LA RELATIVA INEVITABILITÀ DEL MALE
LA RELATIVA INEVITABILITÀ DEL MALE
E LA PIENEZZA DELL’ESSERE
(Scritto per il primo numero di Perennitas)
Soprattutto a seguito dell’Illuminismo, le genti, educate e incoraggiate a ciò dalla famiglia, dalla scuola, dai media e da quasi ogni altra istituzione sociale, tendono a pensare, a presupporre, che il popolo (il suo benessere, la sua tutela, la legalità, i valori) sia il fine dell’ordinamento sociale, politico, giuridico – sino al punto di convincersi che il popolo sia anche il suo artefice, il contraente attivo del patto sociale e il detentore della sovranità, e che la democrazia esista. Quindi si meravigliano e scandalizzano quando si accorgono di ingiustizie e inefficienze palesi e facilmente rimediabili a danno della collettività, che i manovratori delle istituzioni e della politica però lasciano continuare.
Recentemente, però, le continue, brutali e spesso perniciose imposizioni fatte dall’alto, da élites che decidono a porte chiuse senza riguardo per le genti, mostrando ormai apertamente il volto demoniaco del potere, stanno aprendo gli occhi a molti, e molti si accorgono che l’analisi obiettiva della situazione e delle sue tendenze evolutive inquadrano scenari angoscianti per il futuro imminente – altro che gli orizzonti di illimitato progresso promessi dalle sirene illuministiche e dalle loro massoniche figliolanze: le loro promesse sono state di fatto il portale ideologico che ha portato versoi predetti scenari.
Al contempo, si va risvegliando l’interesse per lo studio e la rievocazione in essere di sistemi comunitari tradizionali, animati da uno spirito organico, finalisticamente inclusivo e non strumentalizzante e mercantile. Vedremo come cotali sistemi non si possano richiamare in essere riavvolgendo meccanicamente la storia, ma richiedano profonde alchimie della realtà e l’emersione ad altra coscienza. E’ a questa impresa che ci spingono, con sempre più forza, gli orrori che crescono nel mondo intorno a noi.
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Per capire come funzionano le mercificanti e mercificate società post-tradizionali, basate sui valori di scambio e del capitale, si trasformano con le loro strutture politico-giuridiche nella realtà, vi sono due principi da tener presenti – e se li si tiene presenti, appariranno ovvie e inevitabili molte ‘anomalie’ politiche e amministrative, che altrimenti imprigionano la mente nello sconcerto e nel senso di ingiustizia onnipervadente:
1) Ogni società di questo tipo è gestita da una ristretta oligarchia detentrice di potere, ricchezza, competenza, che tende a prevenire la propria sostituzione e a rendere fisso il proprio dominio; e quando una classe dominante perde il potere, un’altra la sostituisce;
2)Dal punto di vista di ogni siffatta oligarchia, la popolazione è un mezzo, non un fine – è uno strumento da controllare e sfruttare, fino a mercificarla pienamente, ma anche modificare e dimensionare, in base all’evoluzione delle tecniche e delle circostanze; per esercitare questo dominio, si serve di categorie professionali intermedie, fidelizzate mediante la concessione di piccole quote dei privilegi dell’oligarchia, inclusa la facoltà di violare le leggi (questo è il tema del mio saggio Le chiavi del potere, che uscirà in Maggio
nella sua terza edizione-1).
Il fatto che tutte queste società hanno nella storia una struttura oligarchica, con una classe ristretta che controlla e sfrutta entro un rapporto strumentale, con logica essenzialmente aziendale, il resto della popolazione, da un lato conferma che la contrapposizione di classe alto-basso costituisce la struttura fondamentale e insuperabile della società – trascendente, vorrei dire; dall’altro, dimostra che la lotta di classe è, per i suoi fini dichiarati, inevitabilmente improduttiva, perché non cambia (ma riproduce esattamente) quella struttura oligarchica della società, che essa professa di voler abbattere per dare il potere al popolo. La lotta di classe, rivoluzionaria, contro l’ordinamento capitalista è una ruota per criceti, che gira su sé stessa e non si sposta mai dal punto di partenza. Al più, in passato (cioè prima che si costituisse la fortissima oligarchia finanziaria transnazionale), riusciva a sostituire una classe con un’altra nel ruolo dominante.
Le innovazioni importanti, le strategie di lungo termine, le grandi operazioni di ingegneria sociale, sono deliberate a porte chiuse dall’oligarchia, in isolamento tecnoburocratico, indi calate sulla popolazione generale sotto il manto di nobili scopi di interesse comune, ma senza che ne sia rivelata la natura, gli effetti e gli obiettivi ultimi. Così è avvenuto, ad esempio, con il processo di integrazione europea, con le cessioni di sovranità, con l’Euro, con le riforme della banca centrale e del sistema bancario.
Mentre in epoche passate, e nei paesi culturalmente tuttora nel passato (come quelli islamici) si ricorre alla mobilitazione ideologica delle masse per fare i rivolgimenti (vedi primavere islamiche), nel vigente sistema di potere liberale e democratico il dibattito politico pubblico è permesso, o perlomeno può aver luogo, solo dopo che tali riforme abbiano raggiunto gli obiettivi per i quali sono state introdotte, in modo che il dibattito pubblico e la politica popolare, la ‘democrazia’, non possa impedire il raggiungimento di tali effetti. Cioè i problemi vengono posti all’opinione pubblica dai mass media e divengono oggetto di dibattito ed eventualmente di lotta politica (popolare) solo quando
oramai il gioco è fatto e la lotta politica è innocua, inutile. Le poche volte che la volontà popolare si è attivata per tempo dicendo no a qualche riforma calata dall’altro, come nei referendum per l’integrazione europea, i popoli sono stati fatti rivotare fino ad approvarla. Anche per la Brexit si spinge in tal senso, seppur in modo contrastato, perché su di essa l’élite britannica è divisa.
La politica popolare, di regola, viene in tal modo attivata sui problemi quando questi sono ormai superati. Viene attivata in modo fittizio per dare sfogo. Lotta per chiudere le porte della stalla dopo che i buoi sono stati rubati. Così il dibattito e la lotta politica sulla sovranità e sull’Euro sono stati avviati solo dopo che la sovranità era oramai stata perduta e che l’Euro aveva prodotto i suoi effetti (devastanti per alcuni paesi, e vantaggiosi per i paesi dominanti), sebbene già negli anni ’60, ’70, ’80 e ’90 negli ambienti tecnici si prevedessero benissimo, dato che economisti di vaglia avvertivano che il blocco dei cambi
tra le monete europee avrebbe prodotto i risultati che poi ha prodotto. Fino al 2008 l’informazione popolare, la discussione politica, l’opinione pubblica italiana erano in massa per l’Euro e per l’integrazione europea, e informazione sui suoi previsti effetti veniva tenuta nascosta al pubblico. Le battaglie populiste-sovraniste contro l’Euro, minacciando di uscirne, si fanno solo adesso che uscirne è praticamente impossibile, come è impossibile per un pesce uscire dalla nassa – infatti chi prospettava di uscirne ha ritirato
tale progetto. La popolazione generale, del resto, essendo incompetente e attenta solo all’immediato, non prevede gli effetti delle riforme tecniche, e si accorge di essi soltanto dopo che si sono prodotti, quando li sente sulla propria pelle. Ma anche allora fatica a capirne le cause. Le informazioni sono disponibili, a chi le cerca, ma pochi lo fanno, e soprattutto non avviene il coordinamento, la mobilitazione di massa, se i partiti politici non la organizzano e se, prima ancora, i mass media non mandano alla mente della gente la narrazione che il problema esiste, che è grave, che bisogna mobilitarsi. Ma lo fanno solo a giochi fatti. Lo si è visto ultimamente nella vicenda dell’opposizione ai vaccini obbligatori, in cui il problema era reale, decine di migliaia di persone manifestavano, ma i mass media e i partiti politici non rimandavano alla mente della gente questa realtà. Lo si vede ancora oggi, con le analisi di laboratorio che mostrano come nei preparati vaccinali in realtà non vi sono le sostanze immunizzanti ma vi sono molte sostanze tossiche e contaminanti (i vaccini in sé sono una cosa utile, se fatti bene; i preparati industriali imposti ai bambini sembrano falsi vaccini, inefficaci e nocivi). Dato che tali preparati vengono iniettati molte
volte in milioni di bambini, questo tema dovrebbe essere oggetto di pubblica informazione e di dibattito politico, ma politica e media lo tengono nel silenzio, perché questa operazione di bioingegneria sociale è ancora in corso e non deve essere intralciata.
Qualcosa di analogo avviene con i programmi di manipolazione climatica.
In conformità a quanto sopra spiegato, attualmente non sono oggetto di dibattito politico pubblico, né di copertura mediatica, ma piuttosto di silenziamento o discreditamento e negazionismo beffardo, le informazioni circa principali innovazioni a cui l’oligarchia sta lavorando oggi, e che avranno presto un drammatico impatto sulla vita della popolazione, ossia il controllo sociale e individuale mediante le reti elettroniche e mediante la biocrazia, cioè la gestione e modificazione della gente mediante somministrazione alla popolazione in massa di sostanze chimiche e biologiche negli alimenti, nei farmaci, nei vaccini, nell’ambiente, e anche attraverso la rete 5G (con le sue
onde millimetriche che agiscono sulle cellule vivente, i suoi ripetitori ogni cento metri, i suoi ventimila satelliti in orbita): manipolazione biologica proprio come avviene nella zootecnia. Quando gli effetti si saranno consolidati e saranno divenuti irreversibili, si incomincerà a parlarne alla gente.
L’invariabilità di tale struttura generale bipolare dell’ordinamento sociale suggerisce che forse, per le masse dominate, è preferibile (in termini di benessere psicologico) restare inconsapevoli, credere nell’illusione della democrazia-legittimità, o pensare che l’ineguaglianza sociale sia nell’ordine naturale delle cose, oppure che sia voluta da Dio, oppure ancora conseguenza del karma. La suddetta struttura, nella quale –ripeto- la classe dominante vede e tratta come strumento la popolazione dominata, se tenuta presente, permette di capire come mai il governo e i cosiddetti servizi pubblici, che comunemente ed erroneamente vengono intesi come diretti alla utilità del pubblico ossia della popolazione generale, nella realtà funzionano spesso in modo vistosamente difforme rispetto ai bisogni della popolazione generale e alle leggi, o addirittura contrario ad essi, e paradossale. Perché, ad esempio, lo
Stato autorizzi la produzione e il commercio di alimenti e bevande, soprattutto diretti ai fanciulli, che sono diabetizzanti, obesizzanti, cancerogeni, eurotossici. Perché in molti luoghi pubblici la polizia permetta lo smercio di droga e non intervenga quando la si chiama per reati in corso. Perché sovente i giudici rimettano prontamente in libertà delinquenti pericolosi, che poi tornano a delinquere. Perché si omettano controlli e manutenzioni di poco costo su opere pubbliche, che poi causano stragi e danni economici
enormi. E perché vengano fatte e ripetute scelte di politica economica palesemente sbagliate e contrarie agli interessi nazionali. Gli interessi dei manovrati non coincidono con quelli dei manovratori.
Consideriamo così l’istruzione, la sanità, la giustizia, la polizia, la difesa, la raccolta delle tasse. Si tratta di servizi introdotti e gestiti dalla classe dominante, nei vari paesi e nelle varie epoche storiche, allo scopo di aumentare l’efficienza del suo strumento, cioè della popolazione generale, come le stalle e il veterinario sono uno strumento per aumentare la redditività del bestiame. La sanità è utile ad avere lavoratori e combattenti più numerosi e più sani anche innalzando la natalità – finché la necessità di grandi masse
di combattenti, lavoratori e consumatori venga meno e si scelga di ridurre la
popolazione o di aumentarne le malattie per vendere più farmaci; la pubblica istruzione a formare sudditi e lavoratori più indottrinati, controllabili e produttivi; le strade, le ferrovie, i porti etc. ad aumentare l’efficienza economica e militare; la previdenza sociale a fidelizzare al sistema le classi subalterne; la giustizia e la polizia a sostenere la percezione di legittimità del potere costituito, tutelandone al contempo i privilegi; il sistema bancario-monetario a concentrare nelle mani della grande finanza il controllo dei redditi, dello sviluppo, del potere politico, permettendo e coprendo (in cooperazione con la giustizia), al contempo, le grandi truffe al risparmio e la pratica dei prestiti usurari e predatori. Così si comprende come naturale che la giustizia non punisca praticamente mai banchieri per le maxi-frodi e per l’usura (che in Italia interessa la grande maggioranza dei prestiti bancari) o per le grandi truffe. Anche la difesa rientra tra i pubblici servizi, nell’immaginario popolare, come difesa della popolazione da nemici esterni; solo che, di fatto, nel corso della storia, le classi dominanti hanno usato le forze armate quasi sempre al contrario, cioè in danno e a spese delle rispettive popolazioni, facendole pagare, combattere e morire per aumentare la ricchezza e il potere loro proprio. Dalle ricerche storiche e da copiosa documentazione originale -2- , la stessa II GM risulta essere stata non una guerra ‘spontanea’ tra sistemi politici incompatibili, bensì un’operazione decisa e organizzata dalla strategia del capitalismo finanziario: il capitalismo americano finanziò massicciamente il movimento nazionalsocialista, la ricostruzione e l’armamento della Germania hitleriana -3, la sua stessa guerra di conquista e sterminio fino al 1945. General Motors, General
Electric, Standard Oil, Ford costruirono e gestirono, in alcuni casi anche direttamente, impianti industriali strategici e per produzioni belliche del III Reich. Analogamente il Giappone venne rifornito e armato dall’élite capitalistica statunitense affinché potesse iniziare e sostenere la guerra per diversi anni. Soprattutto, in violazione del fittizio embargo disposto da Washington, gli fu data una grande quantità di petrolio americano,
senza del quale non avrebbe potuto iniziare la guerra.
A che fine armare e sostenere la Germania e il Giappone? Al fine immediato di
arricchirsi – le commesse belliche dall’una e dall’altra parte moltiplicarono gli utili delle corporations per tutti gli anni di guerra – e a quello di lungo termine di indebitare in modo e misura irreversibile gli Stati(iniziando dagli USA e dal Regno Unito) verso i banchieri privati, affinché questi potessero arrivare a dettare la politica e a riformare le società, su scala mondiale, a loro vantaggio, scalzando ogni altra forma di potere, verso un villaggio
unico globale fatto di cittadini indebitati e di governi pure indebitati. Le guerre, infatti, comportano un moltiplicarsi delle spese pubbliche, quindi del ricorso al credito, da parte dei governi.
Questo fine, grazie all’operazione Seconda Guerra Mondiale e a molte altre, tra cui l’UE e l’Euro, è stato in gran parte raggiunto. E‘ così che siamo arrivati all’indipendenza dei banchieri centrali dai parlamenti e dai governi, e alla subordinazione della sfera pubblica a mercati controllati da cartelli finanziari e tecnologici, nonché dalla comunità bancaria (questo è il tema dei miei saggi Euroschiavi, Cimiteuro, Traditori al governo -4). Oggi capitalismo apolide e Stati indebitati verso di esso costituiscono un organismo unitario di dominio e sfruttamento. Il nazismo e la II GM mondiale sono stati strumenti
per arrivare a questo obiettivo da parte delle grandi dinastie bancarie che hanno oggi i loro corifei nei vari Juncker, Lagarde, Moskovici, Merkel, Dijsselbloom. Questo piano è stato però recentemente sostituito, siccome il progresso scientifico-tecnologico, l’automazione, l’intelligenza artificiale e la finanziarizzazione globale da un lato hanno messo a disposizione delle élites dominanti strumenti di dominio più potenti dell’indebitamento e della moneta, ossia strumenti informatici e biofisici di gestione diretta delle masse (la capacità di spiare tutti e ciascuno capillarmente e di entrare nei corpi per modificarli); mentre dall’altro lato hanno reso le masse stesse meno
utili al mantenimento del potere e della ricchezza (e con le masse anche le classi intermedie e i corpi sociali intermedi, che servivano come catena gerarchica e di trasmissione per gestire le masse – infatti le classi medie sono in via di estinzione mediante proletarizzazione); al contempo le masse, coi loro consumi e inquinamenti, sono divenute un drammatico problema ecologico.
Per queste ragioni, il piano di dominio per via finanziaria è stato ammodernato a piano di dominio per via tecnologica, cioè arrivare a gestire le masse con metodi zootecnici – e questo è il tema del mio saggio appena
uscito, Tecnoschiavi -5- , mentre in Oligarchia per popoli superflui -6- ho trattato di come il progresso tecnico-economico congiunto alla globalizzazione ha reso, appunto, superflue le masse per il potere costituito, sicché i cittadini e i lavoratori, compresi gli industriali produttivi,hanno perso potere di contrattazione, diritti e ampie quote del reddito nazionale in favore dei capitalisti finanziari.
Torniamo al servizio pubblico chiamato “sanità”. Corvelva e l’Ordine Nazionale dei Biologi hanno notoriamente accertato in laboratorio, e denunciato all’opinione pubblica(https://www.corvelva.it/speciali-corvelva/analisi.html), che certi preparati industriali di Big Pharma, pagati con le nostre tasse, spacciati e imposti per legge a milioni di bambini come vaccini, non contengono le sostanze vaccinanti dichiarate bensì una
macromolecola nociva, metalli nocivi e sequenze genetiche, il tutto con effetti
immunodepressivi e neurotossici. L’imposizione di tali falsi vaccini è interpretabile (al di là dell’ovvia logica del profitto commerciale al quale i partiti regolarmente si vendono) come una misura preventiva, un argine che viene eretto per far fronte al gigantesco problema sociale in arrivo: quel 30% dei posti di lavoro che robotizzazione e intelligenza artificiale si prevede che elimineranno da qui al 2030 -7. L’argine a questo problema consiste, forse, nell’assicurarsi, attraverso anche le pseudovaccinazioni tossiche di massa, che le nuove generazioni siano mentalmente e fisicamente incapaci di reazione e di lotta.
Dato che per le oligarchie dominanti la popolazione generale è un mezzo (come il bestiame per l’allevatore) e non un fine (come i figli per i genitori), per capire le decisioni politiche ed economiche, è necessario porsi nel punto vista non della popolazione generale, bensì dell’oligarchia dominante, e tener presente che questa decide, governa e legifera nell’interesse proprio, quindi innanzitutto agisce al fine di consolidare il proprio potere e di estrarre più ricchezza possibile dal corpo sociale che essa gestisce. Negli ultimi decenni si è accreditata e affermata l’idea che i fattori economico.finanziari siano la vera e ultima causa degli eventi, e che la scienza economico-finanziaria sia quella più di tutte in grado di spiegarli, di dettare le riforme e di individuare errori e
rimedi.
Questo convincimento deriva dal fatto che si è capito che, soprattutto nel mondo contemporaneo e globalizzato, la moneta (e non le ideologie e le religioni), è effettivamente il motivatore universale, ossia il fattore che -nella sua forma positiva di profitto, di pagamento, e in quella negativa di indebitamento e downrating- induce la quasi totalità dei comportamenti e delle scelte sia dei singoli che delle organizzazioni (società commerciali, enti pubblici, governi…). Quindi il potere di creare moneta e indebitare sembra poter comandare il corso della storia, e l’analisi, la comprensione e la revisione dei processi finanziari sembrano in grado di spiegare praticamente la totalità del divenire; e sembra pure che nessun valore o risorsa possa prevalere in efficacia o aggirare o sfuggire al controllo della finanza e dei suoi mercati e sostituirsi ad essi nella direzione anche della politica, sicché a guidare le scelte pratiche del potere saranno sempre, ultimamente,
obiettivi economici. (E che quindi i mali e le degradazioni che i processi economico-finanziari infliggono al genere umano siano ineliminabili.)
Ma qui sta un errore di fondo, perché si perdono di vista tre cose essenziali, ossia:
a) La stessa struttura generale delle società -cioè la forma oligarchica, con tutte le sue conseguenze- è superiore alla dimensione economica, non deriva da essa (ma dal fatto che ogni nota organizzazione politica stabile si sostanzia in una distribuzione piramidale e specializzata del potere);
b) La moneta (la ricchezza) è non il fine dei detentori del potere, bensì un mezzo che essi usano: il loro fine ultimo è il dominio di quanto più possibile della realtà, della società, delle sue risorse, del mondo, e il controllo del loro divenire (affinché non sfugga loro di mano, non metta in pericolo la loro posizione dominante). Essendo l’economia-finanza un mezzo per un fine (il potere sui cittadini e sui governi), è ovvio che, quando un mezzo alternativo e più efficiente per assicurare quel fine diviene disponibile, essa viene sostituita con quest‘ultimo, come i cavalli come mezzo di trasporto sono stati sostituiti dai veicoli a motore. E precisamente questo è ciò che sta avvenendo, da quando per il fine della gestione della popolazione sono divenuti disponibili strumenti biofisici e informatici più efficienti di quelli finanziari: strumenti di controllo dei singoli, delle masse, dell’informazione, della stessa atmosfera e del clima, che fino a pochi decenni fa erano immaginabili soltanto nella fantascienza.
c) Per giunta, l’utilità della stessa popolazione, della società da controllare e gestire, è venuta ampiamente meno, poiché, come si spiegherà sotto, i popoli, dopo essere divenuti superflui come masse di combattenti e di cives, ora sono divenuti superflui anche come massa di lavoratori-consumatori – non hanno più un uso, sono obsoleti – quindi è diminuito lo stesso bisogno di controllarli e di ottenere il loro consenso, la loro collaborazione.
Per queste ragioni, si illudono anche coloro che credono di poter comprendere e risolvere i mali attuali (recessione, disoccupazione, svuotamento della politica, concentrazione della ricchezza e del potere con diffusione della povertà e dell’impotenza, esaurimento delle risorse planetarie) elaborando e proponendo rimedi e riforme sul piano economico, politico, giuridico. Sbagliano perché non tengono conto di quanto sopra. I loro sforzi sono fallaci e impotenti. Nella ormai esaurita fase storica dell’economia incentrata sulla produzione e sul consumo di beni, e sul profitto come principalmente derivante da tale ciclo, all’uomo e al popolo è stata fatta in modo molto graduale assumere pienamente la forma-merce, ossia è stato reso esclusivamente produttore e consumatore – e non più civis, polites, ancor
meno miles, stratiotes, ossia cittadino in armi per la difesa della patria (oggi i soldati sono professionisti a pagamento, quando non addirittura contractors, ossia mercenari privati), togliendogli ogni reale forza, funzione, indipendenza, dignità sociopolitica e culturale rispetto al capitale; e lo Stato, la polis o respublica, sul finire di questa fase, è stato sostituito dal mercato. Ciò affinché né il singolo, nella forma-civis, né lo Stato, nella forma-respublica, interferissero, disturbandole, con le riforme utili per il capitalismo alla
massimizzazione del profitto attraverso la continua espansione e razionalizzazione quel ciclo di produzione-consumo, in ambito nazionale e internazionale. Questa fase storica dell’economia è stata gradita e accettata dalle miopi masse opportunamente stimolate perché, con la sua espansione dei consumi, nel breve, termine comportava un ampliamento del loro benessere materiale, delle loro gratificazioni.
Dopo aver perfezionato la riduzione del civis a forma-merce e della respublica a forma-mercato, la fase storica dell’economia finanziarizzata oramai vede il grosso dei profitti venire da processi finanziari in cui la componente ‘produzione’ richiede pochissimi addetti e la componente ‘consumo’ è modesta e immateriale (non vi è bisogno di produrre e vendere beni reali, se ci si può arricchire producendo e collocando simboli di valori, e facendo correre dietro di essi sia i privati che le imprese che i governi). Perciò le grandi masse di lavoratori e consumatori non servono più alla produzione di ricchezza
e potenza, come non serve più la crescita dell’economia reale e del benessere della popolazione generale, quindi il suo consenso; e su questo punto, sulla gestione delle quantità di esseri umani che non servono ormai più nemmeno come forma-merce, anche perché soppiantati dall’automazione e dell’intelligenza artificiale, questa fase è già da tempo entrata in un processo di trasformazione globale dell’ordine delle cose. Il famigerato NWO parte dal dato di fatto che la finanziarizzazione dell’economia (assieme alle tecnologie) ha reso superflue le masse e intercambiabili i popoli. E che quindi bisogna trovare una ‘sistemazione’ per loro in un quadro di rapido esaurimento
delle risorse planetarie.
Tirando le somme, l’oligarchia tecnologica, nel suo perseguimento del controllo sul mondo, sta portando a un domani di degrado infernale e ineluttabile della condizione umana, e sembra non esservi al mondo alcuna forza o risorsa capace di sventare questo destino sicuramente peggiore della morte per la quasi totalità della popolazione. Questa impossibilità, questa insuperabilità, è data dalla stessa natura della realtà: se essa è fatta
di materia e spazio, è limitata; perciò quanto di essa domini tu non è controllato da me; ne consegue che il bene, l’obiettivo, per ciascuno, è conquistare e sottomettere quanto più possibile della realtà, del mondo, delle risorse, comprese le altre persone, le quali pure sono risorse. La conseguenza è inevitabile: il bellum omnium erga omnes, dove un’oligarchia tecnologica globale sottomette gli altri sette miliardi di umani e ne fa ciò che ad essa conviene, iniziando col creare una differenziazione anche biologica tra sé ed
essa, che le assicuri una supremazia obiettiva, come preconizzava Bertrand Russell-8 e come oggi la tecnica consente di fare (enhanced humans, supersoldati). Per non parlare della manipolazione del clima e dell’ambiente in generale.
Questa conseguenza è nella logica delle cose, quindi superiore ad ogni freno
morale, come la logica della competizione di mercato. Le logiche e dinamiche della massimizzazione del dominio sembrano non lasciare spazi razionali per la speranza, e sospingere dentro una sorta di Età Oscura. Ma, di nuovo, le cose stanno altrimenti. Invero, questa logica della massimizzazione del dominio, con la sua linea di sviluppo, è conseguenza della coscienza materialistico-dualistica della realtà, che è quella comune e dominante-9.
Per esso, la realtà è fatta da un lato di molte cose materiali sottoposte a energie e interagenti tra loro secondo rapporti di causa-effetto; dall’altro delle menti dei soggetti; le menti sono influenzate dalle energie fisiche e percepiscono così gli oggetti materiali; la mente di ciascuno comanda in parte il suo corpo materiale; per il resto la mente non agisce sulla materia-energia; le singole menti non agiscono direttamente l’una sull’altra, ma comunicano attraverso i corpi materiali; cose, energie e menti esistono nello spazio e nel
tempo, nel divenire; esse vengono in essere e poi cessano di esistere, cioè entrano ed escono dal nulla.
Posti il dualismo ontologico mente-materia e il dualismo io-non io, l’identificazione di sé e della realtà, con la materia, col quantificabile, col limitato, consegue la lotta per strappare agli altri il dominio di questa limitata materia che è il mondo, di avvantaggiarsi a danno degli altri, di altre persone, di altri paesi, delle generazioni future, dell’ecosistema globale. Altrimenti detto: se la realtà, l’essere, è quantità (materia, spazio, tempo, lavoro, denaro), allora il fine razionale di ogni essere senziente è conquistare per sé quanto più possibile di queste quantità, che sono limitate (disponibili limitatamente), e perciostesso hanno un valore commerciale (ciò che è disponibile illimitatamente, non ha valore commerciale). Anche gli altri esseri umani sono
da sottomettere e dominare, perché anch’essi sono parti del mondo materiale e costituiscono, come le materie prime, una risorsa limitata, sfruttabile come fonte di lavoro e altro (organi per espianto, all’estremo, corrieri della droga, terroristi suicidi). La sopraffazione e lo sfruttamento, entro questo paradigma, sono perfettamente logici. Perseguire il profitto egoistico, entro esso, è l’unica strategia razionale. Non vi sono beni o convenienze sopraordinate. Ancor meno un sovra-mondo, un campo intersoggettivo regolatore e ordinatore.
Perciò non vi può essere soluzione dei problemi e delle ingiustizie sociali e
politiche, se non ci si libera dalle false identificazioni suddette. Risolvere i problemi dell’uomo, del mondo, della società restando entro il paradigma di Mâya è, con certezza logica, impossibile.
Il “mondo”, quale esiste nella coscienza materialistico-dualistica, è, con certezza, non salvabile. Esso e i suoi atroci esiti è conseguenza inevitabile e necessaria di quel dualismo e di quel materialismo. Le ricette del socialismo o dei vari riformatori, così come quelle del cristianesimo, sono tutte impotenti, perché radicate e connaturate a quel paradigma – di cui non sono nemmeno consapevoli, da cui non sanno nemmeno porsi a distanza di osservazione e indubbiamento. Restando su quel piano, non vi può essere soluzione al problema, perché quel piano di coscienza è esso stesso il problema. L’Io
impegnato nella incessante e infinibile conquista o salvazione (che sono equivalenti) del Non-(m)io è perdente proprio perché vive e (presup)pone il Non-(m)io, il dualismo, perché pensa un agone in questi termini, perché si contra-pone. E’ dunque indispensabile verticalizzare l’azione rispetto a quel piano cognitivo e pratico. I cambiamenti necessari sono estremamente più profondi da quelli proposti da qualsiasi riforma, conversione religiosa, rivoluzione o ideologia politico-economica. Il dominio perseguito nel mondo della coscienza materialistico-dualistica non è però ultimamente dominio della ricchezza (che, come ricchezza finanziaria, oggi non ha limiti di creazione), delle genti (che sono divenute superflue), dei governi (che sono stati svuotati e soggiogati), ma dominio degli enti come enti, nonché dell’esistere, entro la coscienza che crede (di attuare) la totale manipolabilità dell’ente, del suo essere/nonessere, come prodotto (e mercanzia), entro la cornice della perdita del pensiero dell’eterno, entro la negazione radicale della dimensione immutabile, come spiega il filosofo Emanuele Severino. In certa teologia si arriva a teorizzare che gli enti, una volta creati daDio, non stiano in essere da sé, ma abbisognino di una continua (cre)azione divina che li mantenga esistenti: questo è il nucleo ontologico della finanziarizzazione, nella quale tutti i beni si smaterializzano, i valori e i diritti perdono esistenza autonoma e abbisognano di essere mantenuti in essere da un’incessante attività dei mercati finanziari e di un supporto elettronico tenuto acceso dalla banca, così come pure la moneta elettronica (dipendente ad existentiam dal supporto elettronico fornito dalla banca) che oggi viene gradualmente
imposta in sostituzione di quella cartacea (che esiste senza bisogno dell’azione della banca) e per altro verso possono essere creati quasi ex nihilo con un click del mouse, senza limiti e costi. E parimenti con un click possono essere posti nel nulla, per decisione unilaterale del potere bancario. Ultimamente, la brama di acquisire, che anima i dominatori, è un tentativo di
dominio per il controllo della morte degli stessi dominatori. L’origine della volontà di dominio alla base dell’avidità economica, come intuì l’economista e teologo gesuita Bernard Lonergan, è nella pulsione a sopravvivere, è il vivere l’essere (l’essere come tale, e di conseguenza anche il proprio esser-ci) 10 come scarso, limitato, non solo nella sua quantità, ma nella sua durata, siccome minacciato dalla tendenza a divenire non-essere, a
morire. La contesa per la conquista e il controllo dell’essere e del mondo che sono sentiti come limitati, mai può esser vittoriosa finché non conquisti l’eternità, non vinca la morte e la paura e la precarietà. E siccome non la può conquistare, perché un essere passibile di divenire non-essere non può esser messo in sicurezza, questa coscienza, assieme al sistema socio-economico che costruisce, è destinata al fallimento e a restare nell’angoscia.
E’ un assetto instabile perché contraddittorio e fallace proprio dentro quegli oligarchi conquistatori che il filosofo Diego Fusaro chiama gli odierni bellatores. Contraddizione e fallacia lo condannano a finire, e condannano l’angoscia dei bellatores a non trovare fine. A che ti giova conquistare il mondo, se già ti sta masticando il tempo? E’ il tempo -radice tem* di temno, taglio, cioè divisione tra prima e dopo (ricorre anche in tem-p-lum, témenos)-
che devi vincere. E non lo vinci fuori da te.
§§§
Dal punto di vista filosofico occidentale, il concetto di realtà proprio della
coscienza materialistico-dualistica sopra descritto, già criticato dagli antichi, è stato pacificamente confutato come illusorio già da pensatori quali David Hume, George Berkeley, Immanuel Kant, Georg W. F. Hegel, Herbert F. Bradley: la nostra coscienza non recepisce un supposto mondo materiale esterno. Non è possibile per la coscienza uscire da sé stessa per percepire o conoscere altro da sé. Il mondo conosciuto è una sua rappresentazione, o costruzione. Affermare l’esistenza una realtà non mentale, extramentale,
anche senza pretendere di descriverla (cioè limitandosi all’an sit, solo come
cosa-in-sé, senza addentrarsi nel quid sit), è perlomeno assai problematico
Teorizzando nella coscienza una sorta di software di intuizioni date a priori (tempo e spazio) e di categorie pure date a priori, comuni a tutti gli uomini, che costruiscono il mondo conosciuto e condiviso (fenomenico) secondo regole costanti, tali così da produrne la comprensibilità e prevedibilità scientifica secondo le leggi “naturali” – teorizzando un siffatto software, Kant in particolare anticipò la comprensione odierna dei processi percettivi, che spiega come noi non percepiamo le cose come tali, ma i nostri cervelli
elaborano impulsi elettrici innescati dagli organi di senso, e li coordinano in un costrutto sensato, costruendo così la nostra rappresentazione della realtà.
La ormai consolidata confutazione sul piano scientifico e su quello logico-filosofico della coscienza materialistico-dualistica è indispensabile ai fini della
comprensione intellettuale, ma non è sufficiente per uscire da tale coscienza, a passare a un’altra coscienza, a un altro sentire e sentirsi, perché uscirne significa trasformarsi interamente, anche sui piani percettivo, emotivo, motivazionale, nonché dell’identità. Implica la fine della stessa percezione del “mondo” come a noi nota. Alcuni insegnamenti tradizionali affermano che si tratta di trasformarsi, per liberare il proprio sentire e volere dall’illusione, anche a livello viscerale. Che si tratta di ricomporre l’illusorio dualismo tra
mente e materia-11 . O ricomporre ogni dualismo. Le resistenze sono forti e profondamente radicate. Infatti si tratta anche di rilasciare molte identificazioni e molti attaccamenti. Mentre le religioni abramitiche, a fianco delle loro idee di mondo del divino, condividono la coscienza dualistica e materialistica della realtà, lo yoga indovedico, nella sua interezza e varietà, assieme ai buddhismi tibetani, è il metodo, o l’insieme di metodi,
più esplicito e completo per realizzare l’uscita da essa, sciogliendo i nodi, i
condizionamenti, le dinamiche che sostanziano l’illusione. Il percorso verso la meta è lungo, graduale (anche se alcune scuole contemplano la possibilità di una realizzazione istantanea grazie ad esperienze speciali, a folgorazioni), si snoda in molte fasi, classicamente individuate in otto, e comprensive di esercizi corporali, energetici, mentali, e sopra-mentali. L’esercitare metodicamente e lungamente la visualizzazione congiunta all’intenzione, soprattutto nell’esecuzione del rito, è uno strumento specifico per
modificare la coscienza, uscire dal dualismo mente-materia e per lavorare usando forze e facoltà nostre proprie, altrimenti fuori portata e fuori coscienza. Il punto pratico, è che soltanto questa ascesi (àskesis significa “esercitazione”) e questo tipo di risorse possono salvare da ciò che il mondo dell’uomo sta diventando. L’obiettivo viene sovente definito come realizzazione della pienezza dell’essere, del Satcitananda–vigraha: lo stato del non dualismo, stato primordiale ed autentico, non soggetto al tempo (e alla morte). Satcitananda deriva da: Sat (essere-verità), Cit (coscienza), Ananda (beatitudine): le tre qualità della pienezza dell’essere, nella quale
tutto è beatitudine, mentre il vivere e viversi disgiunti dal resto, come una parte in opposizione al tutto, è una coscienza infelice e angosciosa. “Sono la natura della coscienza… sono senza dualità, puro nella forma … immutabile, esente da desideri e ira, distaccato … l’eterno, illuminato e puro satcitananda-12“. Pienezza dell’essere significa trovare nell’Essere stesso la compiuta soddisfazione e realizzazione, appagarsi nell’Essere senza bisogno di avere.
La tradizione afferma che chi perviene alla meta, o anche solo si avvicina ad essa,trascende il suddescritto piano problematico e perciostesso ne è affrancato: per lui il malenon esiste. Non si danno altre vie per affrancarsi da quel piano – particolarmente, non esiste un modo di liberarsene per via politica, collettiva, mantenendo il tipo di coscienza proprio di quel piano. Ovviamente non è questa la sede per descrivere il processo di realizzazione
su accennato, ma qualche citazione è d’uopo, per chiudere nella bellezza della
chiarezza. Mrityu, il dio della morte, in Katha Upanishad II, 6 dichiara: “L’ascensione al mondo superiore non rifulge allo stolto inebriato e reso ottuso dalla cupidigia. Credendo che ci sia soltanto questo mondo, continua a ricadere nel mio potere” [ossia, resta soggetto all’esperienza della morte]. Il che è logico: lo stolto si identifica con la materia, col quantitativo,
si attacca ad essi, persegue il fine di accaparrarsene quanto più possibile – ma il quantitativo, la materia, il dualismo, lo legano e lo riportano, inevitabilmente, alla morte, alla limitatezza, al finire. Al contrario, “Il saggio, illuminatosi nel compimento dello yoga trascendentale (adhyâtmayoga), avendo contemplato nel sé (âtman) il dio nascosto … … lascia il piacere e il dolore” (ibidem, II, 12). Indi, “sceverato il Sé (paramaâtman) dalla
propria individualità empirica, e raggiunta questa intima guida, gioisce poiché ha conseguito la sorgente di ogni beatitudine” (ibidem, II, 13). La realtà per lui è completamente diversa dal paradigma di Mâya, perché essa si palesa a lui come “oltre il giusto e l’ingiusto, oltre il creato e l’increato, oltre passato e futuro” (ibidem, II, 14).
18.03.19 Marco Della Luna
1-Aurora Boreale editrice, III edizione
2- Per una rassegna organica, vedasi Marco Pizzuti, Biografia non autorizzata della II Guerra Mondiale, Mondadori 2018, cap. IV
3-La letteratura in materia è vastissima – vedasi https://www.globalresearch.ca/americanbanks-
funded-the-nazis/31983
4- Arianna Editrice
5-Arianna Editrice
6-Aurora Boreale Editrice
7–https://www.key4biz.it/industria-4-0-ue-teme-effetto-disoccupazione-tecnologica-a-rischioautomazione-
oltre-il-40-dei-lavori/227664/
8-L’impatto della scienza sulla società, 1951; vedi anche in tale senso Yuval Harari, Homo Deus, 2017.
9 -Del realismo dualista-materialista mi sono ampiamente occupato nel mio saggio Il Codice di Mâya (Nexus, II edizione). Per esso, la realtà è fatta da un lato di molte cose materiali sottoposte a energie e interagenti tra loro secondo rapporti di causa-effetto; dall’altro delle menti dei soggetti; le menti sono influenzate dalle energie fisiche e percepiscono così gli oggetti materiali; la mente di ciascuno comanda in parte il suo corpo materiale; per il resto la mente non agisce sulla materia-energia; le singole menti non agiscono direttamente l’una sull’altra, ma comunicano attraverso i corpi materiali; cose,
energie e menti esistono nello spazio e nel tempo, nel divenire; esse vengono in essere e poi cessano di esistere, cioè entrano ed escono dal nulla.
10-Non entro qui nella questione, peraltro fondamentale, se tutto ciò che esiste sia (siamo) un unico ente, oppure sia, come lo sente il sentire comune, una moltitudine di enti separati tra loro (e magari passibili di sorti separate).
11-Un dualismo, questo, che la stessa scienza sperimentale, sia fisica che psicologica, ha in parte superato, in parte messo in crisi.
12-Tejobindu Upanishad, 3.1-3.12 – passim.