IL BREVE TERMINE DEL GOVERNO TECNICO
Nel breve o brevissimo termine, iniziando dal prossimo Gennaio, specialmente in relazione all’imminente discussione del riassetto finanziario europeo, dove Berlino pare in grado di imporre i suoi interessi e la sua linea di rigidità, l’Italia sarà costretta a un secco rientro del debito pubblico a tappe forzate entro il 2020, quindi sbatterà contro le sue storture consolidate: la crescente inefficienza comparativa, il fallimentare costo del lavoro per unità di prodotto, la mancanza di governabilità politico-economica e di riformabilità dovuta alla rigidità dei suoi meccanismi di consenso politico, basati sul mantenimento di privilegi di categoria e sul clientelismo capillare e multilevel.
L’Italia sbatte contro il fatto che la sua classe politica si è specializzata in metodi di mantenimento del potere (soprattutto sui soldi e le risorse pubbliche) che prescindono dall’uso buono ed efficiente del potere stesso. Non ha competenze di governo efficiente. Quindi non ha le alte capacità tecniche, oltre a non disporre del consenso politico, come sarebbe indispensabile per gestire la difficile contraddizione tra una politica di bilancio virtuosa, cioè restrittiva e deflativa, e il rimborso dello stock di debito pubblico, che presuppone un’espansione in corso dell’economia tale da incrementare il gettito fiscale per pagare il rimborso stesso. La spesa pubblica parassitaria e improduttiva non potrà mai esser tagliata da qualsiasi governo italiano, perché appunto è quella che apporta (comperandoli) voti e soldi ai partiti, e senza la quale i partiti non hanno consenso né potere e non possono governare (così come non possono governare contro gli interessi della Mafia e del Vaticano, data la loro forza economica, sociale e politica nel paese). L’attuale governo, avendo perso il sostegno di categorie meridionaliste (MPA, Finiani), per recuperare in quei settori e poter sopravvivere lancia un piano di spesa per 100 miliardi al Sud, mentre al Veneto alluvionato concede 300 milioni – meno dell’iva che incasserà sulle spese per la ricostruzione.
Sino a ieri o avant’ieri, la classe politica, oltre ad alimentare l’emotività della gente e a sviarne l’attenzione mediante le contrapposizioni ideologiche, è riuscita a compensare tale sua inefficienza nel gestire la cosa pubblica mediante tre principali strumenti: a)la svalutazione competitiva, che faceva recuperare competitività alla produzione per l’esportazione, disincentivando al contempo le importazioni, quindi combinatamente sostenendo la produzione, l’occupazione, gli investimenti e i redditi domestici; b)la continua espansione del debito pubblico per acquisire il consenso di categorie aggiuntive di cittadini e imprenditori (pensioni di falsa invalidità, pensioni senza previa contribuzione, posti di lavoro improduttivi, sovvenzioni a pioggia, etc.); questa prassi ha comportato, da un certo punto, il continuo incremento della tassazione per finanziare il processo di cui al punto precedente, soprattutto da quando, vent’anni fa, il pil si è pressoché fermato; c) l’operazione mediatico-giudiziaria “Mani Pulite” e l’operazione mediatico-monetaria “Euro” per rifarsi la credibilità e legittimare l’incremento della pressione fiscale sfruttando il risentimento verso i politici e il sentimento europeista della popolazione generale.
Nella situazione odierna, lo strumento a) è bloccato dai vincoli comunitari; lo strumento c) è bruciato in ambo le sue componenti; lo strumento b) rimane l’unico praticabile, ma per finanziarlo è indispensabile accrescere fortemente la pressione fiscale onde dare alla classe politica molto più denaro per continuare a comperare i suoi consensi e, al contempo, cominciare a ridurre lo stock di debito pubblico. Ma sui redditi da lavoro e da impresa non è possibile aumentare la tassazione, perché è già tanto alta, da deprimere produzione e occupazione. Neanche sulle rendite finanziarie e sui grandi capitali è possibile aumentare la tassazione, perché ciò colpirebbe gli interessi dei veri detentori del potere. Non resta che colpire fortemente il risparmio e il mattone, con una tassa patrimoniale che inizi come “una tantum” nel 2011, per ritornare annualmente e cronicizzarsi. In più, si farebbe casa riprendendo la vendita degli assets pubblici, di cui i più importanti sarebbero rastrellati dal capitale finanziario straniero. Questa operazione richiede un governo tecnico, con i crismi dell’emergenza, della BCE, del Quirinale, del FMI, della Merkel e della “magistratura” – quest’ultimo crisma ottenuto silurando giudiziariamente Berlusconi, onde poter dire: “abbiamo cacciato il gaglioffo, ora potete tornare a lavorare e pagarci le tasse sapendo che finiranno in mano a persone per bene, che salveranno il paese (Mani Pulite bis), come pure i soldi che faremo vendendo i vostri beni nazionali.”
Gli Italiani non potranno mai cambiare la classe politica, perché sono essi stessi troppo da essa corrotti e di essa complici. Non potranno farlo col voto “democratico” né con una rivoluzione. Non potrà e non vorrà farlo nemmeno la sua “magistratura”, che è parte dell’establishment e, in ragione dei suoi livelli di potere interno, ne condivide i privilegi, che perderebbe, in uno scenario diverso. Lo faranno invece i predetti capitali stranieri, quando avranno completato il take-over degli assets strategici italiani. Allora elimineranno la classe politica, la “casta”, che in ciò li sta aiutando, e piloteranno il Belpaese dall’esterno, insediando una nuova classe dirigente e riformandolo, un buona volta – beninteso, a loro convenienza. Chi vuole far carriera politica nell’Italia di domani, la incominci quindi oggi stesso in Paris-Bas o General Motors.
25.11.10 Marco Della Luna