione è incompatibile coll’art. 193 cpc perchè è una dichiarazione che al giudice certe cose non devono interessare, perché potrebbero sviarlo; quindi non gli verranno dette, anzi non si indagherà nemmeno per vedere se ricorrano oppure no. Al contempo, è la professione di fede, di una fede di tipo religioso, in uno dei molti modelli teorici della psicologia, quello sistemico-relazionale, che non è certo tra i più accreditati, ma che, soprattutto, è con certezza insufficiente, se non addirittura inidoneo per l’uso giudiziario, che richiede innanzitutto una valutazione e, se del caso, una diagnosi, della singola persona, indi un’analisi delle dinamiche intersoggettive. Come correlato, nella predetta ctu non vi è alcun tentativo di approfondimento clinico: nonostante la riconosciuta presenza di sospetti di disturbi psichiatrici, non è stata raccolta alcuna storia in senso medico per evidenziare nei due coniugi elementi fisiologici o patologici pregressi che possano chiarificare gli sviluppi successivi.
Esempio del secondo caso: il giudice nomina uno psicologo di scuola sistemica, cognitivista e gli affianca uno psicologo psicometrista di scuola psicodinamica. In questa ipotesi abbiamo due consulenti con matrici interpretative incompatibili. Come può un cognitivista delegare l’indagine della personalità al test di Rorschach? I due ‘esperti’ potranno collaborare, ma questa collaborazione sarà solo una finzione di comodo.
Qualora il ctu nominato si accorga, al momento del conferimento dell’incarico o in corso d’opera, che ricorre uno dei suddetti problemi, dovrebbe, ancora una volta, riferirne al giudice e ai ctp.
Altrimenti accadrà, anzi accade, che, di fronte a molte situazioni che presentano aspetti rientranti solo in parte nel campo di studio della sua scuola di appartenenza, il ctu bellamente ometta di prendere in esame la parte eccedente la sua ‘competenza’, e il giudice o il difensore non si accorga, o chiuda -per semplificarsi il lavoro- un occhio su questa omissione.
In secondo luogo, il problema del basso livello di validabilità e del relativismo.
Questo è un problema essenzialmente sociopolitico e di equità, che si articola in due componenti:
-la psicologia non è la fisica nè l’ingegneria: le psicologie, gli psicologi ctu, dispongono di metodi di falsificazione/verificazione molto deboli e arrivano alle loro conclusioni, soprattutto nei casi singoli, senza vere e proprie prove; le loro conclusioni sono spesso opinabili e rovesciabili perchè facilmente confutabili sono le loro metodologie, quindi ben difficilmente una sentenza basata su una ctu psicologica potrà essere appagante;
-le psicologie sono molte. Supponiamo, per esempio, di porre un quesito sul rapporto eziologico tra il comportamento del marito e l’ansia della moglie a psicologi di diverse scuole. Stante la grande diversità di metodo e di presupposti antropologici delle varie scuole psicologiche, in quasi tutti i casi, scegliere un consulente di una scuola piuttosto che di un’altra fa molta differenza. Porterà a differenti e tra loro inconciliabili metodi di indagine e probabilmente a diverse risposte ai quesiti, quindi tendenzialmente a diverse decisioni giudiziali.
Lo stato, in fondo, riconoscendo più scuole, più psicologie, tra loro in parte incompatibili e generalmente divergenti e consentendo che tutte siano applicabili nel processo (ma che altro poteva fare?), ha creato una situazione paradossale, in cui molto spesso il tipo di risposta al quesito dipende da scelte del tutto opinabili, il che dà una percezione di ingiustizia, perchè una giustizia soggettivista è percepita come iniqua, e tanto più in quanto va ad aggiungersi alla intrinseca opinabilità e soggettività di ogni psicologia.
In linea di puro, ideale garantismo democratico massimalista, la soluzione, altrettanto paradossale, sarebbe quella di affidare ogni ctu a rappresentanti delle varie scuole, dei vari metodi, in modo che al giudice siano sottoposte le soluzioni alternative, e poi il giudice, peritus peritorum, decida per l’interpretazione migliore. Ovviamente, dovrebbe motivare questa decisione – cosa irrealistica, per ovvie ragioni.
In linea di garantismo minimalista, la soluzione potrebbe consistere nell’enunciare, da parte del ctu, il proprio metodo, i propri assunti, i loro limiti di campo e di validazione, precisando che le conclusioni hanno un margine irriducibile e apprezzabile di incertezza e che esperti di altre scuole applicherebbero altri metodi e potrebbero arrivare a conclusioni diverse. Questa soluzione non sarebbe una soluzione perchè esaspererebbe la percezione di opinabilità, quindi di ingiustezza delle decisioni della ‘giustizia’.
In linea di buon senso e onestà culturale, la soluzione potrebbe andare nel senso di restare quanto più possibile aderenti alla realtà oggettivamente verificabile e non mai prescinderne, prescrivendo al ctu di muovere sempre dall’accertamento e dall’ipotesi più oggettivi, ossia fare innanzitutto un inventario di tutti i fatti storici e i documenti rilevanti -ad esempio, l’anamnesi degli interessati, la ricostruzione della loro vita scolastica, sociale, professionale; precedenti penali; indi (come richiesto dalle varie circostanze) eseguire gli accertamenti clinici (su tutto il range di ipotesi rilevanti, iniziando da quelle organiche, siccome più verificabili) e psicometrici, quindi eventuali diagnosi; solo in seguito procedere alle interpretazioni di carattere squisitamente psicologico e congetturale. Il metodo è, in somma, di dare priorità procedurale all’accertamento più verificabile e preferenza alla spiegazione meno soggettiva, ossia a quella rispetto a cui meglio è garantito il diritto costituzionale di difesa e contraddittorio. Le diagnosi dovranno farsi secondo i criteri del DSM, che appunto costituisce uno sforzo per superare o limitare la soggettività nelle valutazioni cliniche attraverso una formalizzazione su basi statistiche.
In linea di ragion di stato, di politica, la soluzione è un’altra, e la vediamo non di rado adottata. Lo scopo dell’amministrazione della giustizia, delle istituzioni, dello Stato, non è la ‘giustizia’ in se stessa, nè la correttezza diagnostica, criminologica, pedagogica; ma bensì la produzione e il mantenimento del consenso intorno a sè stesse, della compliance, della fiducia, dell’opinio legalitatis – ossia la prevenzione della percezione di ingiustizia o inefficienza, da parte della popolazione in generale e degli utenti del servizio giudiziario in particolare; e in più offrire un colpevole, un capro espiatorio su cui si possano scaricare le tensioni. Per questo lo stato, anche nell’amministrazione della giustizia, quindi il tribunale, agisce e argomenta in modo verificazionista, quindi antiscientifico. Il metodo falsificazionista proprio della indagine scientifica, non è compatibile con l’azione dello stato, e con la giurisdizione in particolare, per due ovvie ragioni: a)aumenta la percezione del dubbio, della possibilità di altre verità, di errore giudiziario; b)è contrario al pensiero comune, che è appunto verificazionista (Lorenzo Fanoli, la Prova della Verità nel Processo penale).
Da quanto sopra consegue che un metodo efficace, per risolvere il problema della opinabilità e del relativismo delle ctu psicologiche, è quello di eliminare il presupposto della percezione del relativismo, ossia eliminare o minimizzare la percezione della pluralità delle scuole e dei metodi alternativi, e impedire che la decisione che si prende oggi possa domani essere confutata. Il che si ottiene facilmente: basta che gli uffici giudiziari di un dato foro, o meglio distretto di corte di appello (questo perchè la Corte di Cassazione non entra nelle questioni di merito, che ultimamente vengono quindi decise dalla corte di appello) si coordinino per nominare sempre o quasi ctu tra gli appartenenti a un’unica scuola, meglio se già maggioritaria, così da dare a questa il monopolio metodologico e culturale, scoraggiando o mettendo fuori gioco le scuole diverse da essa e creando un pensiero psicologico comune, autovalidante, autoreferenziale, che perciostesso verrà percepito come obiettivo, più sicuro, più scientifico da magistrati, avvocati, parti, mass media che divulgano le vicende. Chi vuole lavorare, in un simile contesto, deve conformarsi.
Il processo di creazione del consenso andrà poi oltre, entrando nel merito: non solo sarà applicata e riconosciuta una sola psicologia, ma verranno standardizzate e tipicizzate anche le analisi e le soluzioni, creando un’uniformità integrata tra scuola di ctu, modelli interpretativi, modelli decisionali per le sentenze, talchè cadere in errore o in contradizione diverrà pressochè impossibile e l’amministrazione della giustizia guadagnerà assai in autorevolezza. Il giudice nominerà il ctu della scuola monopolista, sapendo che questi darà una risposta che egli, giudice, potrà usare direttamente per decidere, sicuro che non vi sarà un ctu di diversa impostazione, in appello o in una fase ulteriore, che confuti quello che ha detto il primo ctu.
Avviene anche sovente che il giudice trasmetta, più o meno intenzionalmente, sovente nella stessa formulazione dei quesiti o del preambolo, all’ambiente dei ctu o al ctu nominato in particolare, i suoi desiderata, la sua mentalità, la sua ideologia, in generale o circa un caso specifico. E soprattutto l’impostazione verificazionista. E che quindi il ctu del processo specifico, o i ctu in generale, imparino ad attaccare l’asino dove vuole il padrone, altrimenti questi nomina un altro e/o liquida gli onorari in base alle tabelle ministeriali senza maggiorazione.
Così, ad esempio, può trasmettere al ctu la direttiva di andare alla ricerca delle conferme di una data tesi o stereotipo interpretativo che il giudice preferisce, scotomizzando i dati contrari – direttiva assai facilmente eseguibile in campo psicologico e psichiatrico, data l’ampia soggettività metodologica. Può trasmettere la preferenza o preconcezione ideologica per la reinterpretazione-negazione della malattia mentale in chiave di costruzione sociale; oppure -pensiamo al riesame di pericolosità- una sua convinzione ideologica che il reinserimento debba sempre essere possibile. Ecco i molti ex internati che tornano a uccidere.
In fatto di modelli interpretativi più articolati, può trasmettere la direttiva di rappresentare falsamente nel suo elaborato come genitore adatto per l’affidamento quello mentalmente più disturbato, nella logica di far portare la sofferenza per la privazione e per la squalificazione al genitore più sano e più forte. La professione ideologica del ctu citato precedentemente -non riferire al giudice i tratti psicopatologici allo scopo di non sviarlo- potrebbe essere funzionale a una simile politica.
Con queste considerazioni ci siamo ormai addentrati nelle dinamiche del condizionamento del ctu e del perito da parte del giudice e del quesito, delle formulazioni suggestive, induttive; nonchè del conseguente comportamento del ctu – temi tutti su cui ci illuminerà la d.ssa Mereu con una relazione che sono sicuro ricorderemo a lungo.