IL SOVRANO E IL PRESIDENTE
IL SOVRANO E IL PRESIDENTE
Perché il Colle non è Italia
L’operato degli ultimi presidenti manifesta che il presidente della repubblica non è un’istituzione italiana, è un organo dell’ordinamento sovranazionale preposto ad assicurare l’obbedienza dei governi italiani agli interessi stranieri egemoni, cioè al vero sovrano. Bisognerebbe rivolgersi a lui come a uno straniero.
I leaders dei partiti vincitori delle elezioni, rappresentanti della maggioranza assoluta dei votanti, vogliono dar vita al governo, ma si trovano di fronte, a mettergli i paletti sul cammino e i bastoni nelle ruote, un presidente che viene dal partito avversario e sconfitto – un presidente scelto anni fa dal leader di quel partito non certo per agevolare i suoi avversari, ed eletto grazie al premio di maggioranza incostituzionale della precedente legge elettorale, premio giudicato incostituzionale dallo stesso attuale presidente, quando era giudice costituzionale. Questi, poi, applicando una logica quantistica (cioè quella affrancata dal principio di non contraddizione), ha appunto accettato di essere eletto presidente su quel presupposto illegittimo. Illegittimo ma sanato, poiché la corte costituzionale aveva stabilito che quella legge elettorale era sì illegittima, ma i suoi effetti restavano legittimi, compreso il premio di maggioranza – ulteriore lezione di logica quantistica – che poi ha veicolato al colle supremo un membro di essa corte.
Conseguentemente, ora abbiamo questa curiosa situazione, grottescamente anti-democratica, in cui i rappresentanti della maggioranza del popolo “sovrano” devono subire volere contrario del presidente scelto dalla controparte politica, nominato da una maggioranza illegittima e non più esistente, il quale si riserva di approvare, se non anche di designare (con operazioni a porte chiuse e su cui intervengono cancellerie straniere contrarie a una politica indipendente dell’Italia), il capo del governo, i ministri, le stesse linee politiche di fondo, imponendo in particolare l’adesione del progetto europeista e alle regole già prescritte dall’eurocrazia – ossia, compiendo una scelta politica autoritaria al fine di vincolare la maggioranza e il governo, contro la maggioranza parlamentare e del Paese, che ha una posizione critica nei confronti di quel progetto e di quelle regole eurocratiche, che vuole rinegoziarle a fondo, alla luce dei loro accertati effetti sfavorevoli soprattutto sull’Italia. Una posizione di priorità per la sovranità popolare rispetto a un’eurocrazia non eletta e non democraticamente responsabile, in cui un solo paese, il paese egemone, ha il potere di iniziativa, e di fatto lo esercita innanzitutto in favore della grande finanza e, secondariamente, per i suoi cittadini. Una volontà che il sovrano straniero non accetta e che contrasta attraverso il Colle – il quale, per l’appunto, non è Italia.
Conseguentemente, il presidente ha ammonito i rappresentati della maggioranza sovranista degli italiani: sbagliate ad essere euroscettici, dovete smetterla. Egli ha parlato dell’Unione Europea, di come questa era partita fattiva e ispiratrice di speranze, di come si è ridotta in quanto a slancio, progetti, consensi, obiettivi, a un regime finanziario disattenta alla sfera sociale e morale. Ha detto che bisogna rilanciare l’Unione Europea perché solo unendoci possiamo superare le sfide del presente e del futuro. Ha evocato il demos europeo, che però non esiste perché non vi è unità di mentalità, di interessi, di òikos, di polis: per fare un demos non basta l’imposizione, per altro mezzo fallita, di una burocrazia, di un pensiero unico fatto di clichés propagandistici puerili e smentiti continuamente dall’evidenza.
E se l’Unione Europea si è consegnata alla finanza ed è divenuta una centrale di controllo bancario sulle nazioni, di concentrazione del reddito e del potere nelle mani di un’élite finanziaria parassitaria e antisociale, che toglie diritti, lavoro, reddito e sicurezza alla gente, ciò avviene non a cagione di un errore correggibile, bensì per ragioni di interessi e di rapporti di forza reali, per il tornaconto di una classe finanziaria globale detentrice del vero potere, contro il quale non vi è ragione o ideale o ‘dover essere’ che tenga. Quella classe voleva riformare la società e il diritto a proprio vantaggio, e sin dall’inizio questo era il suo piano, il piano che i presidenti italiani devono assecondare.
Così, in quanto all’Unione che – a detta del presidente – dovrebbe consentirci di superare le difficoltà epocali, quello che succede nella realtà è che l’establishment del paese più forte, cioè della Germania, spalleggiato da qualche complice come la Francia, che riceve benefici, scarica i suoi costi del superamento delle difficoltà sui paesi più deboli. Quindi l’Unione consente sì di affrontare le sfide, ma nel senso che consente al più forte di superarle prendendo le risorse del più debole attraverso governanti collaborazionisti. Certo, sarebbe bello essere uniti e solidali per affrontare le difficoltà, ma le cose non vanno a questo modo, siccome il più forte sempre tende ad approfittare del più debole, e al più debole conviene affrontare le difficoltà da solo: è il minore dei mali.
E’ così che funziona il mondo reale da quando esiste, ogni presidente lo sa perfettamente, ma deve fingere. L’inesistente mondo della solidarietà nei rapporti internazionali e dell’unione che fa la forza è solo una dissimulazione del fatto che gli alti interventi dei presidenti sono atti di obbedienza a interessi di potenze straniere dominanti, come quando uno di essi, violando la costituzione, ci mandò in guerra contro la Libia e a nostro danno, al servizio di interessi soprattutto francesi; o come quando ci impose Monti e le sue politiche a beneficio dei banchieri speculatori franco-tedeschi. Anche la Fornero, madre di una legge infame, per la cui abrogazione ha votato la maggioranza degli italiani, si è arrogata di avvertire la Salvini e di Maio che si possono scordare di abrogarla, riferendosi a un superiore potere al di fuori dei nostri confini.
Da diversi anni vado spiegando (v. Presidente Travicello, dell’11.11.15) che la funzione reale del presidente, nell’ordinamento costituzionale e internazionale reale – ripeto: reale –, è quella di assicurare alle potenze dominanti sull’Italia, paese sconfitto e sottomesso, l’obbedienza del governo e delle istituzioni elettive.
Affinché possa svolgere cotale ruolo, il presidente, nella struttura costituzionale, è posto al riparo della realtà e delle responsabilità politiche, analogamente a come, nelle monarchie, il re è protetto da esse, perché egli è la fonte ultima di legittimazione del potere costituito e degli interessi che esso serve. Solo che nelle vere monarchie il re era protetto nell’interesse del suo paese, mentre nel protettorato Italia il presidente è protetto nell’interesse del sovrano straniero.
Invero, nelle monarchie contemporanee e in molte monarchie passate il re non governa (direttamente), ma nomina un primo ministro, il quale forma il suo gabinetto, e con esso governa, si prende le responsabilità politiche, si espone al confronto con la realtà, con gli insuccessi, col malcontento popolare; e può quindi venir licenziato, sfiduciato, cacciato, anche con biasimo, senza che sia intaccata la figura del monarca. La faccia della corona è sempre salva. Esistono persino norme che puniscono penalmente chi attribuisca al monarca la responsabilità politica di atti del governo. Ciò sebbene il monarca sovente scelga il primo ministro e indirizzi l’azione del governo mediante vari strumenti, a cominciare dai discorsi pubblici, dalla moral suasion, e passando attraverso i servizi segreti e la sua partecipazione al sistema bancario centrale.
Nell’ordinamento repubblicano italiano vi sono residui più o meno forti di questa dualità dello e nello stato, tra istituzioni e poteri protetti, e istituzioni e poteri logorabili. Le istituzioni protette sono principalmente, il Capo dello Stato, i magistrati, il sistema bancario; non più il parlamento (che è composto perlopiù da nominati delle segreterie partitiche, privi di reale e autonomo potere, aventi funzione sostanzialmente di ratificatori e di figuranti). Capo dello Stato e potere giudiziario sono detti “poteri neutri”, anche se palesemente non sono neutri né neutrali. Le istituzioni esposte al logorio, al biasimo, alle responsabilità, all’insuccesso, alla verifica dell’efficacia/inefficacia del loro operato, sono invece quelle politiche: il parlamento e, soprattutto, il governo. Si osservi che ieri il tribunale di sorveglianza ha riabilitato Berlusconi con un mese di anticipo sulla tabella, così che adesso Silvio può rientrare in parlamento e scompigliare i giochi. Qualche notista ha visto in questa anticipazione un ulteriore intervento politico di un potere protetto e falsamente neutro – quello giudiziario – per boicottare un governo Lega-M5S pericoloso per gli interessi “europei” sull’Italia.
Il Presidente della Repubblica, Capo dello Stato, nell’ordinamento italiano ha ed esercita poteri anche di indirizzo governativo e legislativo, ma non è esposto a logorio, a delegittimazione, a biasimo, al perdere la faccia, anche quando interviene su chi è esposto.
Il presidente non ha mai torto, è sempre saggio. Tutti elogiano le sue affermazioni, manifestando ammirazione e consenso per esse, anche quando sono banali o faziose o false. Chi si oppone e le critica, appare come un estremista. Il presidente non ha un passato rimproverabile, o lo ha ma non se ne deve parlare. I mass media lo rispettano. E’ un potere palesemente temuto, dotato di efficaci e poco regolamentati strumenti per delegittimare e mettere in crisi l’azione sia dei poteri politici che degli organi giudiziari. Strumenti che agiscono sottobanco, senza trasparenza. Strumenti per sostenere o attaccare e per bloccare attacchi e indagini. Dispone di un numeroso personale (oltre 800 persone) e di molto denaro, che può usare senza specificare per che cosa. Tutti, quindi, si guardano dal criticare il Presidente della Repubblica. Al più si può fingere che le sue parole abbiano significati e implicazioni che non hanno, per tirare la sua autorevolezza dalla propria parte, o per fare apparire le sue esternazioni come meno critiche di quello che in realtà intendono essere.
Quella che precede non è, chiaramente, una critica dei presidenti: il loro operato non è libero, ma è conseguenza della posizione subordinata e servile che l’Italia ha e ha sempre avuto, sin dalla sua creazione come stato unitario. Una posizione dalla quale ha ripetutamente e invano tentato di uscire, per elevarsi alla parità con le altre potenze, dapprima mediante le conquiste coloniali, poi mediante la partecipazione alla I Guerra Mondiale, indi alla II Guerra Mondiale. La capitolazione del 1943 la ha ridotta a un livello ancora più subordinato di quello che aveva prima. I successivi tentativi di praticare politiche di interesse nazionale, anche in settori limitati, sono stati stroncati in vario modo: si pensi a Mattei, a Moro, a Craxi, per finire col colpo di stato del 2011.
Posto che un giorno l’Italia, o parte di essa, si liberi dall’egemonia straniera, e che voglia e possa fare qualche riforma in senso democratico, per porre fine alle interferenze sottobanco di poteri non delimitati sulle scelte degli elettori mediante, quel giorno l’istituto del presidente della repubblica andrà sostanzialmente modificato: o ne si fa un capo politico, politicamente responsabile e criticabile, eletto dal popolo – cioè si fa una repubblica presidenziale o semi-presidenziale –; oppure ne si fa un notaio senza poteri politici, ma allora occorre un sistema elettorale che formi direttamente la maggioranza di governo attraverso un ballottaggio per assegnare il premio di maggioranza, e che elegga pure direttamente il primo ministro attraverso il suo abbinamento alla lista; questo primo ministro sarà un cancelliere, con facoltà di nominare e revocare i ministri e di dettare l’indirizzo di governo. Potrebbe anche avere il potere di sciogliere la camera. In ambo i casi, come contrappeso al premio di maggioranza, sarebbe necessaria anche una riforma del bicameralismo, nel senso che sia eletta come sopra una sola camera, avente la funzione di votare la fiducia e le leggi ordinarie; mentre la seconda camera, avente le funzioni di nominare le cariche di garanzia e di votare le leggi costituzionali, elettorali e sulla cittadinanza, sia eletta con metodo proporzionale puro (così da rappresentare le effettive preferenze dell’elettorato) e non possa essere sciolta prima della scadenza naturale.
12.05.18 Marco Della Luna