DATEGLI CORDA E SI IMPICCHERANNO DA SE’
DATEGLI CORDA E SI IMPICCHERANNO DA SE’
Nella Gran Bretagna della seconda metà del XIX secolo, nel corso della seconda rivoluzione industriale, l’establishment oligarchico (aristocrazia più finanza) dovette gestire l’azione sempre più energica e organizzata, sindacalmente e politicamente, delle classi lavoratrici duramente sfruttate, che si mettevano a lottare, con grandi scioperi ed energici moti di piazza, per migliori condizioni di vita, per una meno iniqua redistribuzione del reddito, per condizioni di lavoro più sicure, per orari meno massacranti, contro lo sfruttamento dei bambini, etc., contestando la stessa struttura di potere politico e il suo fondamento etico.
Per gestire questo problema, l’establishment adottò una strategia “fabiana” – da Quinto Fabio Massimo, il generale romano che, nel corso della II Guerra Punica, scelse di non affrontare in battaglie frontali il potente esercito invasore cartaginese, ma di lavorarlo ai fianchi, colpire le sue linee di rifornimento, fargli terra bruciata davanti. Una strategia temporeggiatrice (da qui il soprannome Cunctator), che lasciò che i cartaginesi arrivassero nella pingue Campania, dove si diedero all’ozio e ai piaceri, al vino e al cibo fino a perdere l’attitudine e la capacità combattive che li avevano portati di vittoria in vittoria. Dopo di ciò, Roma poté ripetutamente affrontarli e batterli, vinse la guerra ed eliminò il problema dei cartaginesi per sempre.
La strategia fabiana è stata presa a modello per la gestione della protesta popolare e della rivendicazione sociale, dapprima in Gran Bretagna, poi negli USA e in altri paesi industrializzati. Alle masse fu lasciata una controllata libertà sindacale, politica, di sciopero, di parola – però avendo cura di spuntarne (con la repressione, con la cooptazione, con campagne di informazione) le forme e gli esponenti più efficaci, più intelligenti. Furono fatte concessioni nei salari, nella sicurezza, nell’assistenza, nella previdenza, così da produrre consenso immediato assieme a un progressivo, e tendenzialmente schiacciante, indebitamento pubblico, quindi dipendenza del settore pubblico dal settore finanzario privato, così da preparare il corporate take-over delle funzioni e degli assets pubblici. Fu concessa anche una rappresentanza parlamentare, formale più che sostanziale. Fu concessa alle classi inferiori la possibilità di studiare, ma la scuola pubblica fu organizzata in modo da dare una formazione non critica, non creativa, non libera, bensì conformista. Furono impiantate le mode e i piaceri consumistici, così da incoraggiare la spesa facile, e il progressivo indebitamento privato.
Mediante questa strategia di lungo termine, le classi subalterne sono state rese incapaci di ribellarsi, sono state portate a una condizione dapprima di integrazione nel sistema capitalistico, di perdita della loro rappresentanza politica e sindacale (cooptata nella casta di regime) e ora di passività, che consente all’oligarchia di toglier loro, gradualmente, con la loro stessa collaborazione, e la collaborazione dei loro intellettuali, la coscienza di classe, la specificità politico-sindacale, i “diritti” precedentemente concessi, le “conquiste del lavoro”: ormai gli stessi lavoratori firmano e votano le rinunce ai loro diritti salariali e normativi, nonché al welfare, perché “vedono” che, altrimenti, l’industria andrebbe fuori mercato e la finanza pubblica violerebbe i vincoli di bilancio. La strategia fabiana di contenimento e fiaccamento progressivo sta vincendo ancora una volta.
Soprattutto, questa vittoria brilla in Italia. In Italia ai lavoratori si è concesso, in questa strategia, tutto, ma in modo tale che finissero intrappolati dai loro stessi apparenti successi. Dategli abbastanza corda, e si impiccheranno da sè – insegna un fabianissimo proverbio inglese.
Si è concesso loro, specie nel settore pubblico, il posto fisso, il diritto di non rendere, la facoltà di fingersi malati, i posti di lavoro inutili, la quasi non licenziabilità, la scala mobile, il pensionamento da giovani, livelli pensionistici non coperti dai contributi, le finte invalidità, etc. – ed il risultato, a qualche decennio, è la disoccupazione e la precarietà giovanili, le enormi ritenute previdenziali, l’insostenibilità del pagamernto delle pensioni in essere con i sempre più magri versamenti contributivi dei giovani precarizzati e sottopogati, la disoccupazione e sottooccupazione, la recessione – quindi la necessità di accettare condizioni di lavoro, di welfare e trattamento pensionistico sempre più grame, e redditi in declino.
Hanno voluto la scuola non discriminante, non selettiva, democratica, diritto a tutto senza sforzo, e gliela si è data molto volentieri: tutti promossi, ventisette politico, interrogazioni di gruppo – e insegnanti sempre meno preparati, spesso nominati senza concorso. E ora abbiamo una scuola che non consente più ai capaci e meritevoli di elevarsi socialmente, che non qualifica più per il mercato del lavoro, che è a livelli di terzo mondo. Una scuola tale che, se si vuole dare ai propri figli una preparazione competitiva, bisogna mandarli all’estero. Una scuola, insomma, che fa esattamente ciò cui voleva arrivare il potere, e l’opposto di ciò che promettevano gli intellettuali (ingenui o venduti) delle “sinistre”: garantire e irrigidire la separazione di classe, il blocco della mobilità verticale, la distanza culturale tra governati e governanti.
Hanno voluto la sanità e il welfare a spesa facile, glieli si è concessi, e così si è prodotto un indebitamento pubblico tale, che lo Stato ora deve obbedire ai dettami del cartello bancario internazionale per non fare default, e a quel cartello, nelle sue incarnazioni di BCE e BIS e FMI, ha ceduto la sovranità finanziaria ed economica, quindi pure delle scelte politiche di fondo. Così, anche se il popolo elegge maggioranze parlamentari di “sinistra”, queste hanno le mani legate e devono seguire le direttive della BCE, della BIS e del FMI.
Hanno voluto libertà e divertimenti, ed è stata data loro una serie di cose utili a fiaccarle nella mente, nel corpo, nei rapporti umani, nella cpacità di organizzare una lotta sociale: televisione di rimbecillimento, droga, un certo tipo di musica, promiscuità, sesso facile, nessun dovere o sacrificio – il tutto veicolato dalla cultura del piacere per il piacere e dello sballo, soprattutto attraverso la rivoluzione morale del 1968.
Hanno voluto credito facile, al consumo, e glielo si è dato, persino per le vacanze; hanno voluto i mutui al 120% del valore della casa, e glielo si è dato; così li si è indebitati per bene, e ora sono costretti a erodere i loro risparmi, mentre vedono le loro case andare all’asta per pochi soldi, oppure le devono cedere alla banca che gliele ha finanziate, restando dentro come inquilini.
Si sono fregate e inertizzate le classi lavoratrici semplicemente assecondandole, accontentandole nelle loro richieste miopi, spingendole a sentirsi borghesi e a coltivare bisogni, gusti e aspirazioni borghesi. Le si è accontentate nelle rivendicazioni di vantaggi particolari e immediati, ben contenti che dimenticassero quelle di classe, di sistema e di lungo termine. L’operaio, l’impiegato, vedono e vogliono i benefici immediati, e non considerano le loro conseguenze, non problematizzano la loro sostenibilità nei decenni, le ricadute sui loro figli delle apparenti conquiste di oggi. Non considerano gli interessi e i bisogni delle generazioni future, e scaricano su di esse il debito e le distorsioni strutturali comportate dal soddisfare oggi le aspirazioni della loro generazione, la generazione presente. Il sindacalista e il politico ragionano e decidono nella logica del breve termine e del particolare delle loro elezioni e nomine, quindi neanch’essi si curano dell’insieme e del lungo termine. Inoltre, invariabilmente tendono verso la parte che ha i soldi, finiscono per sentirsi parte di essa, offrendo, in cambio della loro cooptazione in casta, di procurare la compliance delle classi che loro si affidano. Analogo discorso vale per gli intellettuali, i giornalisti e i pubblici funzionari. E anche se così il sistema in futuro si guasterà, saranno sempre loro a cavalcarlo e ad arricchirsi gestendo i sacrifici che si renderanno necessari allora.
Dagli anni ’90 la suddescritta fase, la fase delle concessioni mirate al popolo, è finita in tutto il mondo occidentale od occidentalizzato: le condizioni delle classe subalterne e delle finanze pubbliche hanno preso a peggiorare, mentre migliorano quelle delle classi privilegiate (i redditi si concentrano sempre più nelle mani di pochi), ed aumentano, con le disparità sociali, anche gli strumenti di controllo dei privilegiati sui governati: strumenti tecnologici e giuridici. Vengono tagliati i diritti civili e le garanzie del cittadino rispetto al fisco, alla polizia e al potere giudiziario, soprattutto negli USA. I centri decisionali sono sempre più lontani e opachi: non riesci più a dialogare con chi decide sui tuoi soldi, sul tuo lavoro, etc. Strumenti tecnologici impediscono la resistenza e radicalizzano l’asimmetria tra governanti e governati.
Insomma, la fase “generosa”, di benessere e di libertà, in cui la vita era abbastanza buona per molti, è finita, e ora la vita si fa brutta o pessima per la grande maggioranza. E’ finita perché ha raggiunto il suo scopo, ossia di domare le classi subalterne e di predisporle a una radicale sottomissione e sfruttabilità, con perdita dell’illusione di borghesia, di consumismo, di welfare, di garantismo, di partecipazione politica. Poiché non serve più trattare bene la gente, poiché è stato raggiunto lo scopo strategico di ridurla all’impotenza o all’inerzia, ora la gente, la popolazione generale, continuerà ad esser trattata male, sempre peggio, comunque voti e chiunque sia al governo, e anche se insorgerà nelle piazze, anche se voterà plebisciti contro alcune privatizzazioni, niente cambierà, perché i limiti sono esterni, sono posti dai palazzi del cartello bancario, ben protetti da trattati internazionali che escludono qualsiasi controllo sia politico che giudiziario, e qualsiasi responsabilità: BCE, BIS, WB, IMF. E così anche quando questi poteri e le persone che li detengono causano disastri socio-economici, non è che i responsabili possano venir sostituiti come si sostituirebbe un cattivo amministratore, perché essi gestiscono il sistema e la società da fuori e da sopra di essi. I popoli colpiti non hanno un mezzo politico per sostituirli. Non hanno nemmeno una possibilità di farlo attraverso una rivoluzione, perché non vi è qualcosa di fisico, di circoscritto, da attaccare. Soprattutto non hanno la possibilità di agire su questi poteri esterni perché non hanno nemmeno la nozione di essi, o, se la hanno, credono che si tratti di organismi utili, sani, garanti del libero mercato e della buona economia. Ma anche quando aprono gli occhi, che cosa possono fare? Che cosa possono fare i cittadini greci, se non gridare e tirar sassi, mentre il Pireo viene venduto al capitale cinese, il loro reddito tagliato, il loro fisco rilevato dai burocrati dell’UE? I centri del potere sono al di fuori della loro portata, a Basilea, Londra, New York, Brussel, Francoforte. Ma, soprattutto, sono centri immateriali, informatici.
Per essere più chiari, per dire ciò che gli ignoranti od opportunisti intellettuali della sinistra non hanno mai spiegato alle classi che li consideravano maestri, aggiungiamo che in un mondo di mercati finanziariamente e monetariamente interdipendenti, domina il cartello che gestisce la finanza e la moneta, quindi non c’è tutela delle classi lavoratrici se non c’è trasparenza e controllo sull’ordinamento finanziario e monetario globale (e non ci sarà mai), assieme a un coordinamento globale delle stesse forze lavoratrici (che egualmente non ci sarà mai). Ma gli intellettuali e i politici della sinistra non hanno mai organizzato lotte per la riforma del sistema monetario e finanziario mondiale. Non hanno mai marciato contro Bretton Woods! Farlo sarebbe stato contrario alla loro carriera. Anzi, in molti paesi, anche in Italia, si sono resi fautori e garanti dei “mercati”, della finanza speculativa che ha portato ai disastri recenti e a quelli incombenti.
Diciamo anche che il potere finanziario, oramai globalizzato, possiede e usa strumenti, anche militari, che governano dall’esterno le varie nazioni, e contro i quali non vi è possibilità di resistenza, sia perché non è prevista giuridicamente, sia perché se un paese si ribella gli viene tagliato il rating del debito pubblico, e quel paese va a rotoli, perché la sua moneta crolla, perché non riesce più a collocare i titoli del suo debito pubblico, o perché i capitali escono da esso. Questi strumenti esterni sono la regolazione del money supply (ossia della quantità di denaro e credito disponibile nel mercato), la fissazione del tasso di sconto e dei criteri di merito creditizio, la imposizione di vincoli di bilancio, il rating dei bond di Stato e privati, la liquidità degli assets finanziari, la regolazione dei dazi. Con i primi due strumenti si più mettere a secco l’economia, e comperarne poi gli assets sottocosto. Col terzo e col quarto si può costringere una nazione a tagli di welfare e di investimenti, a privatizzazioni, a inasprimenti fiscali – quindi alla recessione, alla soppressione de facto delle classi intermedie, e a una svolta liberista in politica. Col quinto si possono azzerare i risparmi e gli investimenti. Col sesto, si può impedire a un paese di difendere un proprio settore produttivo, nascente o già consolidato, e i diritti dei suoi lavoratori, col semplice togliergli i dazi sulle importazioni così da esporlo alla concorrenza sleale di paesi che sfruttano senza limiti il lavoro e l’ambiente, come la Cina; mentre si può impedire che quel paese sviluppi il suo potenziale produttivo di determinate merci col semplice consentire ai paesi acquirenti di quelle merci di porre barriere doganali alla loro importazione (così si è schiacciata l’agricoltura argentina consentendo a USA, UE e Giappone di porre barriere doganali ai prodotti argentini, e di sovvenzionare le proprie produzioni interne).
Quando si hanno questi controlli esterni sui vari paesi, al loro interno si può concedere alle classi popolari tutto ciò che reclamano, ogni illusione di democrazia, di diritti inalienabili, di conquiste del lavoro, di eguaglianza, di progresso. Le classi popolari, con l’aiuto dei loro politici e sindacalisti, si impiccheranno da sole, e poi imploreranno in ginocchio di poter lavorare per un pezzo di pane.
In un tale contesto, credere che cose come la riuscita di un’inchiesta o anche una campagna giudiziaria contro la corruzione, oppure la caduta di questo o quel premier, possano avere effetti sostanziali, è da sciocchi, se non da deficienti. Magistrati, politici, faccendieri nazionali non hanno forza di incidere su quel contesto, ma ne sono semmai una ricaduta.
Le teste delle classi subalterne pensano ai vantaggi immediati e si appagano di essi, non lottano per ottenere che, per pagarli, sia costruito un sistema economico e finanziario in grado di alimentarsi senza produrre un indebitamento pubblico a interessi passivi che, componendosi nel corso degli anni, crescono esponenzialmente, ingessano l’economia e alla fine impongono rinunce maggiori dei vantaggi inizialmente conseguiti. Non pensano agli effetti a lungo termine di questo sulla società. Lottano per i posti di lavoro, per trasformarli in posizioni di rendita, ma non per strutturare l’economia in modo che rimanga competitiva nel tempo e preservi i posti di lavoro. Lottano per le pensioni presto e a tutti e indipendenti dai versamenti effettivi, ma non si curano di accertare se gli enti erogatori siano adeguatamente capitalizzati per pagarle nel tempo. Esistono metodi matematici per farlo, per calcolare le riserve necessarie: si chiama matematica attuariale. L’Inps aveva già negli anni ‘90 una sottocapitalizzazione del 30%. E nel 2010 la spesa pensionistica è cresciuta di oltre il 5% rispetto al 2009. Assorbe oltre il 16 della spesa pubblica. E andrà sempre peggio dati l’invecchiamento della popolazione e il peggioramento qualitativo medio dei contratti di lavoro.
I pensatori e i leaders dei lavoratori, della sinistra, opportunisticamente e realisticamente, non li hanno mai avvisati e diretti in tal senso, anzi hanno guidato sia loro che la politica monetaria e finanziaria in modo tale che ora essi debbono rinunciare alle loro “conquiste” o a quelle dei loro padri, e consegnarsi nelle mani di un capitalismo anonimo e apolide – che debbano sottomettersi, asservirsi, per debiti – pubblici e privati.
Gli interessi diffusi, popolari, non sono soltanto molto meno efficaci e organizzati di quelli concentrati, ma pure molto meno consapevoli e molto facilmente abbindolabili. Le sinistre italiane hanno alcuni dei loro migliori uomini al servizio di banche speculative della finanza predona internazionale, anche di quella che ha organizzato, per lucro, l’attuale disastro della Grecia.
Ma le rinunce in fatto di lavoro e di welfare non sono le sole a cui i popoli occidentali sono sapientemente indotti: vi sono anche le rinunce in fatto di privacy, garanzie processuali e libertà di espressione a cui soprattutto i cittadini americani sono stati portati, sull’altare della guerra contro il terrorismo internazionale e della difesa preventiva. Sono tappe concrete verso la costruzione di uno stato orwelliano.
Intanto, crisi economiche e finanziarie potranno portare a rinunce in fatto di redditi e risparmio. Ma il pezzo forte potrebbero presto essere rinunce sostanziali al tenore di vita, ai consumi, all’automobile, imposte da emergenze ecologiche, climatiche, energetiche e di esaurimento di materie prime. Il tempo della dolce vita è passato.
16.06.11