UMORE E SPIRITUALITA’
Umore e Spiritualità
Definizione, contenuto e funzioni della ‘spiritualità’
Preliminarmente occorre definire il termine ‘umore’ e il termine ‘spiritualità’.
‘Umore’ è un termine semanticamente articolato, ma sufficientemente stabilizzato nel suo uso psichiatrico, almeno ai nostri fini. Comprende i sentimenti e gli affetti vitali di base, radicati nella sensazione cenestetica di benessere o malessere corporeo, regolati principalmente da neuromodulatori, influenzanti autostima, gioia, sicurezza e alimentanti motivazione, propositività, aspettative, intraprendenza. Il termine ‘umore’ è l’indice riassuntivo di questi fattori.
‘Spiritualità’, per contro, è un termine semanticamente assai impreciso e insieme assai evocativo; il che pone un serio problema preliminare, siccome una trattazione scientifica esige che si sia, o ci si renda, consapevoli del significato delle parole che si usano e del loro eventuale grado di indeterminatezza semantica.
Poichè non si sa che cosa sia, nè se esista, lo ‘spirito’ (con tutta la problematica filosofica e ontologica che ciò implica, cominciando dalla bimillenaria questione del dualismo ontologico e della trascendenza[1]), non si può definire la spiritualità in modo diretto. La si può solo porre tra virgolette e descrivere in modo fenomenologico. Fenomenologicamente, la ‘spiritualità’ si presenta come un insieme di costellazioni emotive, rappresentative, comportamentali, fisiologiche caratterizzate da vissuti di trascensione dei limiti del mondo naturale associati a sentimenti di gioia, esaltazione, beatitudine, ma anche di autosvalutazione, angoscia, sensi di colpa.
Il paradigma che viene più o meno estesamente ‘superato’ da tutte le forme di spiritualità, è quello della condizione umana, e può essere esplicitato e, insieme, compendiato nei seguenti termini:
“La realtà e il nostro corpo sono fatti di materia; la coscienza vive sinchè vive il corpo; la morte è la fine di tutto; la coscienza non agisce sulla materia; tutte le cose interagiscono secondo la legge di causa ed effetto e sono soggette a nascita e morte; il divenire è governato da leggi naturali più o meno note, impersonali, amorali, non influenzabili dai nostri desideri; l’uomo abbandonato a sè stesso in un universo che non si cura di lui e della sua vita senza scopo nè senso”[2].
Questo paradigma perlopiù opera tacitamente, come un filtro o stampo dietro la nostra coscienza e la nostra affettività, ed è il sostrato e il presupposto più o meno consaputo di quasi tutte le attività umane (scientifiche, tecnologiche, economiche, politiche, edonistiche, etc.), nonchè, al contempo, della problematica esistenziale, della condizione umana. Esso è frustrante perchè, tra l’altro, implica la mortalità dell’uomo (il cessare di esistere), esclude la possibilità della ‘magia’ (il comando della natura, della materia, attraverso il desiderio, il pensiero, la parola di potenza), non fornisce un senso e un valore complessivo del soggetto e della sua esistenza. Nell’era moderna si è aggiunta la crisi delle certezze, prima religiose e morali, poi anche scientifiche, in cui l’uomo è disorientato dalla presenza di numerosi paradigmi teleologici, interpretativi e valutativi della realtà, tra di loro contraddittori, e tutti in rapido mutamento. Tutto ciò costituisce pertanto un permanente impegno e fattore destabilizzante per l’equilibrio umorale. La spiritualità funge da contrasto a questa azione ‘deprimente’ e svalorizzante del paradigma naturalistico. Basti pensare alle caratteristiche dei paradisi proposti dalle varie religioni, i quali sono connotati dal far salvi i piaceri e le bellezze di questo mondo, depurandoli dagli aspetti sgradevoli (vecchiaia, mortalità, funzioni escretorie, ingiustizia, etc.). Significativamente, il mondo paradisiaco dei devoti del dio Vishnu ha nome Vaikunta, letteralmente traducibile nel francese Sans-Souci.
Ciò premesso, la definizione più comprensiva, più aderente alla fenomenologia e, al contempo, più neutra di ‘spiritualità’, ci pare essere così formulabile: “l’insieme degli strumenti e delle esperienze efficaci nell’appagare bisogni esistenziali (senso e valore di sè e dell’esistenza, ansia della mortalità, inquietudine di fondo, anelito di infinità-totalità, etc.) ristabilendo certezze, fiducia, senso del valore di sè, della vita, etc., mediante una più o meno ampia deroga o negazione della condizione umana e del paradigma della realtà generalmente condiviso”.[3]
La conversione alla spiritualità come processo di disapprendimento e thought reform
La spiritualità si attiva e sostiene la psiche attraverso una sovrapposizione o sostituzione del frustrante paradigma naturalistico della realtà con un nuovo paradigma, che rilancia l’umore, le prospettive, la sicurezza, il senso del valore dell’individuo. Le persone che sperimentano questo passaggio -ossia, la conversione religiosa, la scoperta di Dio, il dono della fede- fruiscono generalmente di uno slancio elazionale apportatore di benessere, serenità, senso di unione col Tutto, con Dio, che si configura diversamente a seconda dei contesti culturali e del retroterra della persona, e che è accompagnato, solitamente, da un nuovo progetto di vita e da una capacità di disciplinarsi in funzione di esso.
Nella spiritualità il soggetto entra non per ragionamento logico, bensì dinamicamente, attraverso una sorta di crisi catartica: il soppiantamento di un modo di sentire e concepire, e la sua sostituzione con un modo diverso – sovente anche con un diverso senso di identità. Mutare profondamente il proprio modo di sentirsi, di sentire la vita, concezioni e valori cui si è attaccati, richiede un rivolgimento molto energico. Si tratta, quindi, essenzialmente, di un processo di disapprendimento di un modello di realtà e di apprendimento di uno nuovo che, in misura variabile, talora radicale, contraddice il primo.
Di questo processo sono noti anche molti aspetti e meccanismi fisiologici, compresi quelli che inducono la conversione. Questi meccanismi possono attivarsi in modo endogeno e accidentale (ad es., in malattie, traumi, esperienze di premorte); ma, nel maggior numero di casi, vengono messi in opera volontariamente, su larga scala, da organizzazioni ‘religiose’, allo scopo di condizionare le persone a fini di lucro (erogare donazioni e lavoro gratuito o semigratuito, oppure comperare dall’organizzazione servizi, corsi e oggetti) – come avviene in molti culti organizzati e con molti predicatori televisivi.
Tali organizzazioni hanno in sostanza due lati: uno rivolto agli ‘utenti’, che fornisce loro esperienze spirituali; e uno rivolto ai gestori, che fornisce a questi un profitto. Esistono anche capi spirituali più o meno convinti di ciò che predicano e che, dalla fede e dall’entusiasmo dei loro seguaci derivano, in tutto o in parte, tornaconti diversi dal profitto patrimoniale, come la gratificazione di sentirsi un maestro, un guru, un inviato di Dio, un essere dotato di poteri o virtù superiori, etc.[4] I gruppi guidati da capi di questo tipo sono rari e non grandi, perchè solo un’organizzazione imprenditoriale riesce a gestire molte persone e, soprattutto, a sopravvivere al proprio leader spirituale. Nondimeno, essi sono assai rilevanti dal punto di vista psichiatrico e criminologico, perchè tra essi troviamo soggetti capaci di produrre stragi. E’ questo il caso di David Koresh, il capo spirituale dei Branch Davidians di Waco, il quale non gestiva la sua setta per fini di lucro, ma piuttosto di auto-divinificazione e, insieme, di godimento sessuale (si accoppiava con tutte le donne piacenti della setta, mentre prescriveva la castità agli altri uomini). Il suo profilo psicopatologico rivela un bisogno estremo (comune peraltro a molti capi religiosi) di controllo, di dominio sia delle persone che delle cose. La tattica degli assedianti del ranch di Koresh, guidati dall’FBI, fu quella di stringere sempre più l’assedio, privando Koresh del controllo degli spazi esterni all’edificio in cui era asserragliato coi suoi devoti, al fine di esercitare su di lui una pressione mentale che lo inducesse alla resa. Ma la perdita di controllo, così procuratagli, produsse in lui il senso della disperazione, del tutto-è-perduto – onde la sua scelta di morte. In effetti, mentre entro la comunità dei Branch Davidians egli era un dio onnipotente, una volta preso sarebbe stato declassato a pazzo criminale. I suoi devoti, in preda al fanatismo religioso, convinti dal loro credo di essere gli eletti, chiamati alla tribolazione, e che l’estremo sacrificio -la lotta dell’Agnello contro il carro armato- fosse richiesto dalla Bibbia come via per conquistare il Regno dei Cieli, resistettero, armi in pugno, alle truppe che assediavano il loro ranch, causando una strage, e poi bruciandosi vivi assieme ai propri bambini[5].
I meccanismi di conversione sopra accennati non sono affatto esclusivi nè tipici della conversione religiosa. Essi sono, al contrario, i medesimi che, in generale, operano i mutamenti di mentalità, convincimenti, abitudini e sensibilità pure in ambiti diversi dalla religione. Sono stati studiati nelle loro applicazioni propagandistiche e pubblicitarie, ma anche di condizionamento aziendale e militare, sotto i nomi di thought reform, belief coercion, indottrinamento, condizionamento e lavaggio del cervello. Vengono impiegati per creare dipendenza, fedeltà e acriticità verso l’organizzazione che li somministra (stato, partito, esercito, azienda), nonché, negli interrogatori polizieschi, per vincere la resistenza e indurre la confessione e la delazione. Si deve tener presente, infatti, che chi organizza queste ‘conversioni’ o thought reforms, non ha, se non strumentalmente, il fine di risolvere i problemi esistenziali e di umore degli adepti; ha bensì il fine di ricavare da quest’ultimi un’utilità per sè stesso (donazioni, lavoro gratuito o semigratuito, acquisto di prodotti e servizi, disponibilità a combattere, sostegno politico, compliance; in casi estremi, anche atti terroristici, come fa Hamas, per esempio).
I meccanismi fisiologici implicati sono comuni a tutti i processi di thought reform[6]–[7] e di creazione di nuove identità. Le basi di questi meccanismi sono essenzialmente emotive e fisiologiche e sono state studiate scientificamente e sperimentalmente nel secolo scorso soprattutto nell’ambito del condizionamento classico, dell’ipnosi e del condizionamento operante, più recentemente nella pnl, anche se i loro principi venivano applicati, più o meno consapevolmente, molto tempo prima – o, più probabilmente, dalla preistoria, entro le società tribali, nei riti di passaggio o iniziatici, la cui funzione era quella, appunto, di ristrutturare la persona e l’identità al momento del passaggio dalla fanciullezza alla società degli adulti, che richiedeva l’assunzione di una nuova personalità.
Il supporto e la condivisione del nuovo credo da parte dell’ambiente sociale, sono importanti per il mantenimento nel tempo della conversione, come pure la riproposizione di stimoli associati all’induzione della conversione (musiche, cerimonie, divise, liturgie, etc.).
L’uso delle tecniche di manipolazione mentale e di conversione, di fatto ha importanti effetti patogeni, individuali e collettivi, su un numero rilevante di soggetti; esso è quindi di primario interesse psichiatrico nonché giuridico.
La psichiatria si avvale, peraltro, essa stessa di simili tecniche, coinvolgendo talora lo spirituale, nella cura di diversi disturbi, soprattutto sindrome posttraumatica da stress, depressione, etilismo e tossicodipendenza.
Modi di induzione dei vissuti e degli stati spirituali
I modi di induzione degli stati e delle esperienze spirituali possono venir classificati sotto diversi aspetti.
Rispetto alla volontà:
Volontari e involontari, dal punto di vista del soggetto che sperimenta i vissuti in parola:
– intenzionali del soggetto, quando il soggetto li attua consapevolmente al fine di ottenere un risultato di tipo psichico-spirituale;
– intenzionali di terzi, quando sono imposti al soggetto da terzi (con la forza, con la suggestione, mediante sostanze, ipnosi, elettrostimolazione encefalica, etc.),
– non intenzionali, quando sono opera del soggetto o di terzi ma senza intenzione di indurre stati od esperienze spirituali (carcerazione, deprivazioni di cibo e sonno);
– accidentali (disastri, malattie), o di circostanze volute da terzi o dal soggetto ma con altri fini (carcerazione, deprivazioni);
– stati di premorte (near death experiences – NDE).
Rispetto ai soggetti implicati:
Solitari (ritiro sciamanico, eremiti) e di gruppo (riti di passaggio, cerimonie, ascesi comunitaria).
Rispetto alla forza:
Rilassanti, o morbidi (meditazione, musiche, ipnosi) e tarassici, o violenti (come l’esperienza che converte Saul sulla via di Damasco, o le iniziazioni traumatizzanti); e
Rispetto al mezzo:
Chimici, mediante somministrazione di sostanze come la ketamina o droghe psichedeliche o di insulina;
Suggestivi, mediante somministrazioni di immagini, simboli, narrazioni, sermoni, capaci di evocare il ‘mode’ spirituale e il mood dell’elazione;
Relazionali, mediante la partecipazione ad attività di gruppo, la creazione di spirito e di identità di corpo
Fisiologici, mediante somministrazione di opportuni stimoli che agiscono sul SNC in molteplici modi (suoni ritmici, luci), danze o piroette (come i dervisci) o mediante tecniche di rilassamento e meditazione (pranayama, un metodo di respirazione yoga) (vi sono tecnici specializzati nell’allestimento di chiese efficaci nell’indurre conversioni e donazioni).
Le fasi e gli strumenti della conversione
E’ necessario premettere una breve esposizione delle scoperte di Ivan Petrovic Pavlov in fatto di disapprendimento degli habits e dei condizionamenti, e di riprogrammazione. I riflessi incondizionati sono quelli innati, come il ritrarsi da una fonte di dolore, o il chiudere gli occhi se abbagliati, o il salivare quando si mangia. I riflessi condizionati sono quelli appresi per associazione (tra uno stimolo elicitante il riflesso incondizionato -la vista del cibo- e un altro stimolo -il campanello), vuoi casualmente, vuoi per volontà di terzi, vuoi per volontà propria (imparando a guidare, per esempio).[8] Pavlov è noto per aver condizionato un gran numero di cani ad emettere risposte a stimoli vari – ad es., faceva suonare un campanello prima di dare il cibo al cane, e il cane apprendeva (veniva condizionato) a salivare al solo udire il campanello, senza bisogno di mostrargli il cibo. Orbene, Pavlov eseguì molti esperimenti sulle risposte comportamentali di cani, precedentemente condizionati ad emettere determinate risposte a determinati stimoli, sottoponendoli a varie intensità di stress, procurato mediante somministrazione di scariche elettriche, o di stimoli ambigui, o ritardando l’erogazione del cibo dopo la somministrazione dello stimolo ad esso associato. Oltre una certa soglia di stress (variabile a seconda dell’animale), le risposte condizionate e gli habits risultavano modificati. L’intero funzionamento del cervello veniva inibito, come ad opera di un meccanismo di autoprotezione contro il sovraccarico di stimoli. Pavlov denominò questo fenomeno ‘inibizione transmarginale’ del sistema nervoso centrale e lo interpretò come un’autoprotezione dal sovraccarico di stimolazione..
Gli esperimenti mostrarono tre livelli o fasi di inibizione transmarginale, distinti dal normale stato di veglia: fase equivalente (in cui il soggetto risponde con pari intensità a stimoli di diversa intensità); fase paradossale (in cui viene protettivamente inibita la risposta agli stimoli forti, perchè eccessivi, ma non a quelli deboli, quindi il soggetto non risponde o quasi agli stimoli forti, ma solo a quelli deboli) e fase ultraparadossale (in cui il soggetto inverte i modelli di comportamento e i condizionamenti già acquisiti e, in casi estremi, li perde del tutto[9]). Quest’ultima fase vede un esteso disapprendimento, probabilmente prodotto da estese disconnessioni sinaptiche ad opera del rilascio di neuromodulatori quali l’ossitocina. Come risultò anche a Pavlov dai suoi esperimenti, dopo il cedimento, il cane sovente rimane in uno stato ipnoide ed è in ogni caso più facile da riaddestrarsi, da ricondizionarsi.
La ricerca sull’uomo condotta successivamente da tre psichiatri, Joost Meerloo, William Sargant, Robert. J. Lifton, ha riscontrato negli essere umani la medesima tipologia di risposta e i medesimi processi descritti da Pavlov nei cani. Ad es., nella fase ultraparadossale da stress da combattimento, il fante salta fuori dalla trincea e si mette a correre verso il fuoco nemico (inversione della risposta allo stimolo della minaccia). Il soggetto indotto, mediante opportuno stress, alla fase ultraparadossale, proprio perchè perde i vecchi condizionamenti e habits, può essere non semplicemente suggestionato o condizionato, ma ‘riprogammato’ nel modo più efficiente. Il che è ciò che molte organizzazioni religiose, politiche, aziendali e militari fanno, con tecniche sempre più sofisticate, allo scopo rendere quanto possibile obbedienti, omogenei e fedeli, quindi utili, i propri adepti, membri, agenti, soldati, staccandoli dai precedenti legami e riferimenti. La riprogammazione, o conversione spirituale, agisce principalmente attraverso un energico sollevamento del tono dell’umore in relazione alle tematiche esistenziali e a una prospettata realtà soprannaturale; quest’ultimo tratto la differenzia dalle altre forme di conversione.
Joost Meerloo, nel suo celebre libro The Rape of the Mind, studiò questi processi nell’uomo, soprattutto nei soldati alleati impegnati nella campagna di Normandia e nella manipolazione mentale da parte dei regimi totalitari e della Santa Inquisizione. William Sargant approfondì questi studi in Battle for the Mind. Robert Jay Lifton studiò il plagio mentale, da lui definito da lui thought reform, sui prigionieri americani e alleati della guerra di Corea, dopo la loro restituzione da parte della Cina comunista.
Si possono distinguere, sebbene alle volte si sovrappongano e si ripetano, oppure in parte non vengano attuate, diverse fasi dell’induzione delle esperienze in parola:
1-Decognizione (disattivazione dell’attenzione critica, induzione di modalità regressive e infantili di pensiero), mediante rilassamento o eccitamento emotivo, con abbassamento della vigilanza mentale;
2-Softening up, od ammorbidimento delle convinzioni, dei valori etc. del soggetto;
3-Evocazione di insicurezze, angosce, sensi di colpa profondi;
4-Eccitazione psicofisica / spossamento psicofisico (mediante droghe, farmaci e diete ipoglicemizzanti, vino, funghi, danze, musiche parossistiche, affaticamento, bombardamento con infrasuoni od ultrasuoni ad alta energia o radiofrequenze[10], prediche che durano anche 12 ore incessantemente, per spezzare senza sosta la catena dei pensieri propri degli ascoltatori; impedimento fisico o morale ad accedere alla toilette – il soggetto si affatica resistendo ad impulsi fisiologici);
5-Cedimento nervoso (inibizione transmarginale ultraparadossale, a seguito della quale le funzioni cognitive vengono ripristinate piuttosto rapidamente, mentre “gli atteggiamenti, i valori e gli obiettivi sociali si dissolvono”[11] e possono quindi venire rimpiazzati con altri e con nuove strutture intenzionali);
6-Induzione dei nuovi valori, modelli, identità, fedeltà, dipendenze;
7-Mantenimento e rafforzamento mediante integrazione gregaria in un gruppo che condivide e attua comportamentalmente il nuovo paradigma (la condivisione di una forte esperienza.emotiva stabilisce legami fortissimi e nuclei identitari, mentre la fiducia indotta dal disapprendimento consente di colmare lacune tra le aree di significato nella psiche dei soggetti [12]).
I vissuti ideativi e fantastici che il soggetto ha in stati mentali alterati, di forte emozione e connotati dall’inibizione o attenuazione dell’attenzione e della percezione del mondo spaziotemporale esterno (stati di decognizione o in stati di inibizione transmarginale) vengono registrati dal cervello come reali, ossia come oggettivi e non soggettivi; e, grazie alla loro intensità, possono prevalere sul paradigma di realtà ordinario e sovrapporgli un nuovo paradigma – appunto, quello spirituale ( o ideologico, se si tratta di condizionamento mentale di carattere politico).
Una volta avvenuto questo soppiantamento, il soggetto avrà una mutata concezione della realtà e potrà aderire, anche cognitivamente oltrechè comportamentalmente, a una nuova teoria o dottrina che si basi su questa nuova concezione, senza trovarla ridicola e assurda. Con tale strategia, sfruttando il fatto che la maggior parte dell’attività psichica è subconscia e predispone quella conscia, anche le persone intelligenti e colte, abituate al pensiero razionale, possono sovente venir suggestionate e circuite, sicchè le si ritrova a militare nei credi più bizzarri.
Attingendo a nostre dirette esperienze, presentiamo di seguito un esempio abbastanza completo di un trattamento induttivo della ‘spiritualità’.
Si inizia col sottoporre i nuovi arrivati a una procedura di decognizione, ossia di indebolimento delle capacità critiche e dell’attenzione. A questo fine, i possibili nuovi adepti vengono adescati da promotori del culto organizzato mediante un invito a una festa gratuita in un luogo piacevole. Si prospetta un programma accattivante, con intrattenimento, buffet gratuito, trattazione in chiave gratificante di grandi temi esistenziali; si sorvola, invece, su tutti quegli elementi dottrinari e disciplinari del culto, che potrebbero destare sospetto o avversione. Si insiste sull’informalità, sull’amicizia, sui valori dello spirito. Gli invitati vengono ricevuti e intrattenuti da persone simpatiche e sessualmente attraenti che dimostrano simpatia e interesse per loro, ponendo molte domande e dimostrando empatia (love bombing).
Vengono serviti cibi e bevande e, soprattutto, suonate musiche melodiose, rilassanti, ritmiche (con un ritmo intorno a quello del battito cardiaco), idonee -unitamente al clima informale e gaio- a produrre un abbassamento della lucidità critica (passaggio al ritmo alfa). Gli invitati vengono invogliati a confidare i loro problemi e le loro aspirazioni, e ricevono in cambio partecipazione empatica e apprezzamenti assai cordiali. I membri del culto si astengono dal parlare di problemi propri che non siano già risolti; curano così di emanare un senso di sicurezza e competenza, che suscita aspettativa di aiuto negli degli invitati.
A un certo punto, compare il leader spirituale. Tutti i discepoli si fanno zitti e si profondono in atti di venerazione. Gli invitati, che sono in minoranza, si sentono (bandwaggon effect) incoraggiati e in dovere di conformarsi – sentono di essere tenuti a un certo comportamento. Quindi poi partecipano anche (oppure si sentono a disagio se non lo fanno – il che è equivalente: già negli invitati sta costituendosi una coscienza morale o ‘super-ego’ di gruppo, regolato dalla figura carismatica) alle preghiere e ai segni liturgici del culto. Il capo carismatico, nel presentarsi, nel gestire e nel sermocinare, cura di esprimere totale sicurezza delle dottrine che espone e dei mezzi spirituali che vanta. In effetti, egli, nell’organizzazione, è l’unico soggetto ‘abilitato’ ad avere un io, una volontà, una capacità di giudizio. Egli non si propone come semplice trend-setter, ma reality-setter: per i convertiti, egli detterà che cosa è reale e che cosa non lo è. Solitamente, il suo eloquio è lento, scandito a ritmi precisi, esclude ogni fretta o tensione, ha un effetto ipnotico o subipnotico su numerosi ascoltatori, che si manifesta anche fisicamente (midriasi).
Una volta che il rapport ipnotico o subipnotico e la recettività non-razionale siano stati stabiliti, si passa alla fase di eccitamento di gruppo, mediante canti e danze parossistici, o sermoni infuocati dati dal capo spirituale. I sermoni possono evocare angosce profonde o profondi sensi di colpa, di solitudine, di impotenza, su cui si può far leva per spingere alla conversione. Ogni forte emozione aumenta la suggestionabilità. E’ questo il momento in cui, preferibilmente, si raccolgono le offerte e le firme, e si inizia a parlare di miracoli e guarigioni: diversi fedeli testimoniano di aver ricevuto grazie e portentose guarigioni. Se raggiunto, lo stato di eccitazione ultraparadossale può effettivamente produrre la liquidazione parziale o totale, stabile o temporanea, di sintomi, perchè in esso si ottiene una generale dissoluzione dei condizionamenti e dei patterns sinaptici corrispondenti e una loro sostituzione con nuovi – quindi è possibile che avvenga una suggestione di guarigione, con effetto più o meno stabile, allorchè il capo carismatico ingiunge al devoto di guarire, o invoca un potere divino di guarirlo. Ovviamente, chi non ha fede, chi non partecipa all’entusiasmo di gruppo, difficilmente beneficerà di una guarigione.
Successivamente, gli insegnamenti del capo spirituale vengono commentati – e qui si gioca tutto sull’umore per fare accettare la ‘spiritualità’. Se qualcuno tra gli invitati esprime un’opinione dubbiosa o contrastante rispetto a quella del maestro, i discepoli reagiranno non con aggressività nè con argomenti logici, ma piuttosto aggrottando la fronte e mostrandosi rattristati, non più estroversi e giocosi. Al che, l’invitato in questione teme di aver leso il rapporto così bello con loro, e altresì si sente in colpa di aver causato tristezza a persone tanto buone e amichevoli, e di aver guastato l’atmosfera gioiosa anche agli altri partecipanti. Facilmente, allora, farà marcia indietro, rimettendosi in sintonia con i promotori e recuperando così la gaiezza e la cordialità di prima. In ciò agiscono, chiaramente, sia il condizionamento operante (il comportamento negativo è disappreso attraverso rinforzi negativi) che le dissonanze cognitive (“queste persone sono così buone e simpatiche, mi posso tanto identificare con loro, che forse le loro idee, per quanto mi appaiono bizzarre, sono condivisibili o migliori di quelle della maggior parte della gente ‘materialista’ e gretta che vive nel mondo: guarda infatti come sono felici e come fanno star bene gli altri”).
In un secondo tempo, se l’invitato si lega al culto organizzato, ossia diviene dipendente da esso (si affida), si può passare a metodi più vigorosi per dissolvere le sue capacità critiche, le sue vecchie convinzioni e motivazioni, etc. Descriviamone alcuni.
I neofiti vengono privati degli indumenti e di tutti gli effetti personali. Ne riceveranno di nuovi dalla comunità, in cui si devono fondere, rinunciando alla precedente identità. Altri vengono sottoposti a una dieta molto povera e a cicli di saune: col pretesto della disintossicazione, li si indebolisce in modo da renderli più malleabili e indottrinabili. Molti vengono avviati al lavoro gratuito per l’organizzazione, come vendere libri, videocassette o gadgets vari, oppure reclutare nuovi adepti. Periodicamente, si radunano questi lavoratori gratuiti, si confronta le quote di produzione di ciascuno di loro e si acclama chi ha prodotto di più.
Gli adepti di un noto movimento mondiale di ispirazione induista, residenti nelle comunità dei templi. vengono privati di adeguato riposo e adeguata alimentazione: sveglia alle 03:30 dopo 4-5 ore di sonno, doccia fredda, canti e danza frenetici, parossistici (samkirtana), recitazione del rosario (japamala) (il mantra Hare Krishna, Hare Krishna, Krishna Krishna Hare hare; Hare Rama, Hare Rama, Rama Rama Hare Hare è recitato 1.728 volte). Il tempo complessivo per la preghiera è di 4-7 ore al giorno, e di 8-10 quello dedicato al lavoro. L’alimentazione è povera. L’espressione di pensiero e giudizio autonomi è fortemente inibita. Lo scopo è assorbire l’insegnamento eterno trasmesso da Krishna attraverso la multimillenaria successione dei maestri. Si è quasi costantemente impegnati in attività di gruppo. Manca il tempo per il recupero delle forze, della concentrazione, dell’identità e, soprattutto, della prospettiva. La danza parossistica, praticata sia dentro che fuori del tempio, è accompagnata da ritmi incalzanti e musiche assordanti.
Secondo alcune evidenze sperimentali, le cantilene (mantra) e la meditazione, se praticate con costanza (da 60 a 90’ al giorno per qualche settimana) producono una stabilizzazione del ritmo alfa del pensiero, con crescente difficoltà a ritornare al beta – il che può dare serenità e un senso di trascendenza, ma diminuisce le capacità cognitive e intellettive, mentre aumenta la suggestionabilità, quindi la dominabilità.
I nuovi condizionamenti (nuova identità, nuove convinzioni, nuovi valori e fedeltà) sono pronti intorno al neofita: la coreografia, le immagini sacre, i comportamenti degli altri, il loro supporto sociale e affettivo, le musiche etc. – tutti stimoli che si associano all’esperienza della conversione e che quindi, in futuro, serviranno a rievocarne l’esperienza per associazione.
Va segnalato che gli adepti di questa setta, residenti nei templi, sono da anni in forte calo, come pure le nuove conversioni; rispetto al boom degli anni ’70 e ’80, il movimento ha perso molto del suo slancio proselitario e delle sue capacità sia di convertire che di mantenere le conversioni. Molti di loro sono entrati in crisi allorchè si sono accorti della loro situazione reale, ossia del fatto che erano entrati nel movimento a tempo pieno lasciando gli studi e il lavoro, avevano lavorato per molti anni gratuitamente per il movimento senza versamenti contributivi, e si ritrovavano in età matura senza professione, senza reddito, senza diritti alla pensione.
Come altri ricercatori, frequentando vari gruppi ‘religiosi’, abbiamo regolarmente trovato che gli strumenti per la conversione e il condizionamento non si avvalgono dell’argomentazione logica, che anzi viene scoraggiata o denigrata (se viene usata, viene usata per annoiare ed abbassare l’attenzione critica, come parte del procedimento di decognizione): non si indirizzano alla neocorteccia, bensì al sistema limbico, per suscitare emozioni, affetti, attaccamenti, aspettative. Le facoltà razionali e la stessa consapevolezza vengono aggirate – fatto che non stupisce possa avvenire, dato che notoriamente le funzioni cerebrali operano per la maggior parte inconsciamente, e la coscienza si ‘occupa’ solo di una parte minore degli stessi processi decisionali. Nei famosi esperimenti di Libet, appare che la reazione a uno stimolo può precedere la consapevolezza dello stimolo e della decisione. L’attività cerebrale preparatoria a un’azione precede la consapevolezza dell’azione stessa, e la coscienza fornisce sovente una mera razionalizzazione di atti e convincimenti già maturati inconsciamente[13].
L’eventuale sforzo di resistere alla suggestione aumenterebbe lo stress sul sistema nervoso centrale, quindi la sua suggestionabilità. Per resistere alla manipolazione, sarebbe utile invece abreagire la stimolazione ridendo, parlando abbondantemente e scoordinatamente, ma il setting cerimoniale e solenne della conversione non lo consente: il soggetto può solo ricevere, può solo essere passivo. Si ha una chance di sfuggire alla suggestione impegnando la mente con calcoli matematici (recupero del ritmo beta) o estraniandosi e ponendosi in posizione di mero osservatore.
La pratica cultuale o devozionale comprende moltissimi comportamenti (riti, atti liturgici, osservanze), che assorbono molto del tempo e delle energie dei soggetti, mentre lasciano inattiva la ragione[14]. La fede agita, il mito agito, ripetitivamente, in uno stato di inibizione critica, di bassa lucidità, subipnotico, e di partecipazione emotiva di gruppo, imprimono una traccia, un ‘engramma’, che contiene un vissuto di realtà ‘spirituale’ più forte, quindi prevalente, rispetto a quelle delle esperienze reali del paradigma naturalistico, creando così i presupposti per soppiantare quest’ultimo nell’esperienza soggettiva, fino a risultati radicali, come si vedrà infra trattando del caso paradigmatico dei Branch Davidians[15].
Per quanto esaltante ed entusiasmante possa essere il vissuto della conversione, alla fine di simili addestramenti, non si consegue la liberazione o l’illuminazione o l’auto-realizzazione -solitamente promesse per attirare nuovi adepti- ma la piena dipendenza dell’adepto dall’organizzazione e dal suo capo in quanto alle funzioni che sostengono il tono dell’umore, in quanto alla protezione da angosce, insicurezze e sensi di colpa, nonchè, talora, in quanto al soddisfacimento dei bisogni primari (vitto, alloggio, vestiario).
In effetti, non sempre la conversione allo ‘spirituale’ è accompagnata a emozioni positive: a volta viene indotta attraverso il terrore. E’ questo il caso di molti predicatori religiosi di un filone iniziato dal Christian Revivalism da Jonathan Edwards verso la metà del XVIII secolo nel Massachussets e da John Wesley. Essi avevano imparato a ottenere sottomissione e conversione suscitando negli ascoltatori un fortissimo senso di colpa per i propri peccati e il terrore del castigo divino. Quelle forti emozioni predisponevano il cervello a una riprogrammazione. Il momento del cedimento nervoso era segnato dal fatto che le persone cadevano a terra ed erano preda di attacchi di vario tipo. Peraltro, essendo le nuove suggestioni prettamente negative (“siete peccatori!”, “meritate l’Inferno, le fiamme eterne!”), Edwards e Wesley sentimenti di disperazione, tendenze suicide, sofferenze fisiche. Alcuni ascoltatori, particolarmente suggestionabili, si tolsero la vita, poiché, inizialmente, questi predicatori abusavano della fase 3 del procedimento, come sopra descritta. Ma essi impararono presto a somministrare, dopo aver ottenuto la crisi di conversione, l’Evangelo, o Buona Novella, dell’Amore e del Perdono, prospettando la dannazione come punizione per il solo caso di rifiuto della salvazione conquistata con la fede, di cui ovviamente erano essi i legittimi portatori (creazione di dipendenza)[16]. Il neo-converso può quindi risorgere dalla crisi assimilando la nuova fede di salvezza e facendo un’esperienza di morte-e-rinascita, in linea con quelle tipiche di riti iniziatici di pubertà praticati nelle tribù primitive. In queste, gli adolescenti subiscono vari tipi di trattamenti traumatici (rapimenti, lesioni, circoncisione, spaventi, isolamento, droghe allucinogene), e si dice che questo o quel dio li inghiotte o li uccide; poscia li si libera, gli si dice che sono stati risuscitati, si fa in modo che provino un grande senso di sollievo, e li si introduce nella vita sociale come adulti[17]. Nel passaggio attraverso la morte iniziatica essi hanno, intanto, perso i vecchi attaccamenti abiti mentali (quelli dell’infanzia) e sono stati imprintati con i nuovi, quelli della vita adulta. Una volta che un’esperienza mistica sia stata associata a un dato simbolo, suono, setting, essa potrà essere rievocata e confermata mediante esposizione ad essi (associazione, riflesso condizionato).
Nelle nostre ricerche, abbiamo trovato anche culti che non ricorrono agli estremi del parossismo, ma piuttosto alla creazione di un nuovo sistema di vita e all’inserimento totale in una nuova società, ossia la comunità degli adepti, finchè il soggetto si ritrova a vivere in una nuova realtà che lo assorbe completamente. La Soka Gakkai è una setta giapponese, non teista, vagamente buddhista, molto dotata patrimonialmente, politicamente attiva, i cui adepti credono che, recitando ripetitivamente per ore e ore ogni giorno lunghi testi in una lingua che potrebbe essere giapponese arcaico, si possano ottenere “benefici” di ogni genere (guarigioni, amore, successo, ricchezza, etc.) e risolvere ogni problema. Gli adepti, a livello di gruppi di base (5-12 membri), si riuniscono due volte al mese per recitare insieme, leggere un testo dottrinale, e soprattutto per ascoltare uno o due di loro, ogni volta, raccontare i ‘benefici’ ottenuti, asseritamente, mediante la recitazione. Ovviamente, chiunque sia di turno si sente in dovere di far del suo meglio per magnificare i ‘benefici’ e per accreditarli alla sua pratica. Meglio lo fa, più gratifica gli altri membri e più si rende autorevole, ponendosi in sintonia coi valori della setta. Le manifestazioni di approvazione che riscuote così facendo, gratificano e confermano lui stesso, la sua fede, la sua identità come credente, e lo spronano a impegnarsi maggiormente. E’ un meccanismo di rinforzo circolare in cui il segnale si autoamplifica nell’interazione di gruppo. In tal modo si producono sovente esplosioni di entusiasmo e gioia di gruppo in un ‘sentiment’ di onnipotenza della pratica. Il sistema è estremamente efficace nel confermare la ‘realtà’ di questa onnipotenza, e gradualmente porta l’adepto ad impegnare molto e, in alcuni casi, tutto o quasi il proprio tempo, nella pratica della recitazione, nello studio della fede e in attività di lavoro gratuito per l’organizzazione, sinchè questa pratica cessa di essere ciò per cui era stata abbracciata -ossia, un mezzo per la felicità e la realizzazione personale- e diventa lo scopo stesso dell’esistenza del devoto: il devoto sacrifica quattro o più ore al giorno alla recitazione, la lettura, l’insegnamento, lo studio, il proselitismo; non ha quasi più tempo per altri interessi, per altri studi, né per rapporti sociali al di fuori della setta.
Correlati organici dei vissuti spirituali e di premorte
I correlati organici dei vissuti e degli stati spirituali sono abbastanza noti e coerenti, iscrivibili in un quadro di stimolazione parasimpatica e limbica con inibizione simpatica:
Vasodilatazione periferica con sudore e sensazione di piacevole calore;
Alterazioni della temperatura in diverse aree del corpo;
Dilatazione delle pupille;
Lacrimazione;
Rallentamento del battito cardiaco;
Rallentamento e ampliamento della respirazione;
Calo della pressione sistolica;
Riduzione dei livelli ematici di acido lattico e di altre;
Massiccio rilascio di beta-endorfine e di ossitocina;
Rilascio di acetilcolina e norepinefrina.
Aumento della risposta galvanica della pelle;
Anestesie e analgesie;
Attività neurocorticale alfa (13-8 Hz), sovente delta (4-0,5 Hz) e talora theta.(inferiore a 0,5 Hz).
Le endorfine procurano il senso di sollievo, leggerezza, serenità, euforia.
L’ossitocina ha un’azione di dissoluzione sinaptica (agevola quindi il disapprendimento) e di facilitazione del bonding.
All’attivazione parasimpatica e al rilascio di endorfine si attribuiscono da taluni certi casi di guarigione ‘miracolosa’.
Acetilcolina e norepinefrina pure svolgono un’azione a livello sinaptico.
Risulta inoltre implicata la colecistochinina, regolante la sazietà e interferente con dopamina e varie sostanze psicotrope
E’ notorio che molte persone che sono uscite da uno stato di premorte riferiscono strane esperienze, come il passaggio per un tunnel, l’uscita dal corpo, il librarsi nella stanza del decesso, l’entrare in un altro tunnel con una luce in fondo, il venire ricevuti da amici, parenti, angeli, Gesù, etc. Queste esperienze sono connotate da sensazioni ed emozioni perlopiù positive, di dolcezza, amore, serenità, meraviglia. Molte persone, dopo averle fatte, ne restano profondamente mutate nella sensibilità e nella concezione della vita, soprattutto nella prospettiva esistenziale, acquisendo un atteggiamento fiducioso nell’immortalità.
E’ rilevante, che queste esperienze avvengono anche quando la morte è soltanto creduta come imminente dal soggetto, non anche imminente nella realtà. La rappresentazione e la paura della morte come imminente è quindi causa sufficiente, se non necessaria, delle esperienze di premorte.
I correlati neurofisiologici tipici delle esperienze di premorte sono il rilascio di endorfine, serotonina e glutammato – sostanze che, in congiunzione con una situazione di ipossia o ipercapnia possono produrre vissuti allucinatori del tipo in esame associati ad euforia e serenità. Inoltre appare attivarsi una “speciale funzione della regione temporal-limbica soprattutto, ma non esclusivamente, dell’emisfero destro.”[18]
Cure ‘spirituali’ per la psiche
Nella predetta chiave di risposta al male esistenziale, l’induzione di ‘spiritualità’ viene adibita alla cura della depressione dalla medicina contemporanea: “… … sempre più terapeuti usano la spiritualità come strumento clinico nel trattamento dei disturbi dell’umore. D’altronde, le comunità di fede in Canada riconoscono che la spiritualità fornisce una base e un inquadramento per sostenere le persone nel misurarsi con l’incertezza, il caos e la sofferenza e nel trovare un significato in ciò. Essa così protegge e promuove la salute mentale”[19]. Vengono anche condotti esperimenti in cui si confronta la performance degli esercizi di spiritualità con quelli di meditazione e col gruppo di controllo in campioni di pazienti con disturbi dell’umore, nei quali la pratica della ‘spiritualità’ si accompagna a miglioramenti statisticamente significativi (non così la meditazione)[20].
Evgeny M. Krupitsky, Direttore del Laboratorio di Ricerca del Dispensario Narcologico di S. Pietroburgo, per curare la dipendenza da alcool, induce esperienze ‘mistiche’ somministrando ketamina in associazione con bemegride (sostanza ansiogenica che amplifica i vissuti negativi dell’esperienza psichedelica e stimola l’attività corticale favorendo la psicoterapia), aethemizolo (che migliora il fissaggio delle esperienze nella memoria di lungo termine) e nimidipina (un antagonista del canale centrale del calcio), propinata prima della seduta, per migliorare il ricordo dell’esperienza psichedelica.
I contenuti delle esperienze di Kruptisky variano soggettivamente, ma sono quelli tipici delle esperienze mistiche, sia in quanto alle emozioni che in quanto alle percezioni e sensazioni (pace, infinità, essere fuori dal corpo, in unione con l’universo, incontrare Dio o esseri superiori, etc.).
Il fatto che simili esperienze possano essere indotte con mezzi naturali, per suggestione o per via chimica, non accredita certamente tali esperienze come indizi della realtà oggettiva del ‘divino’ e del soprannaturale che in esse sembra di esperire. Il fatto che io abbia un’esperienza emotivamente profonda di esseri divini, con visioni e comunicazioni verbali con essi, e che a me pare vera e reale mentre la sto avendo nonchè poi nel ricordo, etc., non implica, ovviamente, che quegli esseri esistano realmente e indipendentemente dal mio vissuto soggettivo[21]; però crederlo è utile al paziente per guarire e al terapeuta per curare.
Cionondimeno, numerosi psichiatri e psicoterapeuti, a seguito di esperienze con la terapia ‘spirituale’, incominciano effettivamente a credere essi stessi nella realtà oggettiva e nella capacità curativa del ‘divino’ e del soprannaturale, e si rivolgono a ‘maestri’ spirituali, i cui insegnamenti sono di tipo pensiero forte pre-scientifico, in quanto in essi non si pone il problema della dimostrazione di ciò che si insegna, se non in termini aneddotici e di vissuti personali. Il convincimento è affidato a fattori dinamici e relazionali, diversi dalla prova razionale. Peraltro, di fatto, questa mancanza di oggettiva verificabilità quasi mai ostacola l’accettazione dell’insegnamento e della sua autorevolezza, accettazione che molto spesso si accompagna all’entusiasmo emotivo proprio della conversione e a un cambiamento della visione esistenziale dei partecipanti..
Spiritualità: sue dinamiche e conflittualità
Chi ha un vissuto di Dio, di angeli, di infinità, di panpsichismo cosmico, di poteri mistici, di trascendenza (ossia superamento della condizione naturalistica, materiale), di una propria natura ‘spirituale’ nel senso di immune dalle sorti del corpo materiale, etc., ha un vissuto di qualcosa di estraneo a questo paradigma, perchè in esso non lo si può trovare – anzi, sovente contraddice e viola il paradigma medesimo. Mercé questa violazione, esso dona o ridona al soggetto sicurezza, autostima, senso del valore dell’esistenza, senso di immortalità, di potenza, di essere amato dall’Onnipotente, integrato socialmente, dotato di una missione nella vita, etc. In una parola, sostiene l’umore[22], nel senso lato in cui l’abbiamo definito all’inizio del capitolo[23]. Nei vari credi, le violazioni si strutturano in sistemi o paradigmi alternativi. In effetti, l’essere umano ha in sè un potenziale timico-ideativo in grado di antagonizzare e di superare l’angoscia e le angustie esistenziali attraverso esperienze soggettive, illuminanti ed esaltanti, mistiche in senso lato, che conferiscono talora istantaneamente una forte valenza positiva e un nuovo significato a situazioni estremamente oppressive o deprivanti o frustranti o stressanti. Il passaggio dalla potenza all’atto viene sovente attivato dalla stessa tensione cui il soggetto è sottoposto da altri (vedasi, ad esempio, la esaltante esperienza di rivelazione divina vissuta dal fondatore della religione Bahai, sotto forma di angelo che appare in una imponente cascata di luce, dopo lunga prigionia nelle buie carceri persiane) o da sè stesso (digiuni, isolamento, deprivazione sensoria), in gruppo o isolatamente. Le tecniche iniziatiche e di conversione mirano anche ad attivare quel potenziale.
Nell’attivarsi, ossia nello sprigionare il vissuto elativo, esaltante, entusiastico (con i suoi noti correlati organici), quel potenziale può assumere diverse forme: forme mistico-religiose, ovviamente, ma anche forme ‘laiche’, come entusiasmi e passioni sociali, politici[24]; la frenesia militare (lanciarsi con entusiasmo contro il nemico, sfidando la morte); l’ebrezza dello spirito di massa[25] che ti fa sentire invincibile, nobile e infallibile anche mentre compi le azioni più irrazionali, abiette e perniciose (vedi gli estremi del tifo sportivo). Accenneremo a come il potenziale in parola abbia un importante ruolo anche nei processi finanziari.
Le diversità di tutte queste forme, le quali sono accomunate da analoghi vissuti psichici, sensazioni cenestetiche, processi fisiologici, nonché dal rendere le persone più manipolabili, sono secondarie (variabili culturali e situazionali) rispetto al comune tronco o processo da cui derivano.
Si noti che l’entusiasmo spirituale si manifesta molto sovente in forme collettive: folle, sette, movimenti politici, masse, tifoserie, formazioni combattenti, etc.
Questa circostanza raccomanda che ci si abitui a studiare, prevenire e trattare i disturbi mentali correlati ai suddetti fenomeni come radicati nel loro contesto e nelle loro dinamiche collettive, anzichè come disturbi ‘privati’, eziologicamente e funzionalmente interni all’individuo – soprattutto tenendo presenti i metodi e i fattori di induzione e mantenimento degli stati mentali in questione da un lato; e dall’altro gli scopi, il tornaconto ricavabile dall’induzione e del mantenimento.
Infatti, le persone -i gruppi di persone- indotti e comunque entrati in quegli stati entusiastici, caratterizzati anche dalla privazione selettiva delle capacità critiche, dell’autonomia di giudizio, etc., costituiscono una risorsa facilmente sfruttabile a scopi utilitari e soprattutto economici, perchè è facile, per colui che si è reso tramite indispensabile del processo elazionale, ottenere da loro donazioni, lavoro gratuito, acquisto di corsi teorici o pratici a prezzi alti e sovente esponenzialmente crescenti (come pure prestazioni di proselitismo, propaganda, talora anche terrorismo). In un mercato dove il lavoro costa molto ed è sindacalizzato, e dove il fisco è pesantissimo, il disporre di lavoratori gratuiti o semigratuiti e non tutelati, nonchè di esenzione fiscale, dona un grande vantaggio competitivo rispetto ai soggetti economici non ‘spirituali’. Consente di ottenere un profitto facilmente e senza rischio. Per tale ragione, siffatti gruppi vengono estesamente creati e gestiti, e costituiscono importanti assets politici ed economici nelle mani dei loro leaders. Essi costituiscono vere e proprie imprese commerciali e sono disponibili illuminanti ricerche sul lato affaristico della spiritualità, che rivelano come praticamente tutti i credi organizzati siano sfruttati per il business. Chi ricercasse, tra di essi, associazioni di liberi ricercatori spirituali, soffrirebbe molti disinganni.
I gestori e beneficiari dei culti organizzati sovente, forti del peso ‘democratico’ del numero dei loro seguaci, praticano lobbying e ricevono prestigio, riconoscimenti sociali e istituzionali e sono integrati nell’establishment, col che l’establishment riconosce e tutela la loro proprietà sul gruppo che gestiscono e condizionano, e altresì la non patologicità delle loro credenze e pratiche. Talvolta, come conclamatamente avvenne nel caso del Nazionalsocialismo, hanno conquistato un potere assoluto grazie soprattutto alla forza dell’entusiasmo di massa che riuscivano a mobilitare. Capire la struttura e le finalità di tali gruppi -come funzionano, chi in essi ha il potere effettivo, che cosa fa agli adepti e degli adepti, chi guadagna, quanto e in che modo- richiede un’indagine integrata, psicologica, giuridica e aziendale.
Sovente i supposti poteri o benefici sovrannaturali e le ‘esenzioni’ dalla realtà si devono pagare con rinunce al mondo materiale, al piacere, alla ragione e al corpo, quali sacrifici, ascesi, fioretti, mortificazioni della carne, mutilazioni, etc. Devo sminuirmi, per aumentare il mio vissuto di onnipotenza della figura divina cui proiettivamente affido la mia salvezza e la mia identità idealizzata. Da ciò derivano sovente comportamenti di rilevanza psicopatologica e criminologica.
Il sesso viene generalmente proibito o svilito o qualificato come spiritualmente ritardante. Il soggetto viene diviso e indotto in conflitto con sè medesimo, per poi farsi gestori di questo conflitto: divide et impera. A questo fine, si pongono restrizioni che il soggetto non riesce a rispettare sempre, sicchè quando non riesce, si sente in colpa, sporco; sente quindi il bisogno di ripulirsi, di essere reintegrato nel gruppo e riconciliato con sè stesso. Per ottenere ciò, chiede l’intervento su di sè del capo carismatico o del delegato o del sacerdote (sacramento della confessione), condizionandosi così alla dipendenza dall’organizzazione. L’intervento della ‘spiritualità’ sulla sessualità risulta quindi diffusamente patogeno. Del resto, interferire nella sessualità delle persone è un mezzo sicuro ed efficace per agire sugli strati profondi della loro psiche.
Ma, in generale, la tendenza a risolvere il disagio esistenziale e a sostenere l’umore mediante trasgressioni ‘spirituali’ della realtà, è quindi intrinseca alle religioni, e spinge alla distorsione dei processi cognitivi e percettivi. Se il paradigma della realtà deve essere violato per appagare, almeno soggettivamente, il bisogno esistenziale, allora la spiritualità è intrinsecamente conflittuale con quelle dimensioni dell’agire, del pensare, del sentire, che alla validità di quel paradigma sono legate e che in esso hanno investito.
Da qui nasce un movente fondamentale dell’aggregarsi umano: le persone di una data fede da millenni si aggregano per vivere collettivamente, ritualmente, liturgicamente, il mito trasgressivo della realtà che caratterizza la loro specifica fede, la loro soluzione al problema esistenziale, allo scopo che la condivisione drammatizzata (meglio se tra persone legate da rapporti affettivi o di identità) di quel mito rafforzi il vissuto di realtà e oggettività del medesimo di fronte alla realtà che quotidianamente e duramente lo smentisce. Aggregarsi non assicura soltanto protezione dagli animali feroci, nutrimento per invalidi e puerpere, etc.; assicura anche, nelle forme religiose, protezione del rimedio esistenziale e dell’umore contro la contraria evidenza della realtà e contro i diversi sistemi di pensiero.
Per questa ragione, il vivere e praticare un credo oggettivamente delirante entro un gruppo che lo condivide, piuttosto che isolatamente, offre un ammortizzatore rispetto alla realtà, modera il bisogno di difendere il credo dall’evidenza di questa – richiede minori censure e distorsioni della percezione e del pensiero, minori conflittualità e distorsioni comportamentali; consente di sopportare meglio le frustrazioni; quindi protegge l’efficienza e l’adattamento dell’individuo al mondo reale. Insomma, i due paradigmi di realtà -quello reale-frustrante e quello delirante-consolatorio- convivono meno disarmonicamente entro la persona.
Il gruppo credente è organizzato e disciplinato in modo da emettere, solo o quasi solo, sovente in modo massiccio (nei riti), conferme comportamentali e verbali del suo credo. Così, anche se il singolo intrasoggettivamente vive il dubbio[26], dall’entourage dei suoi simili riceve solo messaggi di conferma, e richieste di adeguamento ad essi. Per sentirsi inserito nel gruppo, deve sintonizzarsi. Sono notori i risultati di diversi esperimenti in cui una classe di scolari viene divisa in due gruppi. Il primo viene istruito a dichiarare che, di due linee di diversa lunghezza tracciate sulla lavagna dell’aula, la più lunga sia la più corta. I soggetti del secondo gruppo vengono poi uno ad uno introdotti nell’aula, posti di fronte alla lavagna, fatti ascoltare i loro compagni che dichiarano che la linea corta sia la più lunga; dopo di ciò si chiede loro quale sia la linea più lunga, ed essi sovente e contro l’evidenza rispondono come i loro compagni istruiti a mentire. Facile transitur ad plures, intuiva Seneca.
Questo effetto armonizzante e ammortizzante della condivisione comunitaria può essere un argomento, peraltro non esaustivo, in favore della scelta, operata nel DSM IV rispetto al DSM III, di introdurre il principio secondo cui il soggetto che ha idee con le caratteristiche del delirio strutturato (delusion) (infondatezza, inaccessibilità alla critica e all’evidenza contraria, etc.)[27] non va considerato delirante se il suo credo è condiviso dalla comunità di appartenenza. Tuttavia, quella scelta rimane controvertibile, dato che il partecipare a un credo delirante comunitariamente condiviso può essere esso stesso espressione di un disturbo mentale nonchè comportare comportamenti collettivi di sicura rilevanza psicopatologica e persino criminologica; e può anche produrre un’evoluzione marcatamente morbosa. Infatti, il culto organizzato, di solito, non ha il disinteressato fine di sostenere ed armonizzare la fede nel credo spirituale conciliandola con la vita pratica, e non si limita a raggiungere questi obiettivi – nel qual caso sarebbe in un certo senso benefico. I suoi gestori hanno il fine di asservire vieppiù gli adepti al servizio dell’interesse loro proprio, aumentando crescentemente la loro sfruttabilità economica, e per ciò fare aumentano la loro dipendenza dal capo o dall’organizzazione, i loro bisogni, le loro angosce, carenze, distorsioni. Il fenomeno delle sette (ricordiamo sempre Waco, il Solar Temple e Jonestown, quest’uiltimo caso con oltre 900 morti di cui più di 270 bambini) e del revivalismo cristiano lo dimostra. In tale processo, la personalità, e non solo il pensiero, sovente subisce crescenti deformazioni e impoverimenti, di interesse psichiatrico, che dimostrano come insostenibile e pericolosa la suddetta scelta del DSM IV.
Questo pertanto è auspicabile che venga integrato per tener conto di questi dati di realtà, della sofferenza psichica che in essi appare, dei disadattamenti sociali che essa produce, e degli episodi sanguinari cui essa ricorrentemente perviene. Per fare un esempio, gli studi sulla disastrosa gestione dell’assedio dei Branch Davidians dimostrano che i fatali ed ingenui errori commessi dall’FBI sono dovuti al fatto che non si volle considerare il problema per quello che era, ossia un problema di follia religiosa strutturata di un gruppo guidato da un pazzo carismatico irragionevole, ma piuttosto come un problema di polizia, di tattica militare, di immagine pubblica e di negoziazione con un boss affetto da disturbi della socialità ma, complessivamente, non alienato[28]. Specificamente, dalle analisi emerge come i responsabili dell’operazione non avessero capito o tenuto presente che i Davidiani (gente con un passato perlopiù esente da significativi disturbi mentali) erano realmente convinti, non solo a livello mentale ma molto più profondamente, che il contenuto della loro fede fosse la realtà, l’unica realtà; e che proprio per questo non avrebbero esitato a uccidere e a bruciarsi vivi assieme ai propri figli, allo scopo di conseguire il Regno dei Cieli, secondo la loro fede. L’FBI pensava che, in fondo, i Davidiani e lo stesso Koresh conservassero il paradigma ordinario di realtà e che, perciò, li si potesse riportare alla ragione con le trattative, il gas lacrimogeno e una “dynamic entry” nel loro ranch – ma si sbagliavano completamente. Il paradigma della realtà ‘spirituale’ di David Koresh, grazie a un penetrante condizionamento e plagio, si era efficacemente e totalmente sostituito alla realtà ordinaria, creando una schiera di aspiranti martiri, di alienati, al punto che alcuni devoti si ribellarono a chi voleva strapparli alle fiamme[29]. Era divenuto più forte del dolore fisico e dell’istinto di conservazione. Questi criteri vanno tenuti presente nell’approccio a tutti i casi di fanatismo religioso, compresi quelli dei bombardieri suicidi della Palestina. Tantum potuit religio suadere malorum (“A un sì gran male potè indurre la religione”), scrive Lucrezio nel De Rerum Natura, a commento dell’immolazione di Ifigenia, compiuta dagli Achei per ottenere dagli dèi una felice traversata fino alle spiagge di Troia.
E’ quindi un dato di fatto che la difesa collettiva della fede che tutela l’umore (l’autostima, il senso della vita, il senso di potere, immortalità etc.) talvolta si spinge sino ad estremi. La realtà, che, con le sue evidenze, minaccia il credo dispensatore di ‘benessere’, speranza, autostima etc., viene a un primo livello svalorizzata e screditata – i fedeli sono invitati, ad es., a non dar retta ai giornali, alla scienza, etc.; a un livello più grave, viene criminalizzata o demonizzata (limitazioni o proibizioni di frequentare i non credenti; loro deportazione in luoghi isolati, come Jonestown); a un livello ancora più grave, viene combattuta materialmente con atti di violenza distruttiva. Qualora queste difese radicali falliscano o siano impraticabili, e la realtà, il mondo contaminato e contaminante, penetri e minacci direttamente la fede, la difesa estrema, che vediamo sovente all’opera nelle sette, è quella del rigetto totale del mondo, della natura, attraverso il suicidio collettivo (Jonestown, Solar Temple, Waco, etc.), regolarmente presentato dai capi ‘spirituali’ come messo necessario per salvarsi, e come tale creduto dagli adepti.
La percezione del mancamento della promessa religiosa, ossia della promessa di rispondere efficacemente all’angoscia della morte, all’esigenza di giustizia, etc., genera frustrazione, e questa frustrazione si deve scaricare. La via, la direzione, l’oggetto su cui si scarica, è un importante criterio differenziale tra le religioni.
“La scarica solitamente non può avvenire sottoforma di riconoscimento dell’illusione, sia perché ciò porterebbe la rinuncia ai benefici dell’illusione, sia per l’imprinting fisiologico pavloviano [il ricondizionamento previo disapprendimento mediante inibizione transmarginale oppure ‘softening up’][v. infra]… … ; né può avvenire contro la religione stessa e i suoi esponenti, perché ciò implicherebbe l’ammissione dell’illusione e, insieme, lo scontro col gruppo sociale in cui si è integrati e che condivide la religione medesima. Nel Cristianesimo, nel Giudaismo, nell’Induismo, essa [la frustrazione] si scarica perlopiù in via introversa, ossia il credente viene condizionato ad imputare a sé la causa del fallimento (il peccato, il karma); nell’Islam, religione militante, si scarica sul non credente: il fedele viene istruito a pensare che è colpa degli infedeli se le cose vanno male.” [30]
Naturalmente, questo meccanismo psicodinamico tende ad aumentare la coesione interna del gruppo e la sua aggressività esterna, quindi lo rende più efficiente nelle mani dei suoi capi. Insomma, anche se la pericolosità di un credo organizzato non deriva direttamente tanto dai suoi specifici contenuti, quanto dalle dinamiche psichiche e sociali entro il concreto del gruppo o sottogruppo religioso, vi sono nondimeno credi religiosi formulati in modo tale da inclinare all’intolleranza e all’aggressività verso chi non condivide quel credo. Ciò non toglie, ovviamente, che possiamo trovare sottogruppi hinduisti estremamente aggressivi e intolleranti, e sottogruppi islamici completamente tolleranti e pacifici.
Circa cent’anni or sono James Frazer, nel suo famoso e vastissimo studio comparato sulle religione, The Golden Bough (Il Ramo d’Oro), mostrò e documentò come tutte o quasi le credenze religiose e le liturgie, dietro le loro apparenti e appariscenti diversità, hanno una funzione fondamentale comune: la negazione della mortalità, o l’affermazione dell’immortalità. Frazer mostra inoltre come le varie religioni reagiscono di fronte al fatto che, a dispetto di tutti i riti, le negazioni e le preghiere, continuano a manifestarsi l’invecchiamento e la morte – ossia, la realtà, o il suddescritto paradigma della realtà. Esse reagiscono attraverso pratiche di scapegoating (loimòs greco), di uccisioni espiatorie o sacrificali, di morte redentrice del dio buono (Gesù), che sostanzialmente deve morire perchè non è riuscito a proteggere l’uomo dal decadimento e dalla morte. Emblematico è il caso descritto nel capitolo sui re africani: per negare la mortalità e la corruttibilità, il re deve restare sempre fisicamente integro; allorchè incomincia a manifestare segni di invecchiamento, viene eliminato (ucciso o scacciato) e sostituito con un re novello, senza difetti. e senza segni di decadimento. Il rogo della Befana o della Vecchia deriva da riti che assolvevano, in Europa, analoga funzione.
Pratiche consimili comportano, ovviamente, l’attivazione e lo sviluppo di possenti e strutturati meccanismi collettivi di negazione, indi di proiezione, da parte dei gruppi etnico-sociali interessati. Alle volte la negazione della mortalità è inscenata a beneficio di pochi privilegiati, mentre la massa del popolo muore e basta. Così nell’antico Egitto, originariamente, solo il faraone era immortale. Re Unas, o Onnos, nei Testi delle Piramidi, è detto essere un dio, il più forte degli dei, tanto che, dopo il trapasso, non solo non cessa di esistere, ma ascende tra di loro e spadroneggia, terrorizzandoli.
E’ giustificato, data la diffusione e l’antichità di questo schema di soluzione del problema esistenziale attraverso la negazione della realtà, supporre l’esistenza, accanto al suddescritto paradigma della realtà, di un contro-paradigma magico-religioso della realtà, altrettanto radicato nella psiche e nella cultura.
Precisiamo che il paradigma magico-religioso, nella sua risposta al problema esistenziale, opera in modo diverso dalla soluzione allucinatoria. Nella soluzione allucinatoria, il soggetto si appaga allucinatoriamente, in un corto circuito, annullando il problema. Nella soluzione magica e in quella religiosa, il soggetto ha innanzi a sè il problema e lo ‘risolve’ ( procura a sè e agli altri un vissuto di soluzione del problema, di appagamento del bisogno) col ricorso a un insieme di pratiche e di rappresentazioni.
Propaganda, pubblicità e ruolo ‘spirituale’ della corsa al profitto nella società contemporanea
La propaganda viene affinata nei regimi totalitari, ma anche in quelli democratici. Nei primi, essa sovente fa sì che i valori, i dogmi e gli scopi del regimi assurgano, nei cittadini, al livello mistico, spirituale, fanatico – al livello di risposta globale alla problematica esistenziale. Conseguentemente, il crollo di questi regimi e delle loro mistiche, o mistificazioni, ha indotto, in numerosi casi, crisi di identità e di autostima, le quali hanno talora prodotto il suicidio degli interessati. Così è avvenuto anche nella DDR dopo la riunificazione, dove numerosi intellettuali sono precipitati in crisi depressive o si sono tolti la vita alla scoperta dell’illusorietà dei valori e delle verità di cui erano stati nutriti. La Russia postcomunista ha in programma di dotarsi di 500.000 nuovi psicologi qualificati per la terapia e il supporto.
La pubblicità, come industria della creazione di bisogni immaginari e di mode (fancied wants, fashionable consumption) che raggiunge il suo apice col neuromarketing[31], ha creato un sistema che, parimenti, tende a occupare il campo esistenziale, prima riservato all’infinità divina, con la ‘cattiva infinità’ del consumismo e della rincorsa onniassorbente di guadagni e ricchezze senza limite, del tutto sganciata da qualsiasi bisogno pratico e persino da qualsiasi oggetto reale, perchè il suo oggetto è sempre più astratto, smaterializzato, finanziario (non più case, terreni, armenti, ma numeri su conti bancari e di depositi di titoli).
Questa rincorsa ha generato il tratto più determinante e critico dell’attuale società e dei suoi processi – un tratto essenzialmente socio-psicologico: il valore aggregato nominale della ricchezza finanziaria, per la cui conquista ed espansione si vive, si investe e si lavora, è circa quintuplo del valore aggregato di tutti i beni realmente esistenti nel mondo, e -proprio come una catena di S. Antonio, che è basata sul continuo rilancio delle aspettative- questa ipertrofica mole di valore atteso si tiene pericolosamente in bilico su un sostegno meramente psicologico: la bramosia di ricchezza finanziaria e la fiducia che questa continui a rappresentare ricchezza reale. Essa può sostenersi solo finchè continua a crescere, perchè, qualora smetta di crescere, ossia di remunerare e di indurre il rilancio delle aspettative di guadagno, imploderebbe, travolgendo la fiducia nel denaro, nei mercati e nei titoli finanziari, quindi anche l’economia mondiale. La crisi finanziaria del marzo 2000 è stato un inizio di una simile crisi, ma pronti interventi correttivi e di sostegno alla fiducia nei titoli la hanno circoscritta e, probabilmente, anche cronicizzata[32].
Quanto sopra, solo per dire e spiegare come l’economia dipenda oramai dal fatto che la rincorsa senza limite del guadagno immaginario e virtualmente illimitato, detenga e mantenga, perlomeno negli operatori economici e finanziari e nelle classi più influenti della società, la funzione elativa che tradizionalmente spetta alla spiritualità – della quale questo sistema condivide la caratteristica di derogare ai limiti della realtà, in quanto la rincorsa ha per oggetto titoli finanziari virtuali, a cui sempre meno corrispondono beni esistenti.
Questa obiettiva esigenza del sistema finanziario, ancor più che industriale, basato sull’aspettativa di profitto, imprime alla vita delle persone un orientamento fondamentale molto marcato e del tutto nuovo per la specie umana, quindi in un certo senso innaturale. I bisogni artefatti di beni e servizi oggettivamente superflui vengono indotti, cioè resi reali, col rendere quei beni e qui servizi necessari per accedere a rapporti sociali importanti per la persona e per la sua autostima. Ad esempio, vestire abiti con certe firme è richiesto per essere accettati nel gruppo sociale già dall’infanzia; certi status symbols sono richiesti per il corteggiamento. Il bene più richiesto per l’autostima, l’accettazione e la valorizzazione sociale, ma anche per sentirsi sicuri contro i rischi della vita è, però, la ricchezza relativa a quella degli altri (il denaro inteso come pura quantità e potenziale, indipendentemente dal suo soddisfare bisogni concreti del suo possessore). L’acquisizione del denaro per il denaro sposta sempre più in alto il livello di soddisfazione, rendendolo semplicemente irraggiungibile, quindi condannando l’individuo a una essenziale insoddisfazione (la nostra economia riempie la società e la vita di mete irraggiungibili di bellezza, vitalità, sportività, etc., quindi di frustrazione). Inoltre, l’individuo è indotto a differire progressivamente il momento della fruizione del denaro, ossia a lavorare per accumulare e non per vivere. E’ del tutto verosimile che vi sia un limite di sopportabilità al livello di tensione, di insoddisfazione, di differimento della gratificazione. Lo stesso George Soros racconta di come si sentiva sull’orlo di un crollo proprio mentre il suo patrimonio personale raggiungeva i 25 milioni di dollari. Geroge Soros si allontanò dall’orlo del crollo ritirandosi parzialmente dagli affari e dedicandosi, con successo, a studi filosofici ed epistemologici (era laureato in filosofia). Ma le persone con le doti di Soros sono rare. Molto più frequenti sono esiti di altro tipo, come il crollo nel burn out, la ricerca del sostegno di sostanze stimolanti (cocaina), l’incapacità o rinuncia o rifiuto di sostenere l’interminabile differimento del piacere, con la conseguente scelta dell’opposto, ossia del piacere immediato e totalizzante attraverso droghe come l’eroina.
Umore, spiritualità e sviluppo delle funzioni metacognitive
La definizione di ‘spiritualità’ data all’inizio del presente capitolo non è esaustiva. L’induzione di esperienze mistiche ha storicamente avuto almeno un’altra funzione nell’evoluzione storica delle capacità psichiche dell’essere umano, soprattutto di quelle metacognitive (autocoscienza, riflessione sul sè, automonitorizzazione, riconoscimento dei contenuti psichici). Il vissuto mistico appare, storicamente, non aver prodotto solo disapprendimento di vecchi paradigmi e l’impianto di nuovi., ma anche lo sviluppo di fondamentali facoltà psichiche.
Il rapporto tra thymòs e misticismo era ben noto a culture antichissime; e come specificamerte la cultura vedica[33], diversi millenni or sono, aveva la consapevolezza non solamente di quel rapporto tra umore e misticismo, ma anche del rapporto interattivo tra umore e capacità cognitive.
Essa, inoltre, aveva sviluppato, in termini espliciti e professi, tecniche per lavorare sulla sfera timica e sulla coscienza allo scopo di sviluppare l’attitudine e l’insight mistiche, dirigendo verso obiettivi prestabiliti lo sviluppo dei gusti, delle motivazioni, delle tendenze della persona. Si trovano, inoltre, chiare enunciazioni del concetto di coscienza trascendentale in senso kantiano[34]. Quanto sopra fa della cultura indovedica un caso unico e di centrale rilevanza per il presente capitolo.
Trattasi, infatti, del primo ambito culturale a noi noto, in cui sia sorto qualcosa che a diritto (e a parte dalla condivisibilità o non condivisibilità del suo metodo e del suo merito) può definirsi come ‘psicologia’, ossia riflessione consapevole e sistematica sul funzionamento della psiche, la quale viene considerata come avente più componenti (compreso l’inconscio) e più funzioni (perlopiù inconsce). Una psicologia che nasce non solo come descrittiva, né solo come terapeutica, ma anche come migliorativa, costruttiva, ossia progettante il potenziamento della psiche nelle sue varie funzioni al fine di conseguire più conoscenza, più lucidità, più felicità, liberandosi da vincoli, coazioni e limiti posti dai meccanismi e dalle tendenze inconsci.
Chi ha qualche conoscenza del pensiero e della mentalità delle antiche civiltà (Egizii, Greci omerici), si meraviglierà alla notevole modernità del ben più antico pensiero vedico, specialmente con riguardo al livello di meta-consapevolezza circa la coscienza e la autocoscienza, da una parte; e la sfera umorale-motivazionale, dall’altra. Sebbene, nella concezione vedica, sia l’ambito timico ad avere la precedenza, in quanto considerato come matrice, anzi ‘ignition’ ( da ‘ignis’, fuoco) della coscienza, per ragioni di chiarezza espositiva, vediamo innanzitutto il problema della consapevolezza.
L’uomo moderno è normalmente consapevole di sé stesso: è conscio. Quando pensa o rievoca, è consapevole di far ciò ‘dentro’ alla sua mente. Similmente, quando esperisce emozioni o intuizioni, è consapevole che queste sono fatti interni a lui, non ubicati o prodotti nell’ambiente circostante o ‘iniettati’ da un essere soprannaturale quale un dio, genius o daimon.
La fondamentale caratteristica del nostro funzionamento mentale, è che siamo consci che noi, come menti, operiamo su ed entro noi stessi (nelle nostre menti) ogniqualvolta eseguiamo un’operazione cognitiva; e che pure quei fatti mentali, che non sono prodotti volontariamente, quali emozioni e intuizioni, sono siti entro di noi, le nostre menti. Ossia, noi spazializziamo la nostra mente – abbiamo aperto o scoperto le nostre menti come spazio interiore della nostra azione.
Non è così nella mente arcaica come la conosciamo attraverso molti scritti antichi da Egitto, Babilonia e persino Grecia omerica.
Gli uomini arcaici -di Sumer, dell’Antico Regno egizio, etc.- erano probabilmente inconsci, ossia, non consapevoli di sé, della propria mente, come afferma Julyan Jaynes nel suo saggio (Jaynes, 1976-1990). Il che non è incompatibile col fatto che essi riuscirono a sviluppare complesse civiltà, perché effettivamente gli uomini (e gli animali) possono eseguire, e lo fanno, molte, se non tutte, le loro funzioni mentali in modo inconsapevole. Come la ricerca psicologica ha dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio, la coscienza non è necessaria per la mente, per i concetti, per imparare, per pensare, per ragionare, per agire, nemmeno per giudicare (ibidem, pagg. 30-46).
L’Iliade, che fu probabilmente composta nel X Secolo a.C., ancora mostra molti tratti del pensiero arcaico, in quanto non ha concetto né termine per ‘mente’ come una funzione. Jaynes, nel Capitolo Terzo del suo saggio, esamina il linguaggio dell’Iliade e la terminologia usata per ciò che noi chiameremmo eventi e fatti mentali. ‘Psychè’, nel linguaggio omerico, non significa ciò che poi passerà a significare, Indica una sorta di funzione refrigerante interna di natura piuttosto materiale – così mostra anche la sua etimologia (psygròs significa ‘fresco’). ‘Noos’ (in seguito, nous), similmente, non significa ‘intelletto’, come nel Greco classico, ma ‘vista’. Il verbo ‘noein’ non significa ‘pensare’, come nel Greco classico, ma ‘guardare’.
Altre parole -contima Jaynes-, come ‘splanghnos’ (spleen), stethos (petto), kradiè (cuore), etc., si riferiscono a organi e funzioni fisiologiche e non esprimono il menomo riferimento al pensiero. Non si trovano vocaboli descriventi attività mentali come attività mentali – il che è più che singolare in un poema di quell’ampiezza e di quei soggetti. Emozioni ed intuizioni sono descritte come qualche dio che influenza da fuori il personaggio interessato, che gli appare e gli infonde passioni, desideri, idee. Gli dei appaiono come personificazioni di funzioni mentali tuttora inconscie, piuttosto che come autentiche, complete personalità autonome. Nel linguaggio dell’Iliade e del mito in generale, essi si ‘manifestano’ a questo o quel personaggio e gli si rivolgono per comunicargli informazioni e direttive. Nel linguaggio moderno, diremmo che uno ha un’idea, un’intuizione, una trovata, come risultato di una previa elaborazione mentale subconscia.
In realtà -osserviamo noi- le cose, con l’Iliade, non stanno esattamente come le pone questo studioso: nell’Iliade trovasi la parola ‘noos’ usata anche per indicare una funzione psichica interiore o interiorizzata: “hos soi enì stethessin atarbetos noos esti” (Il. III 63): “siccome nel.petto hai un noos intrepido” (l’affermazione è di Paride, che risponde ad Ettore, il quale lo ha duramente rampognato per un atto di codardia in battaglia). Interno è sicuramente lo thymòs: “en thymòi memaotes alexemen allelosin” (Il., III, 9): “bramando nello thymòs di darsi man forte” (detto degli Achei che marciano contro i Troiani). Il redattore dell’Iliade si trovava perlomeno in una fase di transizione, successiva al livello di coscienza cui riferiscesi l’analisi di Jaynes.
La consapevolezza della mente e l’interna volizione, compresa la capacità di programmare un inganno, albeggia più chiaramente nell’Odissea. Il volitivo imbroglione Odisseo è un personaggio cruciale perché impersona la transizione dall’uomo inconscio a quello autocosciente. La capacità di mentire è un buon indice di questo passaggio, perché presuppone, in fondo, la capacità di rappresentare volontariamente ad altri la realtà in un modo diverso da come la si conosce – ossia, di esser consci della mente altrui come altra dalla propria e di pianificare il suo inganno portandola a credere qualcosa di diverso da quello che appare a sè.
Jaynes analizza fonti pertinenti ad altre antiche civiltà, inclusa l’Ebraica, trovando in ogni caso indizi di questa inconsapevolezza della mente e delle funzioni mentali da un lato, e la sua personificazione in dèi dall’altro. Questa struttura egli chiama ‘mente bicamerale’, perché consiste di due ‘camere’ intercomunicanti: una, sita nell’emisfero cerebrale sinistro, contenente ciò che l’uomo antico descrive come il personaggio; l’altra, sita nel destro, contenente gli ‘dèi’ che inspirano, possiedono, indirizzano l’uomo. In quasi tutte le civiltà, ma in modo sommamente vistoso in quella ebraica, si riconosce una ‘serie di pietre da guado’ dalla mente arcaica a quella moderna.”
Quanto sopra vale -dice Jaynes (pag. 313)- anche per il linguaggio dei Veda e il loro essere asseritamente emanati dal supremo âtman o divinità: “[La letteratura] indiana schizza dalla mente bicamerale alle ultrasoggettive Upanishad, ma ambo gli estremi non corrispondono al loro tempo.”
Questa conclusione è confutata dai contenuti e dal linguaggio dei Veda. Invero, seppur da un lato i Veda sono ricchi di descrizioni degli atti di dèi che si prestano all’interpretazione jaynesiana (e non solo jaynesiana) come personificazioni di funzioni psichiche subconscie dell’uomo, dall’altro lato troviamo numerosi passaggi che chiaramente ed entusiasticamente dipingono la scoperta o apertura dello spazio interno di consapevolezza nella mente degli autori. Questa scoperta è la stessa anima dei Veda, che descrivono in metafore o termini cosmici o cosmogonici ciò che palesemente è un processo psicogonico, ovvero la scoperta della coscienza dall’oscurità della notte, con una vivida enfasi sull’idea di luce, alba, aurora (Ushas), fulgore. “Il primo pensatore vedico che investigò il problema dell’origine dell’universo -ossia, del mondo come unità e totalità, e della relazione tra questo mondo e quello della molteplice realtà- assorbito nella ricerca si mette all’opera, scrutando nelle fonti della propria vita psichica. Il documento che ci ha lasciato su questa scoperta, è una cosmogonia.” (Falk, pag. 25). Così, una volta di più, il fuoco è sulla coscienza come unità trascendentale o principio unificante.
“I saggi che cercarono coi pensieri del loro cuore, scoprirono la parentela tra esistente e non esistente. Vi era oscurità. Un inconscio ondeggiante, in essa nascosto, era tutto questo. Quell’immenso era rinchiuso nel piccolo; per il potere del tapas quell’uno nacque. E da esso emanò in principio il desiderio, che fu la prima cosa a procedere dal manas. Il legame dell’essere al non essere scoprirono i sapienti kavi, osservando nel loro cuore.” (R.V. X, 129).
Griffith traduce: “saggi che cercarono col pensiero del loro cuore.” ‘Tapas’, corrispondente al latino ‘tepus’, tepore, originariamente indica il calore del fuoco mistico, yogico – v. anche Svetasvatara Upanishad I, 7 e 14-16, dove la generazione del tapas è metaforizzata col confricamento dei due legni usati per accendere fuoco. In seguito, il termine ‘tapas’ verrà usato per indicare le pratiche ascetiche che generano quel calore.
Il che attira la nostra attenzione sul fondamentale ruolo del riscaldamento, del tapas, per la produzione dell’illuminazione, della dischiusura, dell’insight. Il riscaldamento, il fuoco, il sacrificio, l’umore (come fattore motivazionale, come elevatore della capacità noetica) sono significativamente collegati dall’etimologia. Infatti, dalla radice indoeuropea DHU° abbiamo il greco thyomai (sacrifico mediante fuoco), il greco thymòs (da cui i termini ‘timico’, ‘distimico’ etc.), il latino fumus.
Il tapas è acceso dal desiderio, e il desiderio è originato dal manas. Non vi è da stupirsi, dunque, se il principale personaggio del Rig Veda è Agni, il dio del fuoco, che porta qua gli dèi, come annuncia il primo canto del Rig Veda. Così, se l’antico sapiente voleva produrre tapas e operare l’illuminazione, aveva necessità di stimolare il manas appropriatamente, allettandolo con visioni di opulenza e magnificenza, che gli ispirassero idee di immortalità e gloria, devozionalmente collegandole a esaltanti rappresentazioni degli dei che rappresentavano le funzioni inconscie da attivarsi per conseguire lo sviluppo mentale.” Questo processo, in termini psicodinamici, verrebbe molto probabilmente descritto come processo di investimento narcisistico delle funzioni mentali (ovviamente intendendo il narcisismo sano)[35], investimento che promuove il loro sorgere, sviluppo e potenziamento, analogamente a come produce, nella crescita dell’individuo, lo sviluppo delle varie facoltà, come il camminare, il parlare, etc.
Tutto ciò “può spiegare questo sorprendente, radicale bipolarismo di contenuti dei Veda: la massa di inni apparentemente oggettivistici, naturalistici (talvolta veramente squisiti e sovrastanti gran parte di tutta l’altra poesia di tutti i tempi) che cantano la gloria, le gesta etc. degli dèi e il loro culto, da un lato, ha il compito di infiammare il manas (accensione e investimento narcisistici) (il manas è la sede delle facoltà mentali) e innescare il processo nel giusto modo e con l’assistenza (consapevolezza) degli opportuni dèi-funzione; dall’altro lato, troviamo il punto di arrivo di questo processo: alcuni passaggi di sconcertante insight soggettivo e di sofisticatissima introspezione, i quali palesemente costituiscono la culminazione, lo scopo o l’essenza di tutti i Veda, la scoperta dello spazio interiore e della luminosità e del potere di guidarne, di produrne consapevolmente e volontariamente l’espansione.
In questo preciso senso, del tutto esplicito circa il ruolo centrale della coscienza, è il celebre Gayatri-Mantra, da Rig Veda III, 60, considerato il Vedasara, ossia l’essenza dei Veda:
“Tat savitur varenyam bhargo devasya dhiimahi
dhiyo yo-nah prachodayat.”
Queste parole ammettono differenti traduzioni, alcune personalistiche e teistiche, altre no: “Meditiamo su quel celeste divino splendore di Savitar (il Sole): invastisca il nostro dhi (intelligenza, intelletto, insight). O anche: “il nostro dhi si espanda.”
Un altro Leitmotiv, intrecciato con quello della luce e dell’insight, è quello dello spazio interno, lo spazio del cuore, talvolta detto hridayesamudra od oceano (samudra) del cuore (hrid) (RV IV, 58, 11b; X, 5, 1; 117, 1).
Il mito psicologico narra che le acque (o vacche) erano congelate, bloccate, rinchiuse in antico da Varuna, l’antico dio-prete, mago e serpente; e Indra le sbloccò ammazzando Varuna; così esse vennero liberate e poterono nuovamente scorrere (probabile espressione, questa, di un’operazione di profondo disapprendimento e riapprendimento di un modello superiore di funzionalità psichica).
Atharva Veda X, 2, 31-32, spiega che il corpo (detto la cittadella degli dèi) ha uno spazio interno, o santuario, un cielo avvolto dalla luce; quale yaksha dotato di âtman (sé) si trovi in esso, lo sanno i conoscitori del Brahmân. Questo tempio contiene la perla che è l’âtman (AV IV, 10, 4; 7; X, 8, 6-7), l’âtman è assimilato a un unico perno (AV 2, 32-34), comune all’interno universo: di nuovo l’accento cade sulle proprietà trascendentali della coscienza.
Nelle Upanishad troviamo ancor più numerosi e frequenti riferimenti, commenti, descrizioni del ‘sé’ e dell’autocoscienza. Brihadaranyaka Upanishad, IV, 3, 7-9 descrive il sé come “quell’essere, o purusha, consistente nella consapevolezza delle percezioni e costituente l’intima luce del cuore.” Esso trascorre tra tre stati: veglia, sonno profondo e aldilà, come un immutevole testimone. E IV, 4, 22 dice “In verità questo grande, increato âtman è fatto di coscienza (vijñanamâya) nelle percezioni dei sensi. Quell’etereo spazio che è all’interno del cuore, è ivi che Esso dimora, Signore del tutto.”
Abbiamo, quindi, valide ragioni per ritenere che gli inni vedici fossero mezzi o sussidii intesi come stimoli per destare l’autocoscienza in persone in cui non era ancora sbocciata; la recitazione degli inni si combinava con sacrifici rituali e bevute di soma, chiaramente una bevanda ricavata da una sostanza psicotropa vegetale, che aiutava a sbloccare le acque, accendere il desiderio, illuminare la mente, etc. Questa schiusa dell’autocoscienza era l’essenza dell’iniziazione, intesa come una seconda nascita (gli iniziati erano chiamati dvija, ossia, letteralmente, bi-nati, nati due volte).
Pratiche analoghe, volte a svegliare la coscienza, si possono ritrovare nel Tibet, “dove alcune scuole buddhiste (soprattutto lo Dzog-chen o Zog-quen) enfatizzano diversi elementi vedici e upanishadici, come la produzione del calore psichico (tapas) -pratica del dum-mo-, e pongono al centro e alla guida del progresso spirituale la ricerca della Chiara Luce, della luce naturale della coscienza nel suo stato primordiale, anteriore all’ahamkara [ossia, al senso dell’io], alle identificazioni con le cose, con i sensi: entità particolari che vengono tutte riconosciute come vacue, prive di natura propria.”
La costante e comune denominatore dei fenomeni suddescritti è che la coscienza o luce ‘spirituale’ è generata mediante il thymòs o fuoco, calore (tapas) sacrificale (dove, ovviamente, ‘sacrificio’ va inteso nel senso proprio di consacrazione, sacrum facere, non nel senso riduttivo dell’uso corrente di questo termine).
Il caso del misticismo vedico, che abbiamo testè esaminato, è un esempio singolare e interessante di spiritualità evolutiva – in cui, cioè, una controllata trasgressione del paradigma di realtà appare aver cospicuamente innescato e favorito un progresso delle facoltà cognitive.
[1] La spiritualità, ovviamente, va tenuta separata dalle questioni e le teorie dell’idealismo e dell’immaterialismo, che sono posizioni di carattere essenzialmente gnoseologico.
[2] Questo paradigma entra peraltro in crisi, rivelandosi insostenibile, sia nella critica filosofica (dagli Eleati a Herbert Francis Bradley) che nella moderna e contemporanea ricerca della fisica quantistica e relativistica, in cui le categorie di tempo, spazio, causazione, materia risultano incompatibili coi risultati sperimentali, restando applicabili solo alle dimensioni intermedie tra quella atomica (ambito quantistico) e quella interstellare (ambito relativistico).
[3] Ai fini di questo trattato non sarebbe utile una definizione filosofica di spiritualità, del tipo di “realtà che, come il pensiero, non è materiale, ma che, a differenza del pensiero, non è condizionata dalla materia (corpo)”.
[4] Per denotare l’atteggiamento mentale di questo tipo di persona, convinta di poter guidare e illuminare gli altri, Guido Sgaravatti, uno studioso del pensiero indiano e dello yoga, ha proposto il termine ‘guruaggine’.
[5] Rapporto Alan Stone 10.11.93
[6] ‘Thought reform’ è termine coniato dallo psichiatra statunitense John Jay Lifton nella sua analisi della manipolazione mentale condotta dai cinesi sui prigionieri di guerra americani e alleati.
[9] “… … the ultraparadoxical phase, during which only the previously elaborate inhibitory agents have a positive effect. After this follows a state of complete inhibition.” – Ivan Petrovich Pavlov, Excitation and Inhibition, in Lectures ondConditioned Reflexes, 1941, pag. 347.
[10] Negli USA vi sono imprese specializzate negli allestimenti di chiese e simili locali per le conversioni e le prediche; l’80% delle spese per questi allestimenti va in impianti acustici e luminosi.
[11] Freeman, pag. 189
[12] Freeman, pag. 189.
[13] Freeman, p. 156.
[14] Così anche Geri-Ann Galanti,in Volume , Number 10, 1, 1992, California State University, Los Angeles,
[15] Uno degli Autori, in due diversi soggiorni in India, osservò due sue cattolicissime conoscenti assumere dopo solo un giorno di riti collettivi, con la massima naturalezza, comportamenti inconciliabili con la fede cattolica: una, di professione psicologa, nell’ashrama di Sai Baba, alle 5 del mattino adorava in ginocchio la statua del dio Ganesha; l’altra, una ragioniera, in un ashrama shivaita, si era messa a formare centinaia di piccoli falli di creta con un chicco di riso in punta a rappresentare l’emissione seminale di Shiva. Entrambi i soggetti ripresero la precedente condotta religiosa poco dopo il rientro in Italia.
[16] William Sargant, Battle for the Mind, 1957 –ed. 1997, pag. 81 ss.
[17] Cit., 109 ss.
[18] Schröter-Kunhardt, 1993c, 57-75
[19] Phil Upshall, Presidente e Direttore nazionale dell’Associazione Canadese per i Disturbi dell’Umore, Spiritualità e disturbi dell’umore’, 07.12.04.
[20] Sabine Moritz, Dipl. Biol, MSc riferisce:
After the 8-week intervention period mood disturbance of participants in the spirituality group had decreased by 41%, as compared to a decrease of 23% in the meditation group and 11% in the control group. The differences between the spirituality group and the control group, but also between the spirituality group and the meditation group were statistically significant. The difference between the meditation and the control group was not statistically significant. Spiritual involvement and beliefs increased most in the spirituality group, less in the meditation group and least in the control group. The differences between the spirituality and the control group and the spirituality and meditation group were statistically significant, however the difference between the control and the meditation group was not.
In addition to the randomized trial, 14 qualitative interviews were conducted to allow a better understanding of how the spirituality programme my have impacted participants’ mood. In these interviews participants reported a shift in their general outlook on life. There was a greater sense of purpose and meaning, more trust and hope that difficult life situations could be resolved or handled, a greater awareness of being a spiritual being and an expansion of previous beliefs, and a sense of connectedness with other beings, nature, the universe or a higher power. Interviewees also reported a shift in their view of oneself and others. They indicated that they had less of an inward focus, less absorption with ones own issues and a sense of gratitude. They were less judgmental and more compassionate and had an increased interest in others and an increased desire to relate to others. Participants linked their improved mood to their altered view of others and their changed outlook on life.
In conclusion, results from this trial suggest that a home based, 8 week spirituality education programme can significantly reduce mood disturbance. Measurements of spirituality levels and findings from qualitative interviews both indicate that the programme supports a more spiritual outlook on life.”
[21] Why god won’t go away?, 2001, di Andrew Newberg ed Eugene Aquili espone e commenta il risultato di ricerche condotte su monache francescane e monaci buddhisti mediante moderne tecniche di laboratorio (comprese la spect e neuroimmagini) sulla neurofisiologia dell’esperienza mistica, ravvisando nella struttura stessa del cervello le radici inestirpabili di queste esperienze. Gli autori scoprono che, durante le esperienze mistiche, si riduce l’attività di un’area cerebrale deputata alla distinzione tra sè, il proprio corpo, e il non-sè, l’ambiente – area implicata anche nell’orientamento spaziale. Il libro si dilunga, nel proseguimento, in speculazioni non scientifiche.
[22] Luigi De Marchi, nel suo saggio Lo Shock primario (ERI 2003), sostiene che la presa di coscienza della mortalità sia, nella storia della civiltà, il motore principale delle elaborazioni culturali, spirituali, artistiche, filosofiche etc.; elaborazioni il cui fine pare essere il compensare, in vari modi, l’affetto deprimente, annichilente di quella scoperta.
[23] In ambito psicoanaltico, Béla Grünberger parla, a questo riguardo, di elazione. L’entusiasmo spirituale, religioso, sarebbe la riattivazione della traccia mnestica di un’esaltante esperienza intrauterina di proliferazione cellulare che accompagna lo sviluppo dell’embrione, esperienza che si traduce nel senso di infinità, di onnipotenza, di immortalità (Il Narcisismo – Einaudi; Narciso e Anubi – Ubaldini).
[24] Poco prima della guerra del Golfo fu mandato in onda un documentario sul regime di Saddam Hussein, in cui si vedeva un membro del suo partito che, durante una festa in onore del rais-dio, in un empito di entusiasmo devozionale verso di questi, si configgeva a martellate un lungo chiodo nel cervello: il suo fervore si dirigeva verso un oggetto che ai più appare inadeguato, ma era indubitabilmente mistico.
[25] Bene descritto da Elias Canetti in Massa e Potere
[26] “Credere est tendere in unam partem contradictionis cum formidine alterius partis” (credere è sforzarsi di pensare che le cose stiano in un certo modo, anziché diversamente), dice Tommaso nella Summa Theologica.
[27] Bertrand Russel, in Perchè non sono cristiano, definisce la fede come “A stark set of convictions that cannot be altered by contrary evidence”.
[28] Alan Stone, cit.; Ammerman, Nancy T. 1993. “Report to the Justice and Treasury Departments Regarding Law Enforcement Interaction with the Branch Davidians in Waco, Texas.” In Recommendations of Experts for Improvements in Federal Law Enforcement after Waco. Washington, DC: U.S. Department of Justice. Bromley, David G., and Thomas Robbins. 1992. “The Role of Government in Regulating New and Nonconventional Religions.” In The Role of Government in Monitoring and Regulating Religion in Public Life, edited by James Wood and Derek Davis, pp. 205-41. Wa co: Baylor University. Carter, Stephen L. 1993. The Culture of Disbelief: How American Law and Politics Trivialize Religious Devotion. New York: Basic Books.Tabor, Tames D. 1994. “The Waco Tragedy: An Autobiographical Account of One Attempt to Avert Disaster.” In From the Ashes: Making Sense of Waco, edited by James R. Lewis, pp. 13-22. Lanham, MD: Rowman and Littlefield.
Weber, Max. 1946. Max Weber: Essays in Sociology, edited by Hans Gerth and C. Wright Mills. New York: Oxford University.
[29] Dagli anni ’90 vi è un ampio dibattito sulla realtà o irrealtà del lavaggio del cervello e della belief coercion da parte dei culti e in ambito non religioso; le procedure di condizionamento e gli studi per affinarle vengono nondimeno continuati. E’ un dato di fatto, che l’apprendimento dei comportamenti avviene per associazione e condizionamento.
[30] Marco Della Luna, Le Chiavi del Potere, pag. 213
[31] Il Neuromarketing è un nuovo e controverso ramo del marketing che usa tecniche mediche come la Risonanza Magnetica Funzionale per studiare la neurofisiologia dei processi che portano all’acquisto, al fine di aumentare le vendite dei propri prodotti. Sostanzialmente, si osservano i livelli di attivazione dell’area prefrontale mediana mentre si mostrano al soggetto immagini-stimolo, individuando quelle più efficaci nel produrre l’arousal che si ritiene correlato alla decisione di acquisto. Può venire usato, in senso lato, per condizionare la mente anche a scopi politici e ideologici, compreso il proselitismo. Viene ufficialmente studiato in diverse università, tra cui la Emory University. Il suo sviluppo e impiego è oggetto di sorveglianza e contrasto da parte di associazioni per i diritti umani.
[32] Analoga ipertrofia interessa anche il debito aggregato dei mercati, che, negli USA, a fine 2004 raggiunge il 300% del p.i.l.
[33] I Veda (dalla radice °vid -vedere/sapere- sono quattro libri contenenti, sotto forma di inni, la Shruti, o sapienza universale primaria, secondo la tradizione indiana. Sicuramente i più antichi testi dell’umanità, non hanno una datazione sicura; lla tradiziona indiana colloca la loro compilazione intorno al 6.000 a.C.; Max Mueller -ormai confutato- a partire dal 1.500 a.C.; quella basata su criteri astronomici, intorno al 4.000 a.C. Ai Veda seguono le Upanishad, o lezioni, come commentario filosofico.
[34] Il molteplice è, in Kant come nelle Upanishad, unificato da un fattore trascendentale innato, immanente a ogni essere e forma consci (legando insieme le rappresentazioni); il significante legame tra il multiforme di sempre mutevoli, sparpagliate, frammentate esperienze da un lato; e l’immutevole unicità dell’Io o Sé o Coscienza (cit) immutevole, a-spaziale, senza connotati dall’altra parte.
“Sappi per certo che il Sè ha il dominio, sappi il corpo esser cocchio,
L’intelletto esser l’auriga, e la mente, ovviamente, le redini;
I sensi ne sono i cavalli; strade gli oggetti, che svoltano a destra e sinistra;
Dai saggi è chiamato ‘fruitore’, unito col corpo, coi sensi e la mente.”
(Katha Upanishad, III, 3-4).
[35] Per il concetto di narcisismo sano, v.. Béla Grunberger, Il Narcisismo, Einaudi 1998.