ERITIS SICUT NIHIL
ERITIS SICUT NIHIL
I malati del Nulla
Nel capitalismo finanziario assoluto e nella sua cultura possono esistere ed essere riconosciuti unicamente valori di scambio, anzi simboli di valore di scambio, cioè le nozioni contabilizzabili, espresse in numeri riportabili nei bilanci e nei conti di dare e avere, in modo da poter fare confronti, necessariamente quantitativi quindi numerici, tra costi e benefici e redditività differenziale tra le opzioni di investimento: questi infatti sono i metodi con cui i grandi soggetti economici e politici fanno le scelte operative, i business plans, le leggi di bilancio, il sacro rating. La ragioneria si è fatta scienza suprema, la scienza dell’Assoluto, destituendo l’ontologia e la teologia. Un Assoluto per il quale tutto è oggetti, oggetti tra loro separati benché omogeneizzati, mentre il soggetto deve svaporare, perché il soggetto, l’essenza inalienabile quindi non commerciabile, porrebbe un limite alla mercificazione (e ancor più, ovviamente, lo pone un dio trascendente e insieme presente nell’uomo e nel mondo). Quello che tu sei per tua natura, non (te) lo posso vendere. Res extra commercium. Il consumismo, che sostiene il PIL, le borse, quindi tutto il sistema, insegna all’uomo che, per esistere, per significare e dare significato alla vita, necessita di acquisire cose e ricchezze, di comperare identità, sotto forma di griffes, brands e gender, e altresì capacità, sotto forma di apps. Il soggetto in sé è un nulla, è ridotto a mero centro di diritti ad acquistare e di doveri di pagare. Un soggetto che compera identità e capacità, invero, nega se stesso col suo stesso comportamento, per fatti concludenti, e si condiziona così a sentirsi un niente in se stesso. Da qui la malattia del nichilismo.
Scalda il cuore, in tale scenario, leggere scritti di validi, dotti e profondi intellettuali che denunciano, analizzano e criticano il processo con cui si è arrivati dalla morte di Dio alla dissacrazione del mondo e dell’uomo, e alla loro mercificazione senza residui, col dissolvimento di ogni cornice-garanzia ontologica e valoriale trascendente e divina, e con la conseguente manipolabilità radicale dell’uomo anche in modo biologico e genetico. Se Dio non esiste, dell’uomo puoi fare ciò che è più redditizio, senza vincoli. Eritis sicut nihil. Le regole, i metodi, i criteri valutativi proiettano prepotentemente il nulla nell’animo umano – il nulla di significato intrinseco dell’esistenza, il vuoto di suo valore proprio. Come annuncia Elon Musk, sempre nuovi milioni di lavoratori sentiranno annullarsi il significato delle proprie esistenze, via via che l’intelligenza artificiale li renderà superflui, improduttivi. Per loro il salario di cittadinanza sarà l’accompagnamento alla morte. L’Occidente non è attrezzato mentalmente a metabolizzare siffatte suggestioni annichilanti, e lo vediamo nel diffondersi del degrado psichico e morale. Ad immunizzarlo non bastano ovviamente i non molti pensatori che, in ambito teoretico, hanno trattato “nel merito” e negli effetti il nulla, come Fredegiso da Tours e Martin Heidegger.
Ciò premesso, condiviso e precisato, rilevo che non vi sono, nel panorama a me noto del su accennato pensiero critico, proposte di valide cure per questo male nichilistico.
Si auspica una resistenza dei cultori della tradizionalità, che facciano quadrato intorno ai “resti” di essa. Si auspica uno sblocco del pensiero unico e non dialettico (il TINA, there is no alternative, abitualmente usato per imporre decisioni in base a falsi dogmi economici che mal celano una chiara volontà di oppressione) mediante il ritorno di un pensiero dialettico sia sul piano politico che su quello spirituale. Si auspica il risveglio del senso della trascendenza attraverso la liturgia e il recupero della fede nel divino e nel comunitario (contro l’individualismo nichil-edonistico e vacuo-narcisistico). Si auspica insomma sostanzialmente la rianimazione del passato; ma la storia non torna mai indietro, il sole di ieri non scalda e non illumina più, e soprattutto non possiamo fingere di non vedere che il nichilismo di oggi, sul piano culturale, è figlio o esito diretto della filosofia, della religione e della politica di ieri e di avant’ieri, le quali pertanto non possono sfuggirgli né difendersi da esso.
Innanzitutto, è figlio di una filosofia che nel suo grembo contiene già, da più di venticinque secoli, il germe del nulla che tutto ingoia, Dio incluso, e lo contiene in modo ancor più profondo e fallace di come spiega Emanuele Severino analizzando la storia del pensiero ontologico da Parmenide in poi, per bollarla come segnata già sul nascere, con Melisso, dal travisamento dell’essere (ossia dal pensare che l’esistente possa nascere e morire) e dall’inizio del tramonto degli immortali. Per questo, sul piano teoretico, la vittoria sul nichilismo di necessità passa per una comprensione qualitativamente diversa dell’essere, soprattutto nel suo rapporto col divenire, rispetto a tutta la storia del pensiero occidentale. Di ciò mi sono occupato in Terminus.
Sul piano mentale, certamente, ancora oggi abbiamo soggetti immuni dalla suggestione e dalla penetrazione nichilistica, soggetti che non ne hanno assimilato i presupposti perché non raggiunti o non suggestionabili da essi. Soggetti che possono mantenere viva la fiamma persino nella corrente, infausta temperie. Continua financo la pratica esoterica, vuoi nello yoga orientale vuoi nell’esicasmo cristiano ortodosso, vuoi di altre tradizioni – una pratica che in virtù dell’esperienza diretta alimenta il vissuto del divino o dell’infinito, e un salvifico sentimento dell’essere, un pensiero forte che sorge da un’esperienza non mediata, non mutuata – cioè… non a debito. Questo è possibile ovviamente non per il corpo sociale e non ai fini e agli effetti politici, ma per pochi, per pochi che, innanzitutto, non hanno assorbito attraverso la società, la gregarietà, le suggestioni di massa i gusti, i bisogni, i paradigmi del pensiero unico edonista, materialista, nichilista. E che, in secondo luogo, si rimboccano le maniche o… le meningi. Gli asceti – dal Greco (àskesis, esercizio) – si impegnano in un percorso, a un opus metodico, a un faticoso lavoro di autotrasformazione, cioè a un qualcosa a cui la gente si è disabituata e di cui anzi ha smarrito la nozione soprattutto per effetto del culto edonista del desiderio e della mancata coltivazione, anzi la derisione, di tale tipo di lavoro nella cultura contemporanea, compresi in essa il recente cristianesimo cattolico e quello protestantico.
Sul piano culturale e morale, non vi sono dinamiche che possano sottrarre il vecchio ordine di valori borghese, proletario, cristiano, al nulla che avanza, resistendo alla sua avanzata. Questa è generata e sospinta da dinamiche e interessi troppo forti, immensamente troppo forti. In qualche modesta misura, si può fare resistenza, ma senza prospettive, anche perché, ripeto, proprio quell’ordine, e la sua teoria, contengono da sempre il germe del nichilismo, della propria liquidazione. La cultura occidentale non è attrezzata per misurarsi col nulla, per metterlo a frutto. Perciò la vedo inerme e soccombente. Le religioni popolari hanno strumenti per trattare la morte, il male, il peccato, l’ingiustizia, mentre non hanno strumenti per trattare il nulla: una volta che il senso dell’inanità, la perdita di significato dell’esistere abbiano aggirato la loro fede, si ritrovano inerti come la linea Maginot aggirata dalla Wehrmacht.
In realtà, la mossa vincente sarebbe fare esattamente l’opposto del rianimare e propugnare la vecchia religiosità, del difendere il passato – ossia bisognerebbe aprirsi al nulla attivamente, per assimilarlo, metabolizzarlo, navigarlo. Mi riferisco alla comprensione, all’’evocazione’ e all’uso del senso del nulla, del vuoto, come comprensione trascendentale e potere illuminante e liberatorio, che troviamo nel buddhismo tibetano da circa mille anni. Il nulla non va temuto, bensì salutato come l’ambito in cui la mente può meglio cogliere la sua natura propria, fondamentale, trascendentale, e con questo stesso atto si libera. Spero di vedere qualche intellettuale no-mainstream prendere in esame quella comprensione e quella prassi, alla quale ho dedicato Farsi luce.
Sul piano, infine, della prassi socio-politica, mi limito a tracciare il contorno di ciò che ho esposto altrove (Tecnoschiavi, Oligarchia per popoli superflui) con tutta la dovuta ampiezza. Il capitalismo finanziario spinge fuori mercato tutti gli altri sistemi perché più di tutti, anzi illimitatamente, è in grado di generare il denaro e il debito, cioè il motivatore universale, quello per cui quasi tutti fanno o accettano quasi tutto, e a quasi tutto danno il consenso, legittimandolo. Ha preso la guida, attraverso l’indebitamento pubblico e il ricatto del rating, delle istituzioni pubbliche, parlamenti inclusi, trasformandole in suoi front-offices ed organi effettori. Globalizzazione, finanziarizzazione, automazione, intelligenza artificiale hanno reso (e sempre più renderanno) i popoli intercambiabili ed esuberanti per i bisogni dell’apparato di produzione di potere e ricchezza; è per questo, che i popoli, i lavoratori, i cittadini hanno perso la forza di contrattazione sociale che avevano prima, e che di conseguenza perdono sempre più diritti economici e non. E, sentendosi inutili, il significato dell’esistenza. La funzione dello stato e delle istituzioni, nel nostro sistema, non è servire il popolo, bensì (far sì che una élite possa) servirsi di esso, e ridurlo a una condizione zootecnica di passività, controllo e manipolazione anche biologica (lo abbiamo sperimentato a fondo grazie alla pandemia) – con la differenza, rispetto all’allevamento di animali, che gli uomini vanno anche indottrinati e imboniti; al che provvedono la politica, la scuola e la libera informazione, oggi con l’aiuto della socio-religione bergogliana. La forma aziendale, quella cioè che massimizza controllo, previsione e produzione, viene applicata alla società nel suo complesso, rendendola zootecnica. Non è una novità: i sistemi di potere, nel corso della storia, si servono delle tecnologie che divengono via via disponibili per aumentare la presa e il controllo dei popoli governati, senza alcuna remora etica; sono i mutamenti nelle tecnologie di dominio che innovano le strutture giuridico-politiche; e oggi la tecnica mette a disposizione dei gruppi dominanti strumenti capillari, potentissimi e irresistibili.
Pertanto, il resistere difensivamente, o il cambiare questo sistema dal basso, sono più che mai oltre le capacità e i mezzi della gente. Inoltre, contrariamente a quanto insegna il catechismo liberale e democratico e a quanto i più si lusingano di credere, le svolte della storia mai sono state prodotte da azioni popolari pianificate e coordinate dal basso, bensì quasi sempre da mutamenti fisici (geo-climatici), scoperte geografiche (l’America), invenzioni tecnologiche (dal bronzo al computer) e finanziarie (la cambiale, la cartamoneta), e da processi economici sottotraccia (la demonetizzazione dell’Impero Romano d’Occidente). E i grandi sistemi di potere sono più spesso crollati per logoramento e malfunzionamento endogeni, che per attacchi dall’esterno. Appunto in malfunzionamenti di tal genere si può oggi razionalmente sperare per vedere il fallimento del presente ordine, aggiungendo i voti che l’augurato crollo non trascini dalla padella alle braci di un ordine peggiore, seppur… artificialmente intelligente.
21.3.2023