IL PROBLEMA DEL REFERENTE
Un sistema finanziario globalizzato e strettamente interdipendente come quello odierno esige che in ogni paese economicamente rilevante un governo stabile che assicuri il mantenimento degli impegni internazionali – impegni di equilibrio dei conti pubblici, di imposizione di tasse, di privatizzazioni di beni e servizi pubblici come l’acqua e la sanità (WTO), di tagli del welfare, di pagamento degli interessi sul debito sovrano, di ottemperanza alle condizionalità imposte in cambio di un decente rating del suo debito sovrano e, all’occorrenza, degli “aiuti”. Insomma, abbisogna di un’affidabile cinghia di trasmissione che garantisca di fare accettare al popolo di quel paese le sue impopolari, antisociali e alle volte autodistruttive prescrizioni, come avvenne in Argentina, in Messico e in altri paesi in crisi finanziaria. Per legittimamente eseguire ciò, ossia perché il popolo non possa dire che quel governo non è legittimato ad imporgli misure impopolari in quanto non l’ha nominato il popolo, un tale governo deve avere legittimazione popolare, cioè essere uscito dalle urne elettorali, laddove queste siano, dalla mentalità prevalente, ritenute idonee a legittimare il potere. E in Italia, fino a nuove elezioni, ovviamente, solo il governo in carica ha una tale legittimazione . Questo principio il ministro Tremonti ha dovuto ultimamente ricordarlo a chi invocava la sostituzione dell’attuale maggioranza con una “di larghe intese”.
Ma questa maggioranza uscita dalle urne perde pezzi e prestigio per l’effetto della sua incapacità a fare le riforme senza cui il sistema-paese decade, nonché per effetto di indagini giudiziarie che portano alla luce affarismi e corruzione peraltro connaturate a tutta la politica italiana, nonché di divisioni interne rispondenti al fatto che nel Pdl vi sono rappresentanti di interessi oggettivi tra loro irriducibilmente contrapposti, come spiegato nel mio precedente articolo Nord-Sud: il bipartitismo della realtà. Peraltro, anche il fronte opposto si sgretola per effetto del medesimo fattore: i due veri interessi contrapposti oggi in Italia sono palesi. Uno è quello del Nord, a trattenere il frutto del suo lavoro e a non farsi governare da Roma né meridionalizzare dalla penetrazione delle varie mafie meridionali, coi loro affiliati nella burocrazia. Il Sud e Roma hanno il contrapposto interesse a continuare a togliere al Nord quei soldi e a legarlo a sé anche con la suddetta penetrazione. I due partiti nazionali si bloccano e si sfaldano perché non possono contenere al proprio interno questi contrapposti interessi. La Lega Nord è pure in crisi, sia pur molto meno per ora, siccome non è del tutto chiaro alla base quanto i titolari della Lega vogliano fare gli interessi del Nord e quanto i propri, nel compromesso con Roma. Molti sono usciti dalla Lega spinti dalla forza di questi dubbi.
Ma se, a causa di tutte le suddescruitte ragioni, nessun partito politico è in grado di assumere stabilmente e con mandato popolare il potere nel paese, a quale referente alternativo, a quale altro potere politico può guardare l’ordinamento finanziario internazionale come garante dell’esecuzione degli impegni verso di esso? E’ una domanda che dovrebbe interessare un po’ tutti, perché se non trova un garante valido, una valida cinghia di trasmissione, può abbassare il rating dei titoli del tesoro o addirittura dichiararli non più cambiabili contro valuta legale – e ciò manderebbe all’aria la finanza pubblica.
Se non funziona la politica ufficiale, quale altro potere politico costituito, di fatto se non di diritto, può fare da referente e cinghia di trasmissione?
Una soluzione potrebbe essere il potere giudiziario, la magistratura, o meglio i capi di questa, della sua corporazione, l’ANM. La magistratura è nominata per concorso, non è eletta, non dipende dal mutevole consenso del popolo, ha un fortissimo potere di interdizione, è praticamente irresponsabile, gode di un certo prestigio, se non altro perché offre scandali e colpevoli all’opinione pubblica, e, se compatta e ben guidata, può coprire tutti gli abusi dei propri membri che stanno al gioco. Ovviamente, la magistratura non potrebbe assumere in proprio il governo del paese, non avendo mandato popolare, verrebbe percepita come usurpatrice. Potrebbe però decidere chi può far politica ricoprendo cariche istituzionali, e chi no; chi può fare certi affari, e chi no. Potrebbe, cioè, in persona dei suoi capi e in cambio del rafforzamento dei suoi già cospicui privilegi economici e non, procurare la stabilità a una data maggioranza di governo, funzionale a certi interessi, consentendo ad essa di praticare, sia pur con discrezione, l’affarismo illecito di cui la politica si nutre di guadagni e supporti; al contempo potrebbe difendere la sua posizione attaccando sistematicamente i politici più capaci dell’opposizione per screditarla, decapitarla e impedirle di “nutrirsi”, fintantoché essa non si piegherà di svolgere un ruolo di spalla della maggioranza. Da tempo certi magistrati o ex magistrati suggeriscono cose di questo genere, e certi recenti governi del Centrosinistra erano tentativi in tal senso, ma sono falliti perché quei governanti risultavano incompetenti, avidi, divisi ed espressione della parte meno produttiva o parassitaria del paese. Per riuscire a governare un paese critico come l’Italia non basta disporre di magistrati-cecchini che abbattono tutti i competitors pericolosi.
Soluzioni di questo tipo trovano inoltre ostacoli nel fatto che da ricerche, libri, indagini giudiziarie sulla realtà della casta giudiziaria sta continuamente emergendo che questa casta non è sostanzialmente diversa per mire, metodi e cultura di potere e amore della legalità dalla casta politica e da quella burocratica, che essa dovrebbe controllare e disciplinare. Ciò che popolarmente si chiama corruzione, ossia l’abuso interessato della propria posizione, non è altro che lo scopo per cui, a livello di organizzazione, si esercita il potere e il mezzo con cui lo si mantiene – il potere di ogni tipo, anche giudiziario. Il che è del resto logico: la cultura di potere è la medesima in tutti i poteri, sia istituzionali che non. Ne consegue che è illusorio pensare che più potere ai magistrati possa portare a più legalità nelle istituzioni. Quindi la magistratura rimane fattore importante per la soluzione del problema del referente politico in Italia, ma non è sufficiente.
Quali altri poteri rimangono, come possibili candidati? La Chiesa sicuramente no, o non più: pur detenendo ed esercitando molto potere economico e politico, soprattutto interdittivo, essa ha perso buona parte della sua credibilità morale e spirituale; ha troppe cose da nascondere, e troppe altre che non riesce a nascondere, a cominciare dall’ingente mole delle transazioni finanziarie non traccibili (per legge) che compie la sua famosa banca, lo Ior, per conto anche soggetti non vaticani.
I sindacati sono troppi e troppo divisi e particolaristi. I più grandi sono sostanzialmente sindacati di pensionati. Le loro colpe nel dissesto del sistema-paese sono gravi e palesi.
Le forze armate sono fuori discussione: un golpe militare è impensabile e inaccettabile alla popolazione.
Come potere costituto, stabilissimo, forte, presente e condizionante nelle istituzioni, rimane la mafia. Già durante la II Guerra Mondiale e il governo USA si rendeva conto che la mafia era un potere reale ed efficace in Italia, Perciò tratto, attraverso Lucky Luciano, con la mafia siciliana per sbarcare e prendere l’isola senza quasi colpo ferire. In cambio dell’alleanza politico-militare, aiutò la mafia a prendere un potere condizionante nelle istituzioni romane e nei partiti nazionali. E ad assicurarsi un’ampia fetta di spesa pubblica attraverso appalti, sussidi e altro. Oltre a una certa tolleranza istituzionali verso i suoi enormi traffici di droga.
Considerato quanto sopra, e aggiungendo che la situazione socio-economica italiana si appesantirà notevolmente nel prossimo autunno, e imporrà ulteriori e impopolari manovre, mi figuro due possibili assetti che risponderebbero all’esigenza indicata in apertura.
Primo assetto: maggioranza di governo formata da forze politiche esponenziali degli interessi del polo meridionale e della burocrazia garantita che si avvantaggiano direttamente dei trasferimenti da Nord a Sud, da settori della finanza, dell’industria, del sindacato. Questo assetto avrebbe bisogno del sostegno attivo sia di parte della magistratura, in funzione interdittiva di copertura , come si diceva prima; sia delle mafie, anche per avere la maggioranza in parlamento e in molti enti locali; che di parti. Questo assetto potrebbe funzionare da uno a tre anni, bruciando ulteriormente le residue risorse del sistema-paese.
Secondo assetto: attuazione del federalismo fiscale, destabilizzazione sociopolitica Sud abituato a dipendere dallo spreco di risorse prodotte al Nord, urgenza concreta per il Sud di uscire dall’Euro per recuperare competitività e sviluppare un’economia non parassitaria; indipendenza della Padania; costituzione di uno Stato meridionale e di uno Padano, eventualmente anche di uno centrale, comprendente le regioni stabilmente dominate dalle centrali di potere a suo tempo costituite dal vecchio PCI, ossia Toscana, Umbria, Marche, Romagna, Emilia – o parte di essa – ed eventualmente la Liguria.
26.07.10