KABOBO, IMMIGRAZIONE ED ESTINZIONE
KABOBO, IMMIGRAZIONE ED ESTINZIONE
Ho congegnato il mio recente articolo Strage Kabobo: follia Amok o sacrificio umano? in modo tale che suoni contraddittorio e assurdo, inaccettabile nelle conclusioni. L’ho fatto per suscitare e osservare reazioni e percorsi di pensiero. Alcuni lettori si sono indignati e mi hanno ingiunto di vergognarmi. Adesso espongo il mio pensiero in modo chiaro, qui di seguito.
Premessa: è un dato di fatto che, in compagnia dei giapponesi, i popoli bianchi, portatori di quanto resta della civiltà occidentale, da decenni si stanno costantemente riducendo sia in numero assoluto che in rapporto ai popoli colorati (chiamiamoli così per semplicità), che dilagano dappertutto, dal Nordamerica all’Europa, per non parlare dell’Asia e dell’Africa, grazie a tassi di natalità multipli dei bianchi. E’ matematico: ancora pochi decenni, e saremo una sparuta minoranza, anche in fatto di reddito e potenza. Saremo minoranza persino in molte nostre sedi storiche.
Nell’estinguersi, come razza e come cultura, vi è tristezza; ma estinguersi non è, in sé, un male, se potremo farlo serenamente, senza essere incalzati. E forse l’esistenza prosegue su altri mondi, in altre forme, in nuove dimensioni.
Mi viene da dire che la situazione sembra quasi intenzionalmente evolversi per indurci a distaccarci dalla Terra. Lo Zarathustra di Friedrich Nietzsche solennemente vi diceva: “Restate fedeli alla terra!” Io ora molto più terra terra vi annuncio: “Su questa Terra l’esperienza è agli sgoccioli.”
Andarsene appare un affare, se riflettiamo sullo stato, sulle tendenze e sulle prospettive della Terra: sovrappopolazione in costante aumento, equilibri ecologici spezzati, punto di non ritorno superato, risorse naturali in via di esaurimento, prevedibili guerre planetarie per contendersele, qualità della vita compromessa, diritti e garanzie civili, politici e sociali pure, affermazione di sistemi di poteri autoritari, tecnocratici, sfruttatori. Statisticamente, fanno meno figli le persone di più alto livello culturale e di superiore consapevolezza.
Per contro, i popoli colorati paiono contenti e vogliosi di moltiplicarsi su una Terra in questo stato, di dar fondo alle sue risorse per sviluppare le loro industrie senza riguardo all’ecosistema e senza pensiero per il domani (pensate ai cinesi, soprattutto). O forse lo fanno senza riflettere. Come noi fino a ieri. Guidati dagli stessi interessi capitalistici di pochi.
I popoli colorati vogliono questa Terra, e noi gliela lasciamo. Mi dispiace per chi ha bambini. E per i bambini. Ma potevano pensarci prima, i dati sono lì da molti anni, per tutti. Al punto in cui sono ora, però, è meglio che non ci pensino: il latte è versato, la qualità della vita residua la tutelano al meglio se si affidano a una fede anziché al realismo. Anche perché non è certo che qualche fede non funzioni. Conviene puntare sul soprannaturale, alla Kirkegaard.
Se non la pensate come me, se volete difendere la vostra nazione, la vostra civiltà, il futuro dei vostri figli, l’impostazione ovviamente cambia. Innanzitutto dovreste adottare un metodo razionale e controllabile di valutazione delle convenienze, dei costi e dei benefici di medio e lungo termine dell’immigrazione, di come massimizzare i benefici minimizzando i costi, in base agli strumenti di intervento disponibili.
Costi e benefici per interessi della collettività sono ovviamente differenti dai costi e benefici per gli interessi delle classi dominanti, che sono quelle che prendono le decisioni e che, tra l’altro, controllano quasi tutti i mezzi di informazione, nonché le scuole, quindi possono portare avanti i loro interessi creando etiche e ideologie opportune, sia per nobilitare le loro decisioni screditando moralmente gli scettici e spostando il dibattito sul piano filosofico in modo che non si guardi ai fatti e ai conti, sia per diffondere aspettative positive che creino consenso popolare a piani che, invece, produrranno effetti diversi, favorevoli per chi li decide, e imprevisti e indesiderati per la popolazione generale, come avvenuto per l’Euro, per la globalizzazione, per la Politica Agricola Comune. Queste lezioni insegnano che bisogna sempre tener presente che le decisioni di oggi possono avere, e di regola hanno, effetti imprevisti (ma prevedibili) nel futuro.
Valutare costi e benefici per la popolazione generale, per il sistema paese, richiede che prima si individui che cosa sono i costi e che cosa sono i benefici.
I costi sono quelli che il sistema paese sostiene per l’assistenza sanitaria (malattie, infortuni, etc.), l’assistenza sociale (compresi i sussidii per pagare le pigioni, l’accoglienza nei centri, i salvataggi in mare); poi vengono i costi scolastici; poi ci sono i costi giudiziari, carcerari e per i rimpatri (il tasso di criminalità tra gli immigrati extracomunitari è circa 9 volte quello degli italiani), cui si aggiungono i danni da delitti e i danni per l’ordine pubblico e la sicurezza, nonché i costi per le malattie esotiche e non, che gli immigranti importano (ad es., è ritornata una serie di malattie che erano debellate, tra cui la stessa lebbra); va anche considerato il danno finanziario causato dalle rimesse degli immigrati, ossia dai soldi che spediscono all’estero, togliendo così liquidità alla già scarsa liquidità disponibile nel paese, oltretutto usando intermediari esteri, come Western Union, che non lasciano i loro profitti in Italia.
Poi c’è la questione se gli immigrati tolgano lavoro agli italiani, o deprimano il loro trattamento, offrendosi di lavorare a salari ribassati e condizioni più gravose, cioè facendo loro concorrenza. O se invece siano utili in quanto fanno lavori che gli italiani non vogliono più fare. Non so rispondere con sicurezza a tali questioni, ma certamente la mano d’opera a basso costo e spesso in nero serve, nel bene e nel male, a mantenere in vita molte imprese altrimenti fuori mercato, dati il loro basso livello tecnologico, il pessimo contesto infrastrutturale italiano, il peso del fisco, della previdenza, della pubblica amministrazione.
Come beneficio, si dice che gli immigrati siano indispensabili per pagare, coi loro contributi pensionistici e assistenziali, le pensioni e l’assistenza per gli italiani, dato che la popolazione italiana sta invecchiando.
Ciò è sicuramente falso, anzi è vero il contrario.
Innanzitutto, solo una minoranza degli immigrati versa contributi, perché molti lavorano in nero, molti non lavorano (donne e fanciulli), e quelli che lavorano in chiaro mediamente costano più di quanto versano.
Infatti, colf e badanti, che costituiscono la categoria più numerosa, versano assieme al datore di lavoro non una quota pari a circa 1/3 del salario (come gli altri lavoratori), bensì un contributo fisso di € 1,03 l’ora, di cui 73 cent. a carico del datore di lavoro, e 30 a carico loro. Quindi, se lavorano 170 ore al mese, versano € 175,10 al mese, circa € 2.000 l’anno – somma molto inferiore ai costi per assistenza medica e sovvenzioni, anche senza calcolare possibili maternità e ricoveri ospedalieri, e senza contare il debito pensionistico che lo Stato italiano contrae con questi lavoratori stranieri. E’ una gestione assolutamente passiva, anche senza contare che mandano buona parte dei loro guadagni in patria, togliendo quel denaro dalla liquidità disponibile in Italia. Ne consegue che, dei loro versamenti, non rimane nulla per pagare le pensioni agli italiani, o la loro sanità, o la cassa previdenza… anzi, bisogna mettercene!
Sarebbe più razionale predisporre norme speciali per incoraggiare l’assunzione, come colf e badanti, di persone italiane, in modo che non si debba pagare loro sussidii di disoccupazione e che i loro salari restino in Italia. Oppure retribuire l’assistenza degli infermi da parte dei familiari. Certo, singole aziende che risparmiano grazie alla mano d’opera africana a basso costo o a nero, realizzano un profitto, perché scaricano sulla società, sulla fiscalità generale, i costi assistenziali, scolastici, criminali etc. dell’importazione di questi lavoratori. Ma, se conteggiamo anche questi costi, il sistema paese ci perde.
In conclusione, occorre fare rilevamenti sistematici di tutti questi costi e benefici, elaborare una loro contabilità trasparente, e poi valutare in termini oggettivi e razionali, rifiutando lo scontro sul piano ideologico. Ma, se devo valutare in base a quanto mi consta, direi che l’attuale immigrazione sia complessivamente nociva per il sistema paese.
Ovviamente, oltre agli aspetti economico-finanziar,i vanno valutati altri aspetti, come quello dell’arricchimento culturale e di risorse apportato dall’immigrazione e dal multiculturalismo.
Nella storia, le migrazioni e gli scambi tra popoli sono spesso – non sempre – stati un fattore prezioso di sviluppo culturale oltre che commerciale. L’immigrazione che attualmente l’Italia riceve, però, mi pare che, nel complesso, apporti poco o nulla di utile in questo senso, e molto di nocivo. Si tratta, perlopiù, di persone di bassa o nulla qualificazione culturale e professionale, di basso o nullo senso civico, provenienti spesso da aree dominate da mentalità molto retrive, a livello di nostro medioevo, e dove, per vari fattori, la gente apprende, per la sopravvivenza, schemi comportamentali molto problematici per noi: l’uso della violenza, delle armi, il ricorso al furto e ad altri reati, la brutalità, la sottomissione a capi violenti, l’organizzazione in bande tribali. In una condizione di depressione economica e di decadenza politica come quella in cui ci troviamo e a lungo resteremo, con diffusa disoccupazione e necessità di tagliare il welfare, questi fattori inevitabilmente si fanno sentire.
L’integrazione, nei fatti, è risultata un’illusione, come oramai si tende ad ammettere anche ufficialmente. Soprattutto si è rivelato irrealistico il principio, applicato in Francia, dello jus soli, cioè del francesizzare mediante norme di legge chi storicamente francese non è. Complessivamente, nei paesi occidentali di oggi, l’integrazione non si è realizzata e non si realizza. Al contrario, i vari gruppi etnici immigrati perlopiù formano comunità più o meno chiuse che sovente coltivano pratiche contrarie alle leggi e ai valori del paese ospitante, fino ad organizzare scontri estesi: si pensi a cinesi, indiani, africani, islamici. La cosa è del resto comprensibile: l’immigrato che viene da una cultura molto diversa si integra, si assimila, fa propri lingua, costumi, norme, valori del paese in cui si è stabilito, se vi si stabilisce da solo, cioè se si immerge tra i suoi abitanti. Per contro, se entra come membro di una comunità di connazionali che lavorano, si sposano etc. fra di loro, non si integrerà. Si adatterà quanto gli serve per farsi accettare e assistere, opportunisticamente, superficialmente e provvisoriamente.
D’altronde, l’esperienza degli Stati multietnici e multiculturali non è positiva, perché questi non funzionano bene e tendono perlopiù a disgregarsi in modi più o meno violenti: URSS, Yugoslavia, Libano, Ceco-Slovacchia, Sudan, Belgio. Vi sono tensioni separatiste soffocate con la forza (kurdi di Iraq e Turchia, Cecenia, Ossezia, Inguscezia, Dagestan ) e gestite con la politica (Québec, Catalogna, Euskadi, Scozia, Ulster). L’India è multietnica e multiculturale, ma complessivamente è coesa, credo grazie alla condivisione di un retaggio religioso includente, multimillenario e profondamente radicato. Così pure la Svizzera, unita dalla religione bancaria. L’Italia, cioè lo Stato unitario risorgimentale, è nata come insieme di popoli diversi e non ben coordinabili – cosa che Cavour aveva previsto e cercato di prevenire, dapprima stabilendo, nel Trattato di Plombières, che l’unificazione si fermasse al centro; e poi, dopo l’annessione del Sud, che si facessero parlamenti separati. Cavour non fu ascoltato e l’Italia di oggi funziona male, come sistema paese, proprio a causa delle troppo divergenti mentalità e prassi dei suoi diversi popoli, e dalla conseguente anomia (sfiducia nelle norme e nelle istituzioni, classe politica degenere). Il divario Nord-Sud aumenta sempre più. I fattori unificanti sono deteriori: la penetrazione mafiosa del Nord, la burocrazia ministeriale romana.
Molto meglio funzionano per contro i paesi le cui popolazioni condividono valori, codici morali, concezioni delle norme, senso della nazione.
L’effetto dell’immigrazione sull’Italia, dal punto di vista civico, è nocivo, destabilizzante, peggiorante il già basso livello di legalità e funzionalità.
La valutazione complessiva dell’immigrazione che abbiamo avuto e stiamo avendo è quindi senza alcun dubbio negativa per gli interessi collettivi.
Quali interessi, allora, la stanno portando avanti, fino a mettere nel posto di ministro una immigrata congolese che, nonostante il giuramento di fedeltà che ha prestato, aizza gli immigrati, clandestini e no, contro le ingiuste leggi italiane, e difende gli interessi loro con più slancio di quelli dello Stato che dovrebbe rappresentare?
Abbiamo già visto gli interessi delle aziende che lucrano grazie ai lavoratori extracomunitari che vengono pagati meno o assunti a nero.
Vi sono poi gli interessi della criminalità organizzata, italiana o albanese o rumena o russa o serva o senegalese o altro, che fa venire o recluta immigrati per farne manovalanza, spacciatori, prostitute.
Vi sono inoltre gli interessi di una galassia di associazioni ed enti di assistenza, laici e religiosi, che realizzano profitti sulle sovvenzioni.
Vi è inoltre il vantaggio politico, ossia il fatto che l’apporto di criminalità immigrata sul territorio, in molte zone, sempre più ampie e numerose, tiene i cittadini nella paura, gli fa perdere la sicurezza degli spazi in cui vivono, li fa stare chiusi in casa, quindi deprime la cittadinanza attiva, la partecipazione e il controllo sull’attività della politica e della burocrazia. Rende la gente più passiva e remissiva. Disgrega il tessuto di solidarietà sociale. Crea consenso o accettazione a un controllo di polizia più penetrante. Pensiamo al caso di Kabobo, che se ne andò in giro per un’ora e mezza senza che nessuno chiamasse le forze dell’ordine. A questo contribuisce anche il fatto che i cittadini vedono l’extracomunitario che, non di rado con aggressività, ottiene precedenze al pronto soccorso, nelle graduatorie per gli alloggi popolari o per le scuole d’infanzia, oltre a sussidii che vengono negati agli italiani bisognosi, anziani, dosccupatio, malati. I cittadini così si abituano a pensare, a sentire, di non avere diritti da vantare verso il potere costituito e davanti ai giudici, nemmeno quello di essere fisicamente difesi. Si abituano a piegarsi e a subire. E questo è molto utile alla partitocrazia, che si regge sul loro sfruttamento a oltranza con molti mezzi formalmente illeciti.
Che cosa dovreste fare, quindi, qualora vogliate difenderel’esistenza della nazione?
1)Porsi rispetto a Schengen come il Regno Unito e l’Irlanda – cioè fuori – in modo da poter controllare e filtrare gli ingressi.
2)Eseguire un’analisi e un piano razionali, e regolamentare l’immigrazione sul modello dell’Australia o del Canada, lasciando entrare solo persone utili (per capacità o investimenti), che non costituiranno un peso per il welfare, non portatrici di malattie trasmissibili o invalidanti, senza precedenti penali, anagraficamente ben identificate.
3)Non concedere lo jus soli, in modo da poter sempre espellere coloro che vanno espulsi.
4)Individuare con opportuni controlli anche satellitari e alle frontiere terrestri, portuali e aeroportuali gli immigranti clandestini, e respingerli senza lasciarli entrare; le affermazioni che non sia materialmente possibile sono tutte balle; attualmente il grosso dei clandestini entra via terra perché non si fanno i controlli – l’ho accertato personalmente.
5)Non rinnovare i visti a coloro che non corrispondono ai criteri di cui al punto 1, ed espellerli effettivamente.
6)Togliere sovvenzioni ed agevolazioni fiscali ai soggetti che facilitano l’immigrazione e la permanenza illegittime.
7)Postergare gli extracomunitari ai cittadini comunitari nelle graduatorie per case, scuole, sanità.
8)Contingentare gli asili politici concedibili annualmente e in totale, applicando filtri stretti.
9)Confermare la d.ssa Kyenge al suo ministero, perché coi suoi discorsi stimola la produzione di anticorpi nella popolazione.
Ma tutto questo, ripeto, solo se non si condivide la mia veduta complessiva del problema, se si vuole andare contro la storia e aggrapparsi materialisticamente a un territorio.
11.06.13 Marco Della Luna