QUANDO LE TASSE ARRICCHISCONO I LADRI
QUANDO LE TASSE ARRICCHISCONO I LADRI
Con i soldi del contribuente, spesi a spreco, la casta (partitocrazia-burocrazia) si arricchisce e si compera i voti per restare in poltrona, persino mentre il Paese va a catafascio. Essa governa nell’interesse e su direttive del grande capitale e della grande speculazione apolido-globalisti, esonerandoli dal dichiarare i profitti o dalla normale tassazione mediante apposite norme di favore od omettendo l’applicazione della legge.
La propaganda della partitocrazia, in materia di lotta all’evasione, nasconde dati di realtà che rovescerebbero la sua raccontazione:
a)la lotta ai grandi evasori è impossibile perché i grandi evasori, anzi i grandi imprenditori, si trasferiscono nei paradisi fiscali o si fanno proteggere con leggi apposite proprio dalla partitocrazia; il governo Conte bis chiama “grandi evasori” quelli da 100.000 euro, che in realtà sono piccoli evasori – grandi sono quelli da decine o centinaia di milioni, cioè quelli che sostengono il governo;
b)le tasse e l’Inps sono costi per le imprese; molte di esse riescono a stare sul mercato (a produrre PIL e a pagare i dipendenti) proprio perché riescono a evaderli in parte; se costrette a pagare tutto, escono dal mercato e chiudono, a danno del PIL e dell’occupazione; molte si trasferiscono all’estero;
c)i soldi dell’evasione fiscale e contributiva di piccole aziende e lavoratori autonomi non sono affatto perduti, ma vengono reinvestiti o spesi nell’economia reale italiana, e la sostengono, aumentando la ricchezza prodotta; se finissero nelle mani della buro-partitocrazia, verrebbero complessivamente usati male, per sprechi, spese clientelari, acquisto di voti: vedi gli 80 euro di Renzi (10 miliardi l’anno), il reddito di cittadinanza di Di Maio (7 miliardi l’anno), la copertura della bancarotta di Alitalia, etc.: il fatto che l’attuale governo non abbia tagliato tali sprechi nemmeno nell’attuale situazione, dimostra che la partitocrazia non è legittimata a gestire i soldi dei contribuenti;
d)per far quadrare i conti dello Stato, agli uffici locali di riscossione dell’Agenzia delle Entrate viene fissato un plafond annuo di accertamenti da raggiungere; siccome spesso non lo raggiungono, in autunno si inventano cartelle pazze ed accertamenti fasulli, per raggiungere il plafond; molte cartelle e molti accertamenti vengono impugnati e annullati, ma intanto il bilancio dell’anno è (fittiziamente) in ordine;
d)tale sistematica e piratesca prassi del fisco, congiunta alla norma che consentirà il sequestro del patrimonio di cittadini e imprese sulla base del semplice sospetto (molto discrezionalmente valutato) di evasione, indurrà chi può a mettere i beni e i soldi in salvo all’estero, con un grave danno per l’economia;
e)la costrizione a usare il denaro scritturale bancario anziché il contante, ossia la valuta legale (art. 128 TFUE), costringendo a pagare i servizi delle banche e a lasciare in mano loro il denaro, è un favore ai banchieri, non una misura di lotta all’evasione, che non passa attraverso il contante ma attraverso circuiti come Clearstream e i fondi anonimi statunitensi;
f)Banca d’Italia attesta che le banche italiane creano mediamente 1.000 miliardi di euro l’anno, aumentando con ciò in pari misura i propri patrimoni, senza pagare tasse su tale incremento, quindi eludendo circa 220 miliardi l’anno (su questo tornerò per evidenziare l’ipocrisia dei grillini, e soprattutto di certuni tra loro, su questo capitolo).
Stante la sua struttura bipolare, con un Sud che si sostiene solo grazie a forti prelievi sul reddito del Nord, e una casta che vive mangiando molto su questi prelievi e usandoli clientelarmente, l’Italia ha prosperato e progredito fintantoché ha potuto fare molta spesa pubblica a deficit, con tassi bassi grazie al controllo pubblico su Banca d’Italia, consentendo alla sua valuta di svalutare per mantenere la competitività e ai suoi cittadini di fare tranquillamente abbastanza nero da tener viva la domanda interna. Ci piaccia o non ci piaccia, un paese con le caratteristiche storiche, culturali e strutturali dell’Italia può viver bene solo così. Da quando, con false giustificazioni che nascondono piani di saccheggio, hanno bloccato i cambi, scatenato i tassi, strozzato i pubblici investimenti e represso l’uso del contante e la piccola evasione, il Paese affonda nel debito, nella mancanza di liquidità per la produzione, nella perdita inarrestabile di competitività, nel crollo della domanda interna.
Tornando alle tasse:
-Se il governo vede un’evasione di 120 miliardi l’anno, perché non va a prenderli? Oppure finge di vederla?
-Molta dell’evasione che viene accertata è stata compiuta da imprese ormai defunte, da cui non si potrà ricavare un’euro.
-L’Agenzia delle Entrate, col blocco del turn-over, è stata svuotata del personale necessario per fare accertamenti, quindi si affida sempre più ai metodi informatici e a indicatori presuntivi automatici e che, in un modo o nell’altro, il contribuente non può confutare in tribunale;
-Si va così verso una catastalizzazione dei redditi di lavoro, ossia la fissazione di un tot che i contribuenti delle varie categorie di contribuenti devono pagare per esser lasciate in pace dal fisco (tasse percepite quindi col metodo del pizzo).
Segue un articolo che pubblicai oltre 12 anni fa e che mi pare abbia, nel frattempo, acquisito in attualità:
L’EVASIONE NUOCE AGLI ONESTI, MA LE TASSE GIOVANO AI LADRI.
RISPOSTA ALLA GUARDIA DI FINANZA
Il Col. Dino Pagliari, Comandante provinciale delle Fiamme Oro, nella sua intervista pubblicata su La Cronaca di Mantova del 6 Luglio, denuncia innanzitutto la natura culturale del problema dell’evasione fiscale: un circolo vizioso di furbizia e sfiducia, tipico della mentalità italiana. In un paese in cui si sa che tutti o quasi, di fatto, violano le regole (evadono le tasse), a cominciare da chi è alla guida delle istituzioni, come mostra il celebre libro La Casta di Stella e Rizzi, è semplicemente logico violarle per non restare svantaggiati e pagare anche per gli altri. Tanto più che, essendo un po’ tutti a violarle, è improbabile essere puniti. Una logica insuperabile. Come sottolinea giustamente il Col. Pagliari, è un circolo vizioso, anzi un vortice vizioso: chi la fa, l’aspetta; ma chi l’aspetta, cerca di farla per primo!
Da queste corrette premesse deriva una prognosi di sfascio irreversibile.
Primo punto: quel circolo vizioso non riguarda solo gli obblighi fiscali, ma tutte le regole, giuridiche e organizzative. Ossia, la popolazione e la Casta che la governa non credono nelle norme in generale, non si aspettano che vengano rispettate, e non le rispettano. Dato che il rispetto delle norme è l’essenza di ogni organizzazione, gli Italiani non riescono a organizzarsi, a costruire un sistema-paese efficiente, perché ciascuno o ciascun gruppetto si fa gli affari suoi e cerca di fregare gli altri approfittando del potere o delle risorse che si ritrova. Mordi e fuggi. Di fatto, il sistema-paese non funziona o funziona molto male. Così, un corpo in cui le singole cellule si mettessero a comportarsi in modo non coordinato, ciascuna a suo talento: sarebbe non un organismo vitale e competitivo, ma un organismo malato di cancro. Gli italiani non riescono a creare forme organizzative complesse ed efficienti, in grado di reggere la concorrenza globale, perché vivono (quasi tutti) secondo quella mentalità e la legge del Menga. Questo significa che il sistema paese Italia è, e sempre più sarà, perdente, in un mondo che richiede sempre più alte forme di organizzazione e specializzazione, organismi con un numero sempre crescente di “cellule” sempre più specializzate. Gli italiani riescono ad organizzarsi efficacemente solo a livello rudimentale, in organismi centrati su scopi elementari e mai di lungo termine: le società commerciali, le corporazioni, le cosche mafiose, i comitati d’affari, i vertici dei partiti politici. Forme equivalenti, in termini biologici, a quelle di vermi composti da poche centinaia di cellule. Si può uscire da questa situazione? Si è mai visto nella storia un popolo, che dopo aver perso la fiducia nelle regole e nei valori, sia riuscito a recuperarla? No.
Secondo punto: premesso che tasse e contributi per i dipendenti costituiscono per le imprese un fattore di costo di produzione (ossia, quanto più l’imprenditore deve pagare di tasse e contributi per produrre, tanto più aumenta il costo che deve sostenere per produrre), per molte imprese evadere il fisco è la condizione oggettiva per restare competitive con la concorrenza (soprattutto di paesi con tasse e contributi minimi), per poter restare sul mercato, per non chiudere, per non licenziare. Se venissero costrette a pagare tutte le tasse e i contributi, dovrebbero o cessare l’attività (e magari trasferirsi all’estero) oppure (potendo) scaricare sui loro prodotti il maggior costo di produzione, aumentando i prezzi. Entrambe le soluzioni sono dannose per la collettività. Quindi è semplicistico, demagogico e illusorio dire che sia desiderabile costringere tutti a pagare le tasse. È uno slogan che non tiene conto delle conseguenze. E che dire di quei milioni di italiani che hanno un primo o secondo lavoro in nero? Se il loro lavoro fosse costretto a emergere, costerebbe di più, quindi probabilmente finirebbe. E per quale ragione logica o etica o economica un giovane lavoratore dovrebbe pagare i contributi pensionistici, dato che, per ben che vada, quando andrà in pensione potrà recuperarne solo la metà, poiché che la Casta, per ragioni clientelari, ha concesso pensioni a milioni di persone che non avevano versato o avevano versato poco, per non dire dei falsi invalidi?
Terzo punto: affermare che la popolazione avrebbe vantaggio se non ci fosse evasione, presuppone che i soldi delle tasse siano usati meglio, per gli interessi della collettività, dallo Stato italiano che dai contribuenti. Ma, per gli interessi della collettività, chi usa meglio i soldi: il piccolo imprenditore che li usa per far andare avanti la sua azienda, per mantenere i posti di lavoro, per competere con la concorrenza cinese, rumena, marocchina; oppure la Casta (lo Stato, la Pubblica Amministrazione)? In mano a chi, dei due, i soldi sono più produttivi? La Casta li usa perlopiù per la spesa corrente dell’apparato amministrativo più costoso e inefficiente d’Europa, per aumentarsi gli stipendi, per le sue auto blu (18 euromiliardi l’anno), etc.: il libro di Stella e Rizzo non lascia dubbi. La piccola e piccolissima imprenditoria e il lavoro autonomo sono, al contrario, la struttura portante dell’economia nazionale e del lavoro reale, quella che finora ha salvato il paese. Perché ha potuto evadere.
Quarto punto: non è vero che se pagassero tutti le tasse, la pressione fiscale scenderebbe. Sarebbe vero, se il fabbisogno dello Stato fosse determinato oggettivamente e onestamente. Ma non è così: esso è in buona parte creato ad arte, per scopi precisi. La Casta tende a prelevare in tasse il massimo possibile, e sempre di più, perché usa i soldi delle tasse per arricchire se stessa e per comperarsi il consenso elettorale; gran parte della spesa pubblica è inutile o sprecata. Le tasse che noi paghiamo, in buona parte, sono usate per fini illegittimi. A cominciare da quei circa 90 miliardi l’anno che lo Stato regala agli azionisti privati (in buona parte stranieri) della Banca d’Italia per quei pezzi di carta stampata che sono le banconote e per i relativi interessi sul debito pubblico. Basterebbe una bella revisione dei bilanci della Banca d’Italia e dello Stato, che riflettesse la realtà economica togliendo di mezzo i criteri contabili fasulli che lo Stato concede alle banche, per raddrizzare finanziariamente le cose.
Quinto punto: la Casta aumenta quanto può la pressione fiscale, indipendentemente dai bisogni oggettivi, anche perché quanto più toglie alla gente e alle imprese, tanto più rende la gente e le imprese dipendenti dalla redistribuzione (incentivi, sussidi, assistenza, etc.), cioè dalla benevolenza della Casta stessa. Quindi rende l’una e le altre più obbedienti e sottomesse a sé stessa. Meno capaci di ribellarsi. La Casta riesce a mantenersi al potere nonostante sia tanto palesemente e notoriamente inefficiente e corrotta, proprio perché ha grandi quantità di soldi dei contribuenti da usare per comperarsi voti e supporti anche mediatici. Grazie a questi soldi, quindi, riesce a vanificare i meccanismi (teorici) della democrazia rappresentativa e a restare fissa al potere. È questa l’implicazione principale del libro di Stella e Rizzi: la Casta è il fallimento della democrazia rappresentativa perché legifera e governa in rappresentanza dei suoi propri interessi e a spese del popolo, anziché legiferare e governare per il popolo elettore.
Sesto punto: se la Casta che impone e raccoglie le tasse non rappresenta il popolo e non è possibile sostituirla perché essa si compera i sostegni grazie ai soldi delle tasse di cui dispone e alle leggi elettorali che essa vota a proprio beneficio, allora, in base al principio fondamentale “niente rappresentanza, niente tassazione”, le tasse sono illegittime. Anzi, poiché la Casta ha vanificato il principio della rappresentanza democratica, che è alla base della legittimazione del potere politico, in Italia il potere politico stesso, in base ai principi della nostra Costituzione, è delegittimato.
Si potrebbe continuare, ma è ora di trarre le conclusioni: i mezzi elettorali e i mezzi giudiziari hanno fallito, la Casta rimane dov’è, a rubare e distruggere risorse prodotte dal lavoro dei cittadini. I Francesi avevano una Casta, nota come Ancien Régime, la quale, come la nostra, divorava e distruggeva risorse, gonfiando il debito pubblico e opprimendo la nazione. L’aveva portata alla bancarotta, allo sfascio, all’inefficienza. E i Francesi se la sono tolta dalle spese con la Rivoluzione. Sono insorti, e il colonnello delle guardie regie, al momento giusto, alle Tuileries, non ha fatto sparare sul popolo, ma contro il Palazzo delle tasse e dei debiti. Però gli Italiani non sono i Francesi. Non ne hanno il coraggio, il senso di dignità, di libertà. Non hanno la fiducia nelle regole e la capacità di organizzarsi, necessarie per mettere insieme una rivoluzione. Non sono nemmeno una nazione unica. L’unica via d’uscita da questa situazione, che sia a loro disposizione, e che del resto stanno tornando a praticare, è l’emigrazione verso sistemi-paese più efficienti e più sani.
Non stupiamoci che, in questa fase di declino, la “grande” politica della Casta consista, a parte dalla tassazione, nel privatizzare monopoli di servizi e beni pubblici essenziali (per estorcerci con le tariffe monopolistiche quanto non ci sottraggono col fisco), e nel privatizzare e vendere al capitale straniero le imprese e i mercati strategici (chimica, cantieristica, grande distribuzione, autostrade…). E grandi pezzi della Banca d’Italia. Non stupiamoci che l’azienda Italia segua le sorti delle grandi aziende in crisi che non riescono a risanarsi da sé, e che vengono quindi rilevate, a pezzi, dalla concorrenza.
Non perdiamo tempo a stupirci o in altre cose inutili Perché gli ultimi ad andarsene saranno quelli che alloggeranno peggio. Già 120 miliardi di Euro sono scappati dall’Italia, nel primo anno del Governo Prodi.
Mantova, 12 Luglio 2007 Marco Della Luna
COMMENTO DI AHFESA:
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Caro avvocato e stimati lettori,
La disamina rappresentata é evidente, tanto evidente che appunto si rispecchia anche in uno scritto di 12 anni fa. Infatti i problemi sono sempre quelli, salvo l`essersi a dismisura acuiti nel tempo, generando effetti sempre più perversi :
- perchè un sistema fiscale funzioni in un paese ad elevata concentrazione del reddito (pochi ricchi che hanno tanto e tanti poveri che hanno poco) é indispensabile che l`imposizione sia diretta e progressiva, sul patrimonio (tutto indistintamente e non solo gli immobili e per aliquote non confiscatorie e con ampia soglia di esenzione) e sul reddito. Esattamente il contrario di quanto ci « consigliano » i padroni di Bruxelles i quali vogliono tassare a testatico per far cassa subito, colpendo non la ricchezza prodotta veramente, ma quella « inferita » magari anche con assurdi metodi informatici, i quali somoglierebbero al « pizzo » se non fosse che i mafiosi sono più intelligenti e non ammazzano (economicamente) i loro « clienti » con stime assurdamente esose.
- L`amministrazione fiscale deve rispettare lo stato di diritto, avendo ogni mezzo di indagine, ma assumendo l`onere della prova. Il contribuente ha diritto alla sua riservatezza, la quale può essere violata solo dietro provvedimento dell`autorità giudiziaria che accerti la reale sussistenza dei sospetti. L`amministrazione risponde pecuniariamente nel caso persegua chi viene poi trovato innocente. L`evasione fiscale, di ogni tipo e valore, é un delitto che con varie pene deve essere di competenza della comune giustizia penale come negli USA. A parità di reddito ci deve essere parità di tassazione. La tassazione é come dovrebbe essere la legge, cioé eguale per tutti. Le uniche eccezioni devono dipendere da gravi, motivate, temporanee, situazioni personali del contribuente.
- Il contribuente deve poter portare in detrazione ogni suo costo giustificato, come il fisco può tassare ogni suo ricavo. Non devono esistere « giochi delle tre carte » dove per avere entrate surrettizie il fisco complica procedure, emette norme contraddittorie, ricorre a accertamenti pretestuosi. Le norme tributarie, essendo materia penale, non possono aver valore retrottivo. Le dichiarazioni devono essere semplici, potendo anche il fisco compiere accertamenti induttivi, ma eventualmente in contraddittorio con il contribuente. La tassazione complessiva non può essere in nessun caso ed anche per singoli titpi di reddito confiscatoria. (es la tassazione sul riscaldamento e l`energia, gravate di esorbitanti accise su cui poi si si applicano addizionali ed IVA, cioé le tasse sulle tasse)
Mi rendo conto che questi semplici principi, per altro propri di quei paesi noti per l`elevata compliance fiscale, sono da noi attuali come la letterina a Babbo Natale a Rovaniemi. Dunque si creano spontanei comportamenti da parte dei comuni contribuenti per la difesa di sopravvivenza.
- occultare quando possibile i propri averi ed entrate. Vedi il ricorso al contante proprio però appunto degli « evasori di sopravvivenza », ricorrendo i grandi evasori a sistemi di fatto paralegali o addirittura pienamente legali come i « ruling »
- cercare di usare ogni mezzo, possibilmente semilegale o anche illegale, per inceppare la macchina del fisco
- Ricorrere alla falsificazione ed alla corruzione
- Esportando in vari e strani modi i propri averi verso giurisdizioni fiscalmente privilegiati (pratica oggi per molto pochi dotti di opportune entrature)
- Il funzionario del fisco considera il contribuente una pecora da tosare, il contribuente considera l`amministrazione come un orco predatore.
- La comliance fiscale é funzione del buon uso del denaro pubblico ed il contribuente si sente moralmente leggittimato ad evadere se questo é palesemente ed arrogantemente sprecato.
Particolarmente odiata é la pratica del fisco di promuovere accertamenti palesemente fasulli, tipo il chiedere (con esorbitanti aumenti) due volte quanto già incassato. Difatti queste porcherie legalizzate colpiscono normalmente i più deboli, molte volte obbligandoli a pagare quanto non devono, ed inoltre senza dare ristoro per i costi di difesa, di molto aumentati anche dall`inversione dell`onere della prova. Ed in più (beffa nella beffa) i costi della difesa per il privato contribuente non solo non sono rifusi, ma anche sono fiscalmente indeducibili. Quindi il contribuente trovato innocente paga anche le tasse su quanto ha dovuto spendere per dimostrare di essere innocente.
Ma io penso che l`argomento dirimente che causa questa situazione sia l`inversione di un fondamentale principio di normale amministrazione. Difatti ognuno, ricco o povero che sia, dimensiona le proprie spese alle proprie entrate. Da noi invece vige la regola inversa : lo stato spende (una volta per i vizi dei vari furfanti che per 30 anni ci hanno governato col nostro consenso, vedi Craxi, Berlusconi, Prodi e similia, oggi per soddisfare le sempre più esose pretese dei padroni e padrini tedeschi di Bruxelles) e poi decide come reperire le risorse, con l`avvertenza che non può andare a debito e quindi deve necessariamente pescare nelle tasche dei sudditi. Quindi come quel datore di lavoro che vuole la Ferrari (o deve pagare gli usurai) e non producendo in via naturale la sua azienda il reddito necessario, si procura entrate tagliando il salario ai dipendenti, non pagando i fornitori contestando le fatture, aumentando i prezzi e fronte di merce sempre più scadente. E tale imprenditore si ritiene autorizzato a questi sistemi essendo monopolista e magari avendo i « persuasori ».
Come dico spesso questo modo di procedere é condannato all`estinzione, spero non violenta. Difatti le periodiche campagne di « lotta all`evasione » e provvedimenti capestro collegati, non fanno altro che creare ulteriori costi burocratici ed amministrativi, non toccano i grandi evasori e generano un`ulteriore caduta dei consumi e delle sempre più bastonate piccole e medie attività che son poi quelle che oramai tengono vivo il paese. Conseguenza sovente a prezzo di dure punizioni sui comuni cittadini, lo stato stesso poi incassa poco di più rispetto e prima ed a volte anche meno.
I risultati delle recenti elezioni in Umbria sono convinto non faranno ravvedere i nostri capi né a Roma né a Berlino, anzi i titoli dei media non populisti, passato il momentaneo scoramento, hanno ripristinato il corifeo su manette, lotta al contante, tasse, mercati, Europa ed amenità connesse, come se niente fosse successo. Anzi qualcuno si bea che i « populisti » non hanno sfondato essendo solo al 48% e pure in una regione secondaria, agricola ed « a bassa istruzione » con solo 700 mila abitanti. Eh sì perchè il Bisconte si regge sul « voto » della fantasmagorica Rousseau dove gli « entusiasti » erano 70 mila… Difatti il capo si ispira a Modugno. Non so mica quanto questo piacerà alla Cancelleria….
Personalmente consiglio il prof. Gualtieri di ricordare quanto conosce benissimo essendo storico e non economista. Difatti giorni fa, qualcuno eccepì che aumentare la cedolare del 25% (da 10 a 12,5 cioé un quarto) sugli affitti agevolati significava punire i proprietari di immobili modesti, già per altro locati a canoni ridotti. Il professore replicò che lui non aveva aumentato niente, anzi aveva « ridotto » (ecco il lessico). Ovvero era previsto nei programmi fiscali del governo Gentiloni di portare nel tempo la cedolare dal 10 al 15%. Lui l`aveva dunque R I D O T T A al 12, 5 dunque non aveva certamente punito nessuno. Come dire che ti tiro due sberloni e tu mi devi ringraziare perchè io non ti ho picchiato poichè dovevo dartene quattro.
La spudorata arroganza del professore dovrebbe ricordargli la simile risposta che (si dice) diede Maria Antonietta, quando suggerì alle donne di Parigi di mangiare brioches se non avevano pane.
Tutti sanno come finì Maria Antonietta ed il suo povero consorte che non le insegnò per tempo a tener a freno la lingua.