DIRETTIVA BAIL-IN: SICARI BANKEUROPEISTI CONTRO CITTADINI EUROPEI
DIRETTIVA BAIL-IN: SICARI BANKEUROPEISTI CONTRO CITTADINI EUROPEI
Le indagini su MPS, la banca della crisi, salvo il filone della c.d. Banda del 5% (che però c’è in ogni grande banca, quindi è poco significativa), sembrano esitare: le iniziative sembrano restringersi ai pochi nomi già accusati, il livello politico-partitico sembra risparmiato, i complici-beneficiari esteri pure, protetti anche dal blocco opposto dalla Bundesbank a certe investigazioni pericolose per il sistema bancario germanico. Fonti non peregrine spiegano questa stasi sia come dovuta alla volontà di un determinato grosso calibro della sinistra che esige la garanzia di esser lasciato fuori dalle indagini, sia come imposta per non far perdere le elezioni comunali di Siena (e il connesso controllo della banca) a chi non lo deve perdere. Intanto MPS, incapace di rimborsare il gravoso prestito governativo al 9% di interesse, si avvia a diventare pubblico, se non se lo pappa prima qualche banca straniera già fortemente presente anche nei servizi pubblici italiani.
Ma MPS potrebbe essere l’ultimo caso di banca italiana salvata con denaro pubblico.
Infatti, sollecitato dal Financial Stabilty Board – che ha già dato ampia prova della propria inefficacia –, approvato dal G20, spinto dall’Europarlamento, sta infiltrandosi in Europa il principio del bail-in: quando una banca è in crisi – e in gran parte le banche sono in condizioni critiche, che mascherano con sistematici trucchi contabili, quali il non dichiarare le sofferenze o il simulare liquidità inesistente o aggiustare gli stress tests – a salvarle non dev’esser più la banca centrale di emissione, mediante creazione di denaro nuovo; né lo Stato, mediante spesa di fondi pubblici; bensì, su costrizione del governo, i creditori della banca: azionisti, obbligazionisti, depositanti. I primi perdono le azioni, i secondi e i terzi vedono i loro crediti (obbligazioni e depositi) convertiti in azioni dal governo, marionetta dell’alta finanza. In azioni di banche già in condizioni prefallimentari, azioni che andranno quindi perdute al prossimo giro.
In questo modo i grandi banchieri, burattinai dei governi e dei parlamenti, ottengono un grande guadagno, perché scaricano sui risparmiatori i danni delle frodi che essi stessi compiono, sia col distrarre i soldi delle banche che gestiscono (come avvenuto nel caso MPS), sia mediante le speculazioni d’azzardo sui mercati regolati e non regolati, sia pagando agli amici 10 ciò che vale uno (come MPS con Antonveneta), sia concedendo mutui a soggetti che si sa che non pagheranno (mutui subprime da cartolarizzare, mutui ad amici degli amici).
Oltre a ciò, l’oligarchia finanziaria globalista e bankeuropeista ora crea allarme generale, perché abolisce il principio della sicurezza dei depositi bancari; per conseguenza, i risparmiatori saranno indotti a ritirare almeno in parte i loro depositi dalle banche e a non comperare più azioni e obbligazioni delle banche; e ciò probabilmente scatenerà proprio quella crisi generale bancaria che i governi-fantoccio dichiarano di voler prevenire mediante il principio del bail-in, ma che in realtà vogliono per poter sottoporre tutte le banche europee e tutti i sistemi bancari europei a un organismo centralizzato e autocratico. Togli alle banche raccolta, liquidità, e andranno a fondo. Semplicissimo. Molto spesso si dichiarano falsi scopi, in politica, per perseguire obiettivi inconfessabili e criminali.
D’altra parte, le banche non riceveranno necessariamente danno dal fatto che le loro azioni e obbligazioni divengano poco appetibili a causa dei timori di bail-in, perché questi timori sposteranno gli investimenti da azioni e obbligazioni bancarie – su cui le banche guadagnano poco di commissioni – a polizze assicurative del tipo “Unit” e altre, su cui le banche lucrano commissioni implicite upfront fino all’8,8%, il che fa sì che l’ingenuo investitore, per non perdere definitivamente quella grossa commissione, sia indotto a mantenere l’investimento sino alla scadenza. Inoltre le banche italiane potrebbero accordarsi con banche extracomunitarie – e quindi non assoggettate al bail-in – presenti nel territorio nazionale per il collocamento ” mascherato ” di propria raccolta.
Questa crisi creerà le condizioni di emergenza per introdurre nuove norme in deroga e schiacciare nuovi principi del diritto. L’oligarchia crea pianificatamente, uno dopo l’altro, i disastri che le consentono di realizzare le riforme necessarie a eliminare ogni controllo e partecipazione dal basso, e instaurare una vera e propria tirannia assoluta, attraverso le maschere dei parlamenti europeo e nazionali, della commissione, dei governi.
Quanto venduti e burattini senza pudore siano governanti e parlamentari è manifesto, se solo si pensa che si apprestano a introdurre il principio del bail-in senza nemmeno re-introdurre la divisione tra banche di risparmio e credito e banche di speculazione (Glass Steagall Act), senza stabilire che il bail-in si applica solo alle seconde, mentre le prime saranno alla bisogna ricapitalizzate dalla banca centrale – quindi violano la norma costituzionale che tutela il risparmio.
E lo fanno senza nemmeno imporre controlli contabili effettivi e imparziali sulle banche, nè il ripristino dei controlli incrociati per le delibere di spesa entro le banche stesse in modo che il Mussari di turno non possa eseguire senza filtri bonifici indebiti per miliardi né sottoscrivere e tenere nel cassetto contratti derivati capestro, vincolanti per la banca. Tutti questi abusi i sicari bankeuropeisti li scaricano sui risparmiatori.
E ancor prima, impongono il principio del bail-in senza nemmeno chiarire perché si rinunci a istituire invece un fondo di garanzia effettivamente versato, o perché si rinunci a modificare lo statuto della BCE per vincolarla a intervenire creando denaro, come essa tanto facilmente fa e ha fatto a favore dei banchieri – onde evitare perlomeno i danni ai risparmiatori, che si traduce in un danno-costo sociale ed economico altissimo, mentre l’intervento della banca centrale di emissione mediante creazione di nuova moneta, come si è ampiamente visto, non comporta costi né stimoli inflativi.
Naturalmente il bail-in viene fatto passare col compiacente silenzio dei mass media, che dirigono altrove l’attenzione dell’opinione pubblica, come è loro funzione fare. La tecnica è costante: prima prepari le norme-trappola, che rimangono inattive e non notate per qualche tempo, poi all’occasione scattano, ma allora non ci si può opporre perché sono “le Regole” e le ha volute l’Europa.
Appendo il verbale della discussione alla Camera dei Deputati, avvenuta credo il 23 u.s., su un’interpellanza urgente di Brunetta e Pagano al Governo in tema di bail-in. Questo verbale è molto istruttivo
28.05.13
Interpellanza presentata dall’On. Brunetta
I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell’economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
diverse esternazioni recenti del Presidente della BCE hanno posto in evidenza il fatto che le banche non stanno finanziando le piccole e medie imprese in misura adeguata ad avviare e spingere la ripresa. Le analisi apparse su organi di stampa hanno ripreso e approfondito questo fatto, alludendo spesso ad una responsabilità colposa delle banche, più incline in questi tempi a migliorare il proprio conto economico, ad esempio con il trading su titoli di Stato piuttosto che finanziando investimenti produttivi;
senza per nulla eludere o aggirare la responsabilità delle banche, è opportuno richiamare un aspetto che sembra destare poca attenzione e però di grandissima rilevanza per il futuro del sistema produttivo del Paese, nella misura in cui esso dipende dal finanziamento bancario. Nello specifico, si stanno cambiando le condizioni strutturali alle quali le stesse banche raccolgono risorse sul medio lungo termine e dunque, in prospettiva, la loro capacità di continuare a prestare sostegno alla piccola e media impresa per i suoi bisogni d’investimenti. Il cambiamento che preoccupa si annida nell’impatto congiunto di diverse normative europee, ultima delle quali è rappresentata dalla direttiva sulla gestione e risoluzione delle crisi;
su questa futura direttiva, la riunione dell’Ecofin del 14 maggio 2013 aveva fra altri temi all’ordine del giorno, le scelte da compiere sulle questioni di maggior rilievo per il varo entro l’anno in corso. A questo riguardo, giova ricordare i seguenti aspetti:
a) la futura direttiva si prefigge come scopo, l’armonizzazione delle norme comunitarie per quanto riguarda la gestione dei dissesti bancari con la doppia esigenza di evitare il ricorso ai salvataggi pubblici di cui siamo stati tutti testimoni e l’insorgere di fenomeni d’instabilità sistemica di cui alla fine, l’economia reale paga il più grande prezzo;
b) la futura direttiva si applicherà a tutti gli intermediari, a prescindere dalle loro dimensioni, dal loro modello di business e dal rischio al quale concretamente espongono il sistema nel suo insieme in caso di fallimento;
c) la futura direttiva introdurrà come innovazione assoluta nell’ordinamento italiano, lo strumento del bail-in – noto come conversione forzosa degli strumenti di debito emessi dalle banche in strumenti di capitale di rischio o, in alternativa, decurtazione forzosa del valore dei titoli di debito di una banca che versi in condizione di crisi – col fine di evitare il ricorso al salvataggio della stessa banca col denaro pubblico;
d) il disegno dello strumento del bail-in va letto unitamente alle norme appena varate della CRD IV/CRR (Basilea 3) sui requisiti di capitale e di liquidità per l’esercizio dell’attività bancaria, tenuto conto anche dei vincoli della MifiD/Mifir per quanto riguarda gli obblighi in capo agli emittenti di strumenti finanziari presso il pubblico dei risparmiatori. Ciò pone chiaramente il problema cruciale per il nostro sistema bancario di raccogliere a condizioni sostenibili per poter finanziare l’economia reale e gli investimenti di medio-lungo termine della piccola e media impresa italiana. Si tratta di un tema di grande rilevanza, anche in considerazione della ripresa dell’economia che tarda a manifestarsi;
nella scorsa legislatura, il Parlamento italiano tramite le Commissioni competenti, nel dare – nel dicembre 2012 – il proprio assenso agli indirizzi generali che si andavano maturando nel contesto più ampio del progetto di Unione Bancaria, individuò precisi orientamenti affinché il futuro regime di gestione delle crisi non pregiudicasse ulteriormente la capacità di quella parte sana dei sistema bancario di continuare a stare a fianco del sistema produttivo del paese, per lo sviluppo e la salvaguardia della coesione sociale –:
se il Governo non ritenga necessario assumere iniziative, in ambito nazionale, per:
a) incentivare concretamente e positivamente il finanziamento che le banche devono continuare ad erogare alla piccola e media impresa;
b) far sì che normative attese e anche doverose come la direttiva in discussione non appesantiscano ulteriormente le condizioni di raccolta delle banche, anche alla luce di vincoli posti da altre normative come la MifiD o la CRD IV/CRR;
c) tutelare le peculiarità virtuose del nostro sistema bancario in generale; ed in particolare, la rete delle piccole banche locali oggettivamente dimostratesi preziose per le nostre piccole e medie imprese nonché per le famiglie, come del resto richiesto dal Parlamento nella scorsa i legislatura;
d) far sì che, sul tema specifico del bail-in, si presti doverosa tutela comunque ai piccoli risparmiatori, anche oltre i livelli minimi previsti dalla garanzia sui depositi bancari, considerato che il bail-in introdurrà un meccanismo di salvataggio delle banche a carico degli investitori, è necessario che il piccolo risparmiatore non sia equiparato all’investitore istituzionale o comunque sofisticato.
(2-00059) «Brunetta, Pagano».
On. Pagano
Signor Presidente, signor sottosegretario, gentili colleghi, uno dei problemi più grossi dell’era presente e di quest’epoca che stiamo attraversando è la perdita della memoria storica. Non mi riferisco a fatti di cento anni fa o di venti anni fa, ancora peggio: fatti di soltanto due mesi, tre mesi prima vengono dimenticati. Per cui, io, in questo momento ho un pezzo di rassegna stampa del 27 marzo di testate nazionali, che vorrei evocare a mo’ di testimonianza rispetto al tema che è stato sollevato oggi, anche per far sì che si comprenda che il tema sollevato non è frutto di un caso, ma perché c’è un disegno, una programmazione, ahimé, ai nostri danni ed è bene che questo diventi oggetto di dibattito e di confronto.
Il 27 marzo ultimo scorso, in occasione del fallimento del primo accordo Unione europea-Cipro, ci fu un durissimo scontro tra Schäuble, il Ministro delle finanze tedesco, e il Primo ministro cipriota, Anastasiades: sostanzialmente, il primo si lamentava nei confronti del secondo per il mancato rispetto degli accordi, cioè il prelievo forzoso, che poi ovviamente fecero pagare in misura di gran lunga peggiore, con il secondo prelievo, che arrivò ai livelli che sono noti a tutti, cioè al 40 per cento.
Quel piano, quindi, fallì e ci fu una reazione forte di Schäuble, che sostanzialmente disse, cerco di sintitezzarlo al massimo: non sono però affatto preoccupato, perché c’è la BCE che è un buon paracadute, i nostri programmi saranno sostanzialmente tutti realizzati – tra un po’ spiegherò per bene che cosa intendeva Schäuble – e, quindi, possiamo – testualmente – occuparci dei nostri interessi nazionali. Sappiamo bene quali sono gli interessi del Ministro tedesco, che guardava soprattutto alle elezioni tedesche e, comunque, in generale ha un’insofferenza nei confronti dei Paesi periferici, percepiti come inaffidabili in maniera quasi irredimibile. Ovviamente, noi siamo tra questi.
Quello di Schäuble, comunque, non è un pensiero così, perché in verità, come voi sapete, i tempi e i ritmi vengono segnati dalla Germania: quindi, sostanzialmente, ci fu un cambiamento di rotta, segnalato poi nella famosissima intervista al Financial Times del Presidente dell’Eurogruppo, Dijsselbloem – anche se poi in parte fu smentita –, che sostanzialmente diceva questo: da questo momento in poi, ci dobbiamo scordare la ricapitalizzazione diretta delle banche. Scordiamoci la ricapitalizzazione diretta delle banche.
Le cose non sono evocate per caso, perché dobbiamo andare adesso in tandem con la nuova norma che è stata prevista e che è stata sdoganata, quella chiamata «bail-in», «paracadute», che è il principio secondo cui a pagare devono essere gli azionisti e gli obbligazionisti e che la strada dell’Unione europea a proposito dei due pilastri fondamentali che hanno sempre contraddistinto la libertà dei popoli in questa materia – e, in particolare, per l’Italia che ne ha fatto un elemento fondante sin dall’inizio della legge bancaria, dal 1926, e poi con le successive modifiche –, è quella che, alla base di tutto, ci deve essere un fondo di garanzia; e che, quindi, sostanzialmente, la garanzia nei confronti del cittadino, del risparmiatore, era fondamentale ed era garantita, appunto, da una capacità da parte dello Stato di intervenire e garantire gli stessi.
Tutto questo sembra che sia saltato. Il primo a rendersene conto in assoluto – ogni tanto, qualcosa la azzecca pure lui – è il Primo ministro francese, Hollande, che dice testualmente: è qualcosa di inaccettabile e sulla garanzia dei depositi bancari noi saremo assolutamente fermi, ci sarà un principio assoluto e irrevocabile per mantenere lo status quo. Speriamo che questo sia un elemento virtuoso che venga ad essere mantenuto, perché, ovviamente, noi abbiamo bisogno di alleati rispetto a certi strapoteri che si stanno realizzando.
Quindi, ho fatto questa premessa per spiegare concretamente che, ormai, mi sembra che ci sia una tendenza a cambiare le regole del gioco e, cioè che, nello specifico, le condizioni strutturali per le quali le banche raccolgono risorse nel medio e lungo periodo e, poi, la capacità di dare sostegno alle piccole e medie imprese potranno essere pregiudicate concretamente, perché, nel momento stesso in cui si dovesse verificare una difficoltà finanziaria, ovviamente, a pagare saranno gli azionisti, saranno gli obbligazionisti.
«Bail-in» innova sostanzialmente questo nell’ordinamento italiano: questo strumento, chiamato anche conversione forzosa degli strumenti del debito emessi dalle banche, che appunto verrebbero tramutati in strumenti di capitale di rischio, oppure, in alternativa, decurtazione forzosa del valore dei titoli di debito di una banca che versi in condizione di crisi, così da evitare il ricorso al salvataggio della stessa banca con denaro pubblico.
Ora, io capisco tutte le difficoltà che noi stiamo vivendo, però, dobbiamo immaginare i riflessi che tutto questo potrà realizzare. Il disegno dello strumento «bail-in», infatti, va letto, unitamente naturalmente in tandem con le norme di Basilea 3, come un momento in cui l’attività bancaria prenderà una deriva. Gli obblighi in capo agli emittenti degli strumenti finanziari presso il pubblico risparmiatore si invertiranno completamente rispetto a quella che è stata la situazione fino a oggi realizzata e, chiaramente, il problema cruciale per il nostro sistema bancario, a questo punto, sarà come raccogliere le risorse finanziarie.
Il nostro Parlamento, nel dicembre 2012, eravamo quasi a fine legislatura, proprio perché eravamo preoccupati, dettò degli indirizzi generali che andavano proprio all’interno di quello che ho appena detto, e cioè individuò precisi orientamenti affinché il futuro regime di gestione della crisi non pregiudicasse ulteriormente la capacità di quella parte sana del sistema bancario di continuare a stare a fianco del sistema produttivo del Paese per lo sviluppo e la salvaguardia della coesione sociale. Tradotto, ciò significa che dovevamo salvaguardare principalmente i nostri obbligazionisti e i nostri azionisti qualora si fossero presentate situazioni di criticità. Tutto questo non solo per salvaguardare azionisti e obbligazionisti ma per salvaguardare, poi, i beneficiari di questa raccolta di fondi che le banche ovviamente avrebbero riversato, come è nella mission degli istituti di credito, a favore delle piccole e medie imprese, concedendo crediti.
Quindi, vi è una situazione che oggi possiamo dire paradossale, dove ci sono le piccole e medie imprese che non ricevono finanziamenti da parte del sistema bancario; non apro parentesi perché ciò è noto, però mi sembra di poter dire che il fenomeno si accentuerà ancora di più qualora il bail-in si dovesse realizzare nella sua interezza.
Qualcuno dirà che questa è una direttiva europea, ma noi siamo qui anche per portare avanti le nostre idee e non a subire. Sappiamo che c’è un’ostilità nei confronti del modello Italia che è giudicato retrogrado rispetto ai grandi modelli del nord. Ci hanno spiegato che la grande industria era straordinaria e che la piccola impresa non valeva niente, peccato che lo dicessero perché erano invidiosi perché noi avevamo, e speriamo di mantenerla, una piccola e media impresa straordinaria, capace di reggere le grandi sfide mondiali con una capacità e una flessibilità fuori dal comune; questo ovviamente non andava bene ai grandi modelli economici centralisti e statalisti.
Ci hanno spiegato che le famiglie italiane erano un disastro e poi abbiamo scoperto che le famiglie italiane erano quelle meno indebitate, proprio con le carte di credito, rispetto alle famiglie dell’Europa del nord ed erano addirittura virtuose.
Questo fatto, apro una parentesi, fa impazzire alcuni popoli del nord che dominano in questo momento la scena economica; sapere che noi abbiamo 8 mila 500 miliardi di euro di attivo nelle nostre famiglie – che non sono frutto però di un caso, sono frutto dei sacrifici dei padri, sono frutto dei risparmi e della mentalità che ci trasciniamo da generazioni – e che gli altri, invece, sono esattamente al contrario, indebitati, evidentemente li fa stare male.
Tuttavia, al di là della boutade patriottica, mi consentirete, il dato concreto invece è un altro: noi dobbiamo intervenire in Europa per far sì che il nostro peso diventi e sia un altro.
Questo Governo di solidarietà nazionale ha un significato fondamentale; noi abbiamo dato forza ad un Esecutivo perché quando l’Esecutivo si presenta debole agli occhi di chi vuole spadroneggiare ovviamente ne subisce di tutti i colori; quando si ha la forza – forza che viene ovviamente dall’avere un Governo forte nei numeri oltre che nella capacità di immaginare un percorso – ovviamente i risultati sono diversi.
Signor sottosegretario, signor Ministro, quello che noi ci immaginiamo è che ovviamente si battano i pugni; capisco che fino al giorno 29 dobbiamo fare i bravi e i buoni perché ci sono le procedure in corso, ma dal giorno 30 questa interpellanza urgente – e su questo argomento non sarà l’unica – vuole dare una forza ulteriore all’Esecutivo per far sì che si vada a ridiscutere su tutto perché noi abbiamo il potere di veto e il potere contrattuale, ovviamente, deriva anche da una forza politica.
Quindi, concludendo con lo specifico tema del bail-in, perché poi è stato anche l’occasione per parlare di un tema di grande attualità, si deve prestare doverosa tutela ai piccoli risparmiatori. Questo è quello che si chiede – e concludo, signora Presidente, dai suoi occhi ho capito tutto – anche oltre i livelli minimi previsti dalla garanzia dei depositi bancari. In effetti poiché il bail-in introdurrà un meccanismo di salvataggio delle banche a carico degli investitori è necessario che il piccolo risparmiatore non sia equiparato all’investitore istituzionale o, comunque, sofisticato. Penso che questa sia una richiesta legittima che giustifichi, ovviamente, questa interpellanza urgente e ci aspettiamo naturalmente che il Governo sia consequenziale.
Sottosegretario di Stato per l’economia e le finanze, Alberto Giorgetti
Signor Presidente, l’interpellanza urgente dell’onorevole Brunetta n. 2-00059, nel richiamare i contenuti della proposta di direttiva in materia di gestione e risoluzione delle crisi bancarie, tra cui il meccanismo del bail-in, chiede al Governo di assumere idonee iniziative in Europa e in ambito nazionale affinché la citata direttiva non si traduca in un ostacolo all’attività di finanziamento del sistema produttivo.
Al riguardo, sentita la Banca d’Italia attraverso il Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio, si fa presente che con riferimento al meccanismo di bail-in, l’esperienza acquisita in questi ultimi anni ha messo in luce l’importanza per gli ordinamenti nazionali di dotarsi di strumenti che assicurino che le perdite derivanti dal dissesto di un intermediario bancario siano sopportate dai suoi creditori (oltre che dai suoi azionisti) senza il ricorso all’intervento pubblico. In questo senso, il bail-in è stato incluso fra gli strumenti di risoluzione indicati dal Financial Stability Board nelle proprie raccomandazioni, che sono stati approvate dai Paesi del G20 del novembre del 2011.
Infatti, il bail-in rappresenta un elemento centrale nella proposta di direttiva sul risanamento e la risoluzione delle crisi bancarie adottata dalla Commissione nel giugno del 2012, che prevede, in situazioni di instabilità sistemica, il potere delle autorità di disporre la svalutazione o la conversione in azioni delle passività, imponendo perdite agli azionisti e ad alcune categorie di creditori.
La direttiva è attualmente in discussione presso le competenti istituzioni europee. Nel contesto del negoziato in corso, il Governo italiano si è espresso favorevolmente nei confronti di un sistema armonizzato al bail-in in ambito europeo, al fine di ridurre l’incertezza per gli investitori, limitare i rischi legali per l’autorità, ed evitare effetti di spillover fra i diversi Stati membri, legati al possibile trattamento non uniforme dei creditori in Europa.
Tenuto conto delle implicazioni sui diritti dei creditori delle banche in difficoltà, la proposta di direttiva prevede che nell’attivazione dello strumento debba applicarsi il principio di proporzionalità. Tale principio verrà opportunamente graduato nel recepimento della direttiva nell’ordinamento nazionale.
Per quanto riguarda l’impatto del nuovo quadro normativo europeo sui costi di raccolta bancaria e sulla capacità di finanziare le piccole e medie imprese, la nuova disciplina europea dovrebbe essere applicabile a tutte le banche a prescindere dalla loro dimensione o dalla loro natura giuridica. Questo principio appare in linea con la previsione contenuta negli strumenti, secondo cui un efficace regime di risoluzione dovrebbe essere applicabile non solo alle istituzioni aventi rilevanza sistemica, ma a tutti gli enti il cui fallimento potrebbe rivelarsi critico.
La proposta di direttiva prevede, inoltre, che l’imposizione agli intermediari di speciali oneri regolamentari, debba essere giustificato dalla necessità di tutelare interessi pubblici (in particolare, la salvaguardia della stabilità finanziaria), sulla base del principio di proporzionalità. L’applicazione di tale principio assume particolare rilievo per la valutazione degli istituti disciplinati dalla direttiva, tenuto conto delle loro possibili implicazioni sui diritti dei creditori della banca in difficoltà e, conseguentemente, sul costo della raccolta.
Per quanto concerne, infine, le banche italiane di minori dimensioni operanti a livello locale, va precisato che nel passato – anche recente – le crisi di tali intermediari non hanno posto un significativo livello di rischio sistemico, essendo state risolte facendo ricorso agli strumenti ordinari previsti nel nostro ordinamento (l’amministrazione straordinaria, la liquidazione coatta amministrativa, l’intervento dei sistemi di garanzia dei depositanti). L’entrata in vigore della direttiva in materia di crisi bancarie e il suo recepimento nel nostro ordinamento non dovrebbe impedire di continuare a far ricorso alle modalità di risoluzione delle crisi, già impiegate con successo dalle competenti autorità italiane.
Rispetto alle sfide complessive indicate dall’onorevole Pagano, ovviamente il Governo è sensibile, e compatibilmente con un quadro di carattere internazionale che sappiamo essere particolarmente complicato, farà valere le proprie ragioni per la tutela dei giusti interessi nazionali.
On. Pagano
Signor Presidente, sono soddisfatto ma non avevo dubbi perché la competenza del sottosegretario è nota e la linea del Governo – ovviamente è facile da intuire – sarebbe stata la medesima. Però devo utilizzare questi pochi minuti per ricordare alcune cose, non tanto al Governo e ai pochi presenti, ma almeno sono cose che rimangono agli atti e ciò serve per fare cultura, per ragionare, per diffondere e per confrontarsi nelle proprie tesi.
Mi riferisco ad una intervista, signor sottosegretario, che è apparsa un po’ di mesi fa, da parte di Vladimir Bukovskij che, com’è noto, è il più grande dissidente sovietico, che adesso vive a Cambridge. Egli era in esilio già da prima del 1989 (chi ha memoria si ricorda il famoso scambio con il cileno di quell’epoca, dopodiché andò in esilio). Ebbene, Bukovskij dice delle cose molto interessanti che, secondo il mio modesto parere, vale la pena raccontare. Quindi, farò il lettore di un grande della storia contemporanea.
Dice l’intervistatore: è almeno dal 2000 che lei sostiene che l’Unione europea è copia conforme dell’Unione sovietica. Gli aspetti in comune da lei evidenziati partono dall’impalcatura stessa della nuova Europa, un’unione in Repubbliche dall’impianto socialista, rette da una manciata di persone non elette che fanno promesse tipicamente bolsceviche, uguaglianza, equità e giustizia – quella giustizia, quella equità, quella uguaglianza – e non riconoscono le Nazioni ma solo i cittadini di un popolo nuovo, con «europeo» al posto di «sovietico». A tanti anni di distanza, gli eventi mi pare che le stiano dando ragione.
Ha dimenticato la somiglianza – dice Bukovskij – nel modo di iniziare, come fu creata l’Unione sovietica ? Certo, con la forza militare, ma anche costringendo le Repubbliche a unirsi con la minaccia finanziaria, facendo loro paura economicamente. Quindi ci siamo, ma siamo ancora all’inizio della prima fase. La meta finale di tutte le unioni che si sono costruite fino ad ora non si esaurisce con la sottomissione al controllo di Bruxelles ma va oltre. Quello a cui si punta è l’edificazione di un unico Stato sotto un unico Governo mondiale, con un’unica legge e un’unica pensione e così via. Le crisi finanziarie servono a spingere in questa direzione.
È fortissima questa affermazione. Quindi – dice l’intervistatore – l’impoverimento generale dunque sarebbe voluto ? È il concetto stesso di unione – risponde Bukovskij – a togliere flessibilità all’economia. Un’unica economia rende impossibili i continui aggiustamenti necessari per favorire gli scambi, ed è vero è una logica assoluta. Non dimentichiamoci che anche l’Unione sovietica andò in bancarotta; certo, eravamo molto più avanti nella strada per l’integrazione verso un unico Stato, non solo monetaria ma anche di popolo, ma l’URSS a differenza dell’Europa aveva risorse enormi. Ogni tanto tiravano fuori una miniera di petrolio, di diamanti e di oro, e reggevano. E questo li ha fatti andare avanti, altrimenti sarebbero falliti non negli anni Ottanta, ma già alla fine degli anni Trenta, cioè dieci anni dopo – o quasi – la Rivoluzione bolscevica del 1917.
Ancora, un’altra domanda: ha detto che la crisi è solo alla prima fase, la seconda ? Con il tempo si passa alla sfiducia che può portare all’ostilità. Quella è la prossima fase e gli esempi abbondano: basti pensare alla ex Jugoslavia, all’ex Unione sovietica, Paesi costretti a convivere sotto lo stesso tetto, che sono cresciuti sotto una bandiera federale ma che poi, quando la pentola a pressione è scoppiata, sono andati via.
È per questo che stanno piano piano unificandosi anche le forze militari. Si tratta di una costruzione di uno Stato unico, unico Governo, unico Presidente, unica politica; le difficoltà economiche aiutano a ridurre la sovranità perché la gente è più disposta ad accettare ed obbedire. Usano l’economia per schiacciare lo Stato nazionale, a me pare che la usino per schiacciare la gente.
Dunque un progetto socialista. Non conosco personalmente gli eletti a Bruxelles, però mi sembra di leggere il libro di Lenin «Stato e Rivoluzione», che spiega come morirà lo Stato nazionale. Le sue parole ultime furono: appassirà fino a sparire.
Signor sottosegretario, signor Presidente, io penso che abbiamo il dovere di interrogarci se questa Unione europea è quella che i nostri padri costituenti hanno voluto. La Comunità europea era ben altra cosa. Nacque perché doveva realizzare la cooperazione fra Stati, nacque perché Schuman, Adenauer, De Gasperi realizzarono una capacità di cooperazione che era assolutamente propositiva.
Mi pare di avere colto in quegli anni, quelli che hanno segnato l’inizio della Comunità europea, una crescita economica e sociale straordinaria.
L’Unione europea, quella che nasce nel 1992, quella che nasce con gli accordi che poi hanno portato alla moneta europea, è ben altra cosa. Bisogna tenere la guardia alta ed evitare che succedano situazioni di questo genere: oggi abbiamo parlato di bail-in e della distruzione dei piccoli risparmiatori, ma già possiamo contare decine di esempi di questa Europa, che sa solo misurare la lunghezza del cetriolo attraverso logiche burocratiche e che, invece, non interviene realmente a favore della gente. L’intervista di Bukovskij sembra ci si voglia dire che qui il programma sia in autentica malafede. Vigilare in questo senso non è una cosa sbagliata.