IL PM DI SIENA CHIEDA IL FALLIMENTO DI MPS – ALTRIMENTI NON LO RISANANO
IL PM DI SIENA CHIEDA IL FALLIMENTO DI MPS
ALTRIMENTI NON LO RISANANO
Dalla Legge Fallimentare n. 267/1942 (sottolineature mie):
Art. 5 (Stato d’insolvenza) L’imprenditore che si trova in stato d’insolvenza è dichiarato fallito.
Lo stato d’insolvenza si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni
Art. 6 (Iniziativa per la dichiarazione di fallimento) Il fallimento è dichiarato su ricorso del debitore, di uno o più creditori o su richiesta del pubblico ministero.
Nel ricorso di cui al primo comma l’istante può indicare il recapito telefax o l’indirizzo di posta elettronica presso cui dichiara di voler ricevere le comunicazioni e gli avvisi previsti dalla presente legge.
Art. 7 (Iniziativa del pubblico ministero) Il pubblico ministero presenta la richiesta di cui al primo comma dell’articolo 6:
1) quando l’insolvenza risulta nel corso di un procedimento penale, ovvero dalla fuga, dalla irreperibilità o dalla latitanza dell’imprenditore, dalla chiusura dei locali dell’impresa, dal trafugamento, dalla sostituzione o dalla diminuzione fraudolenta dell’attivo da parte dell’imprenditore;
2) quando l’insolvenza risulta dalla segnalazione proveniente dal giudice che l’abbia rilevata nel corso di un procedimento civile.
In materia di banche, dice la giurisprudenza della Corte di Cassazione:
Lo stato di insolvenza di una banca sottoposta a liquidazione coatta amministrativa – la cui sussistenza, ai sensi dell’art. 82, comma secondo, del d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, deve essere riscontrata con riferimento al momento dell’emanazione del provvedimento di liquidazione – si traduce, sulla base della generale previsione dell’art. 5 legge fall., applicabile in assenza di autonoma definizione, nel venir meno delle condizioni di liquidità e di credito necessarie per l’espletamento della specifica attività imprenditoriale. La peculiarità dell’attività bancaria – la quale implica che l’impresa che la esercita disponga di molteplici canali di accesso al reperimento di liquidità per impedire la suggestione della corsa ai prelievi – fa peraltro sì che assuma particolare rilevanza indiziaria, circa il grado di irreversibilità della crisi, il “deficit” patrimoniale, che si connota come dato centrale rispetto sia agli inadempimenti che all’eventuale illiquidità. (Rigetta, App. Salerno, 5 Settembre 2001)
Cass. civ., Sez. I, 21/04/2006, n. 9408
Lo stato d’insolvenza bancaria deve essere accertato al momento dell’emanazione del provvedimento che dispone la liquidazione coatta amministrativa e sussiste, alla stregua di quanto previsto dall’art. 5 l. fall. – R.D. n. 267/1942, con gli adattamenti al quadro normativo di riferimento, in ragione del venir meno delle condizioni di liquidità e di credito necessarie per l’espletamento della specifica attività imprenditoriale. Particolare rilevanza indiziaria circa il grado d’irreversibilità della crisi è da attribuirsi alla sussistenza di un grave deficit patrimoniale, a prescindere dal verificarsi o meno dell’inadempimento delle obbligazioni.
Cass. civ., Sez. I, 21/04/2006, n. 9408
Al punto a cui siamo giunti e alla stregua di ciò che abbiamo appreso sinora, invito il PM di Siena e quello di Trani a richiedere al Tribunale di Siena la dichiarazione del fallimento di MPS. Ma non affinché fallisca, bensì affinché sia salvato, affinché i responsabili del problema (banche straniere, Governo, Bankitalia, Abi, Consob, BCE e UE, nonché il PD e tutta la partitocrazia) smettano di negare, di fingere, di sprecare, di preparare nuovi dissesti, e risolvano utilmente il caso, valorizzando soprattutto il capitale umano e l’avviamento del Monte, coi suoi oltre 30.000 dipendenti, e le sue migliai di sedi, e i 6 milioni di clienti. E anche per stimolare riflessioni e riforme in materia di Banca d’Italia, legge bancaria, repressione dell’usura, sicurezza dei risparmiatori, disponibilità di credito all’economia reale.
In base alle norme di legge e ai principi giurisprudenziali sopra esposti, che chiariscono che, per aversi il fallimento di una banca, non è necessario che sia presente un’irregolarità attuale dei pagamenti, ma basta che questa sia prevedibile soprattutto in base al deficit patrimoniale, possiamo concludere che sussistono le condizioni di legge per la dichiarazione del fallimento di MPS: infatti, per soddisfare le proprie obbligazioni, comprese quelle scaturenti dai contratti derivati in essere, ha avuto bisogno di contrarre prestiti con lo Stato per un ammontare superiore al proprio valore di mercato (Monti bonds) e a tasso squilibrato (9%, contro l’1% dei prestiti della BCE), di vendere beni strumentali immobili, di vendere la Biver Banca, di chiudere sedi, di licenziare migliaia di dipendenti, di tagliare gli stipendi. I bilanci sono risultati ampiamente inveritieri, nascondendo passività e sofferenze. Il bilancio depositato nel 2012 evidenza perdite ingentissime, multiple della valorizzazione di borsa. L’azione si è costantemente deprezzata negli ultimi anni sino a un valore decimale. La banca è ricorsa alla sospensione dei pagamenti di oltre 30.000 mutui dei clienti incapaci di pagare per evitare di dichiarare le relative sofferenze. E’ accertato che la banca ha subito forti perdite patrimoniali che ne hanno compromesso la vitalità. Il rating è stato abbassato a livello BB con outlook negativo. Sono contabilizzate sofferenze per 17 miliardi. Una rapida ispezione per verificare la criticità dei crediti, anche a campione, presso alcune filiali, potrà accertare la misura delle sofferenze non dichiarate in bilancio. In concreto, si tratta di andare nelle filiali e farsi estrapolare in tempo reale le liste delle posizioni critiche non ancora incagliate, oltre a verificare il volume dei mutui che sono stati sospesi. A seguito dell’istanza di fallimento che auspico venga presentata dal PM di Siena, la minaccia della dichiarazione di fallimento e della conseguente configurabilità di reati come la bancarotta fraudolenta distruttiva e documentale – reati che, data la gravità dei danni, possono comportare pene sui 10 anni di reclusione e molti mesi di custodia cautelare in carcere non solo per i managers ma anche per i responsabili istituzionali degli omessi controlli e interventi, nonché per il livello politico – può indurre a sanare realmente il male di MPS, anziché tirarlo avanti mascherandolo con continue iniezioni di denaro pubblico, cioè con continuo sperpero, perché chiuso un buco ne affiora un altro.
E la soluzione è semplice: invece che lasciarne dichiarare il fallimento, si può nazionalizzare la banca, azzerare il capitale sociale e ricostituirlo, finanziarla all’1% presso la BCE, capitalizzarla con beni pubblici, e dedicarla ad erogare credito a tassi competitivi con quelli tedeschi per finanziare l’economia reale italiana, le imprese non finanziarie. Dato che le imprese italiane sono affamate di credito, la domanda è assicurata, soprattutto se contemporanemante si abbatterà l’imposizione sugli immobili. Considerato che attualmente le imprese pagano circa l’8-9%, e considerato che la banca pagherebbe il denaro l’1%, se prestasse al 4% avrebbe una discreta forbice, da moltiplicare mediante il moltiplicatore bancario. Inoltre introiterebbe le commissioni praticate sui fidi e i servizi connessi. Il suo management, ovviamente, non dovrà aver avuto legami con banche d’affari o straniere. Il suo management, ovviamente, non dovrà aver avuto legami con banche d’affari o straniere.
Questa possibilità è data da due articoli del Trattato di Lisbona:
Articolo 123 (ex articolo 101 del TCE)
1. Sono vietati la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte
della Banca centrale europea o da parte delle banche centrali degli Stati membri (in appresso denominate “banche centrali nazionali”), a istituzioni, organi od organismi dell’Unione, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l’acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali.
2. Le disposizioni del paragrafo 1 non si applicano agli enti creditizi di proprietà pubblica che, nel contesto dell’offerta di liquidità da parte delle banche centrali, devono ricevere dalle banche centrali nazionali e dalla Banca centrale europea lo stesso trattamento degli enti creditizi privati.
Articolo 124 (ex articolo 102 del TCE)
È vietata qualsiasi misura, non basata su considerazioni prudenziali, che offra alle istituzioni, agli organi o agli organismi dell’Unione, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri un accesso privilegiato alle istituzioni finanziarie.
Questa possibilità di soluzione costruttiva fa apparire l’inconsistenza e l’incompetenza di proposte come quella avanzata il 29.01.13 a Piazza Pulita da Gianfranco Fini, che vorrebbe vendere beni pubblici per costituire col ricavato un fondo di garanzia – tipo Confidi – che co-garantisca quelle banche che fanno credito alle imprese. Fini aveva lanciato quella pessima idea rispondendo in diretta ad alcuni imprenditori milanesi che avevano infatti posto il problema seguente: poiché l’Imu, le altre tasse, le misure recessive, hanno abbattuto il valore degli immobili e soprattutto il mercato immobiliare, le banche non accettano più gli immobili come garanzia per erogare credito, o li accettano a condizioni assurde; quindi tagliano il credito, e ciò determina un taglio della liquidità, quindi della solvibilità, dei consumi, degli investimenti, e una marea di fallimenti e morti aziendali. Inoltre, gli imprenditori milanesi lamentavano gli altissimi tassi di interesse.
La proposta di Fini è pessima non solo perché è molto meno razionale e strutturale della precedente, ma anche per altre ragioni. Innanzitutto, i beni pubblici rimasti da vendere sono perlopiù tipologicamente difficili da vendere, poco appetibili. In secondo luogo, mancano i soldi per pagarli: chi ha i soldi ora sono gli stranieri e la criminalità organizzata. In terzo luogo, questa soluzione non è idonea ad abbassare il costo del denaro per le imprese, ma anzi fa sì che lo Stato, attraverso il fondo, si ritroverà a pagare interessi elevatissimi alle banche, quando queste chiameranno il fondo a pagare i debiti insoluti dei loro clienti. Quindi è un modo per indebitare lo Stato verso i banchieri e per trasferire ulteriore denaro dalla nazione agli speculatori.
Vi è una misura semplice, perché puramente legislativa, idonea ad abbassare il costo del denaro.
Oggi il reato di usura si ravvisa quando viene superato un tasso soglia calcolato periodicamente sulla base del tasso medio praticato dalle banche, maggiorato di 1/4, e maggiorato ulteriormente di 4 punti . Questo consente alle banche, le quali operano in cartello, di alzare a piacimento il tasso soglia, cioè di legittimare l’usura: basta infatti che, se il tasso medio praticato oggi è – poniamo – l’8% (quindi il tasso soglia è 8 + 2 + 4 = 14%), si accordino di portare il tasso medio al 12%, e il tasso soglia salirà a 12 + 3 + 4 = 19%. Cioè potranno prestare il denaro fino a tassi del 20% l’anno. Le indicazioni di Bankitalia a seguito della modifica dell’art. 644 c.p. della legge sull’usura evidenziano inoltre una ” dimenticanza”: non si prendono piu’ a base di conteggio le commissioni praticate sui fidi, con il risultato che adesso queste sono enormemente lievitate. Con il calcolo ante riforma oggi tutte le banche risulterebbero praticare tassi ampiamente usurai.
Orbene, è chiaro che questo sistema, che rimette ai banchieri, cioè ai potenziali usurai, la determinazione del livello di interessi che hanno il diritto di esigere, è un sistema escogitato da banchieri per banchieri. Si aggiunga che, anche quando il tasso usuraio viene superato, magari per effetto di anatocismo o commissioni esagerate, i responsabili si possono difendere, e di fatto vengono assolti dai tribunali di questo Stato dipendente dalle banche per il rifinanziamento del proprio debito pubblico, dicendo che quel calcolo dell’anatocismo, quelle commissioni, erano state autorizzate dalle circolari della Banca d’Italia. Ma la Banca d’Italia è di proprietà e gestione di banchieri e assicuratori privati, anche stranieri. Quindi è di nuovo la corporazione dei banchieri che sorveglia se stessa e stabilisce i propri diritti e poteri verso il resto della società. Il PM di Trani ha aperto un procedimento contro ignoti per ipotesi di omessa vigilanza da parte di Bankitalia e Consob. Il Tar di Roma ha convocato Bankitalia per sentirla in relazione al via libera dato ai Monti bonds.
Per queste ragioni, per le troppe inefficienze od omissioni di vigilanza e intervento, riconducibili a quel clamoroso conflitto di interessi, o meglio incompatibilità di ruoli (sorvegliante-sorvegliato), Banca d’Italia, o perlomeno la maggioranza assoluta delle sue quote, va nazionalizzata.
Il tasso-soglia di usura potrà essere calcolato prendendo a riferimento, anziché il tasso medio praticato dalle banche, l’andamento del costo della vita rilevato dall’Istat; ad esempio, la formula potrebbe essere : tasso di svalutazione (inflazione) x 3 (includendo nel calcolo del taeg le commissioni praticate) – ad esempio: tasso di svalutazione (inflazione) x 3 (i valori qui scelti sono solo esemplificativi).
Inoltre dovrà essere stabilito che, negli interessi composti, non solo gli interessi si capitalizzino con pari frequenza per la banca e per il cliente, ma anche che la forbice tra tassi attivi e tassi passivi sia contenuta in termini equilibrati, altrimenti si ha che la banca, ad es., capitalizza ogni 3 mesi al tasso del 10%, mentre il cliente capitalizza sì pur’egli ogni 3 mesi, ma all’1%; quindi il risultato è iniquo.
Si potrebbe quindi integrare la formula proposta per il tasso soglia di usura come segue: tasso di inflazione x 4 : + ∆ pil. Così se l’inflazione è al 3%, il pil al 2% e le banche mediamente prestano il denaro al 10% mentre pagano l’1% ai depositanti, il tasso soglia sarà 3 x 4 : 3 + 2 = 6%. Se invece lo prestano al 6% e pagano ai depositanti il 2%, avremo 3 x 4 : 2 + 2 = 8%. Se, ceteris paribus, il ∆ pil va a 0, avremo il tasso soglia del 6%. Se il ∆ pil va a 4%, avremo la soglia all’8%.
Tre ulteriori riforme vanno introdotte, per mettere in sicurezza il credito e il risparmio, anche in funzione di stabilizzare il sistema bancario e di assicurare liquidità all’economia reale e serenità ai depositanti.
La prima è il divieto per le banche di credito e risparmio di operare (anche indirettamente, tramite fidejussioni o partecipazioni) in derivati e in generale sui mercati speculativi; dovranno essere determinati per legge i tipi di strumenti finanziari che sono legittimate a trattare e tenere in portafoglio. Saranno altresì consentiti quei contratti derivati che hanno funzione di copertura assicurativa contro un rischio relativo ad assets effettivamente in portafoglio.
La seconda è il divieto per gli enti di diritto pubblico o di proprietà totale o maggioritaria pubblica di trattare o detenere titoli finanziari diversi da titoli del debito pubblico. Saranno anche qua consentiti specifici tipi di contratti derivati assicurativi.
La terza è la trasformazione dei depositi bancari da depositi irregolari (in cui tu depositi il denaro alla banca, e il denaro passa dalla tua proprietà a quella della banca, salvo che la banca ha l’obbligazione di restituirteli a richiesta, ma se fallisce tu li perdi) a depositi regolari (in cui i tuoi soldi rimangono tuoi e la banca si limita a custodirli contro un modico compenso, così che tu non perdi nulla anche se la banca fallisce) – e lo stato non ha bisogno di garantire i depositanti contro l’insolvenza della banca. Sarà salva la possibilità per il depositante di prestare i soldi alla banca, assumendosi il rischio di insolvenza della banca stessa contro il pagamento di un interesse della banca a favore di lui.
Raccomando infine una riforma dell’art. 10 del Testo Unico Bancario per apportare chiarezza su una componente essenziale della reale attività delle banche, ossia sul fatto che esse, oltre a fare raccolta di depositi ed erogazione di prestiti, svolgono anche la funzione di creare, mediante il suddetto moltiplicatore monetario, mezzi monetari. Il sistema bancario, attraverso il credito, espande infatti la liquidità, i mezzi di pagamento, in quanto crea moneta contabile (o bancaria o creditizia) in aggiunta a quella legale, ossia alla cartamoneta creata dalla banca centrale di emissione. Attualmente questa attività, di dimensioni rilevantissime (oltre il 90% della liquidità è creato in questo modo) e di pubblico interesse, avviene de facto e di soppiatto, senza alcuna legalizzazione o regolamentazione. Dato il ruolo vitale per l’economia di questa attività, e dato il suo carattere altamente fiduciario dal punto di vista sociale, è logico che essa venga dichiarata, legalizzata e regolamentata. L’art. 10 andrà modificato con l’aggiunta qui sotto fatta in corsivo:
10. Attività bancaria.
1. La raccolta di risparmio tra il pubblico e l’esercizio del credito costituiscono l’attività bancaria. Essa ha carattere d’impresa.
2. L’esercizio dell’attività bancaria è riservato alle banche.
3. Le banche esercitano, oltre all’attività bancaria, ogni altra attività finanziaria, secondo la disciplina propria di ciascuna, nonché attività connesse o strumentali.
4.Le banche hanno la facoltà, nel rispetto del pubblico interesse e del risparmio, di erogare credito per importi maggiori del loro patrimonio, creando con ciò mezzi monetari addizionali; tale attività è regolamentata dalla legge e sottoposta ai controlli da essa stabiliti.
31.01.13 Marco Della Luna