LA PSEUDO-COSTITUZIONE RENZIANA
LA PSEUDO- COSTITUZIONE RENZIANA
L’essenza della riforma costituzionale Renzi-Boschi è l’abolizione del costituzionalismo stesso e il ritorno a uno Stato autocratico, in quanto essa sostanzialmente sopprime, tutti insieme, in un unico colpo, i tre pilastri del costituzionalismo: la divisione dei poteri, la scelta popolare dei rappresentanti, la possibilità effettiva di un’opposizione. Quindi è qualcosa di più radicale di una riforma anti-democratica e anti-garantista.
Lo Stato costituzionale e di diritto si distingue dallo Stato autocratico (assolutista o dittatoriale) per tre elementi giuridici essenziali:
-la separazione e reciproca autonomia dei tre poteri dello Stato (esecutivo, legislativo, giudiziario o di controllo);
-la rappresentanza popolare (il popolo sceglie i propri rappresentanti);
-la possibilità di un’opposizione effettiva in parlamento e nel paese;
a questi tre elementi si aggiunge la necessità di una certa indipendenza dei mezzi di informazione.
Senza questi elementi, non si ha nemmeno una costituzione, se non di nome, bensì l’arbitrio del potere.
L’effetto strutturale della riforma Renzi-Boschi, combinata con la legge elettorale renziana detta Italicum, è l’abolizione dell’insieme di questi elementi, cioè la rottamazione dello Stato costituzionale. Questo punto essenziale sta sfuggendo al dibattito in corso: non si tratta semplicemente di una radicale riforma della Costituzione – che già come tale non sarebbe ammessa dalla Costituzione stessa, perché questa prevede solo la revisione (ossia l’aggiornamento, il ritocco) e non la ristrutturazione (art. 138), per la quale sarebbe necessaria la convocazione di un’assemblea costituente. Si tratta di molto più: si tratta dell’abolizione dello stesso principio fondante del costituzionalismo e dello Stato di diritto, garantista e rappresentativo. Un’abolizione che hanno realizzato tutti i dittatori, per divenire tali, iniziando – in epoca moderna – con Napoleone. Non puoi fare il dittatore se c’è un potere indipendente da te, che controlla la legittimità del tuo agire.
La riforma Renzi-Boschi riunisce nelle mani del premier la formazione e guida del governo (potere esecutivo), il controllo della Camera (potere legislativo) e la scelta degli organi di garanzia (potere di controllo). Inoltre, vanifica l’altro pilastro dello Stato moderno, ossia la rappresentanza del popolo, in quanto il Senato non è più elettivo, e 2/3 dei membri della Camera sono decisi dai segretari dei partiti mediante le liste bloccate, mentre il terzo residuo degli eletti è in parte determinato dal caso. Ancora – terzo elemento – in un siffatto parlamento, a liste bloccate e con forte premio di maggioranza, controllato dal premier, non può più concretarsi l’opposizione al premier stesso e all’esecutivo.
Con una norma che introduce la supremazia del governo sulle regioni, e precisamente col nuovo art. 117, anche il bilanciamento “federale” da parte delle autonomie regionali viene eliminato. Questa norma ricalca la riforma costituzionale compiuta da Hitler nel 1933, poco dopo l’ascesa al potere, e nota come Gleichschaltung (“coordinamento”). Hitler aveva riunito in sé il controllo del parlamento e del governo centrali, ma non controllava i parlamenti e i governi dei Laender federali, che spesso si opponevano alla sua politica. Quindi varò una riforma che li sottometteva alle decisioni dello Stato centrale, così da realizzare la Gleichschaltung, ossia l’allineamento. In questo modo la concentrazione dei poteri dello Stato nelle mani del capo dell’esecutivo e del partito dominante si completa; democrazia e pluralismo sono eliminati.
E’ insomma completamente eliminata la struttura giuridico-costituzionale dello Stato moderno, di diritto, rappresentativo, democratico. La Camera diventa un organo ripetitivo del governo, senza autonomia, quindi praticamente inutile ai fini democratici. Così come il Senato. Quindi, ribadisco, non siamo nemmeno nell’ambito del concetto di riforma o anche di rovesciamento o anche di abolizione funzionale della Costituzione del 1948: siamo all’abolizione della stessa costituzionalità come modernamente intesa.
Sul piano economico, aggiungiamo che il premier di questo nuovo Stato, controllando il potere legislativo, quello esecutivo e molti organi di controllo, sostanzialmente ha in mano tutti i principali centri di spesa pubblica, di finanziamento pubblico, di informazione pubblica, ossia le fonti di consenso, di clientela, di sponsorizzazione. Dato che diviene l’unico soggetto che può comperare tutto il consenso che gli serve, senza competizione, per resistere all’opposizione politica nel Paese, la sua posizione politica diventa inattaccabile dal basso, democraticamente, tranne che in caso di eventi tanto catastrofici per la nazione, da vanificare quegli strumenti di raccolta di consenso.
L’esigenza di abbreviare l’iter legislativo e di assicurare stabilità alle maggioranze, tagliando inciuci e ricatti partitici nonché spese eccessive, può essere soddisfatta senza sacrificare rappresentatività popolare e garanzie, riformando la Costituzione come segue:
• una Camera dei Deputati, di 300 membri, eletta ogni 4 anni (salvo scioglimento anticipato) con sistema “stabilizzante” (maggioritario o meglio con voto trasferibile, secondo il modello australiano), la quale vota la fiducia, le leggi di bilancio, le leggi ordinarie; il premier nomina e revoca i ministri;
• un Senato della Rappresentanza e delle Garanzie, di 300 membri, eletto con sistema proporzionale puro su base regionale per metà dei suoi membri ogni 3 anni, non soggetto a scioglimento anticipato, competente in via esclusiva per le revisioni della Costituzione, le leggi costituzionali, le leggi in materia di cittadinanza, elezioni, giustizia, limitazione di sovranità, nonché per le commissioni d’inchiesta, l’impeachment, la revoca delle leggi ordinarie (ovviamente con opportune maggioranze qualificate); elegge il Presidente della Repubblica, un terzo della Consulta e del CSM, gli organi di garanzia e controllo, i vertici della Rai.
Si è ormai capito, infatti, che leggi come quelle elettorali e quelle che, ratificando trattati internazionali, limitano o trasferiscono la sovranità, sono vere e proprie parti della costituzione di uno Stato. Insomma, il Senato, rappresentando fedelmente il corpo elettorale, è giustamente competente per i controlli, le garanzie e le regole del gioco; non essendo soggetto a scioglimento anticipato, non è ricattabile dal premier. Per le altre materie è competente, in via esclusiva, la Camera. Il premier, disponendo di una maggioranza ragionevolmente stabile e certa, e potendo nominare e revocare i ministri, è più libero e meno frenabile nella sua azione.
Peraltro (e lo spiega bene il giudice Luciano Barra Caracciolo nel suo recente saggio Euro e (o?) democrazia costituzionale: La convivenza impossibile tra costituzione e trattati europei, Dike Giuridica ed.), già nei decenni scorsi, in nome dell’Europa e dei mercati, profonde trasformazioni costituzionali erano state introdotte surrettiziamente, soprattutto in materia di politica economico-sociale, di moneta, di banche. Tali riforme sono consistite nel togliere gradualmente quote di reddito, diritti e potere da cittadini, lavoratori, utenti, onde trasferirli al capitale finanziario e ad organismi non eletti e non responsabili verso la gente, verso gli elettori: UE, BCE, FMI, WTO. Sono così stati praticamente svuotati, con leggi ordinarie di ratifica dei trattati (europei ma non solo), gli articoli 1, 2, 3 c.2, 36, 38 c. 2, 41 c. 2, 47 e altri della Costituzione attraverso il sistematico abuso dell’art. 11 Cost., che consente solo limitazioni della sovranità, e non cessioni; e le consente solo per scopi di pace e di giustizia, e solo a condizioni di parità. L’art. 11 è stato sistematicamente applicato in modo illegittimo per cedere sovranità anziché limitarla, e al di fuori dei casi predetti.
Queste riforme non hanno affatto apportato i miglioramenti di Pil e occupazione che promettevano, nei molti paesi in cui sono state attuate. Il loro scopo era un altro, e riguardava non l’economia, ma il modo di inquadrare e gestire i popoli. La riforma costituzionale Renzi-Boschi è soltanto una tappa, per quanto cruciale, di un lungo percorso di sovvertimento della Costituzione del 1948 e dei suoi principi, verso la realizzazione di un tipo di costituzione, di società e di persona radicalmente diversi. Una nuova concezione del diritto e del potere politico, che si viene realizzando su scala globale, e che comporta il livellamento al basso delle classi intermedie, la precarizzazione delle classi popolari, l’esclusione della sua partecipazione alle scelte politiche, la concentrazione del potere, del reddito, della tecnologia di punta in una classe elitaria globale. Lo scenario italiano attuale ha due poli emergenti: da un lato abbiamo una situazione economica strutturalmente grave, con tendenze sfavorevoli soprattutto perché la produttività (efficienza) arretra rispetto ai paesi competitori, mentre il debito pubblico cresce. Dall’altro lato, abbiamo il combinato della riforma costituzionale ed elettorale detta Italicum. Un combinato che concentra tutti i poteri – legislativo, esecutivo (spesa pubblica) e di controllo, cioè di garanzia – nelle mani del segretario del partito di maggioranza relativa. Questi, prendendo anche solo in teoria il 22% dei suffragi, può ottenere il controllo delle camere, del governo, delle commissioni anche di garanzia, delle authorities, dei vertici della Rai. Nomina il presidente della Repubblica, i giudici costituzionali e i componenti del CSM (le quote c.d. “laiche”). Cioè il premier nomina gli organi che dovrebbero controllare e controbilanciare il premier stesso. In più, quale segretario del partito, forma le liste elettorali bloccate del suo partito, cioè decide chi si candida e con quali chance. Quindi i parlamentari eletti hanno un vincolo di mandato (cosa vietata dalla Costituzione), ma non nei confronti degli elettori, bensì del segretario del partito. Tutto ciò costituisce un ritorno massiccio e deciso a prima della separazione dei poteri statuali, cioè a un modello di Stato di tipo assolutistico di oltre due secoli fa. Probabilmente ce lo chiedono i mercati, l’Europa, gli investitori. Già ora il presidente della Repubblica Mattarella è un nominato. Un nominato del Primo Ministro, ratificato da un parlamento di nominati, un parlamento eletto con una legge elettorale già dichiarata incostituzionale da una Corte di cui era membro lo stesso Mattarella! Renzi lo ha scelto unilateralmente e ha comunicato il nome della sua scelta all’ultimo momento persino al suo partito. Ovviamente non è possibile che un siffatto presidente svolga una funzione di controllo e contrappeso rispetto al capo del governo.
Fino a ieri, la divisione dei poteri dello Stato sembrava un principio cardine, oramai scontato e indiscutibile, indispensabile ai fini della legittimità dello Stato, un’acquisizione definitiva e irreversibile della democrazia occidentale; ma evidentemente non era così, almeno in Italia: con le riforme del Senato e della legge elettorale, il nostro premier è riuscito a rovesciare il lavoro di Montesquieu, a ritornare a una struttura statuale come prima della rivoluzione francese. La tesi fondamentale esposta nel suo celebre trattato Lo spirito delle leggi, pubblicato nel 1748, è che può dirsi libero solo quell’ordinamento in cui nessun governante possa abusare del potere a lui affidato. Per prevenire tale abuso, occorrono contrappesi e controlli, occorre che “il potere arresti il potere”, cioè che i tre poteri fondamentali siano affidati a persone od organi differenti, in modo che ciascuno di essi possa impedire all’altro di esorbitare dai suoi limiti e debordare in tirannia. La riunione di questi poteri nelle medesime mani, siano esse quelle del popolo o del despota, annullerebbe la libertà perché annullerebbe quella “bilancia dei poteri” che costituisce l’unica salvaguardia o “garanzia” costituzionale in cui risiede la libertà effettiva. “Il potere corrompe, il potere assoluto corrompe assolutamente”: è partendo da questa considerazione che Montesquieu elabora la teoria della separazione dei poteri. Tecnicamente, perciò, Renzi sta ripristinando lo schema ordinamentale dell’ancien régime. Si è fatto controllore di sé stesso. Ricordiamo che l’espansione dei poteri del Duce incontrava la limitazione data dalla presenza del re a capo dello Stato, il quale non era scelto, ovviamente, dal Duce ed era al di sopra del suo raggio d’azione, tanto è vero che il Re lo fece arrestare nel 1943. Il premier che esce dalla riforma renziana non avrà tale limitazione, perché nominerà egli stesso il Capo dello Stato. Ma dove sono, oggi, i liberali, i democratici, i costituzionalisti, i filosofi, i politici, gli intellettuali, quelli che hanno ampio accesso ai mass media e che fino a ieri si riempivano la bocca di antifascismo, costituzione, resistenza, garanzie? Dove sono i fieri magistrati che dimostravano con la Costituzione sotto il braccio togato? Perché tacciono di fronte alla concentrazione dei poteri in un’unica persona, di fronte all’abolizione dei controlli e dei bilanciamenti? Perché non insorgono come facevano in passato per molto, molto meno? Se non ora, quando, vostro Onore? O sono cambiati gli ordini di scuderia? Ciò che sta avvenendo, e a cui tanti si sono già allineati, è che, in previsione di una situazione economica e sociale sempre peggiore e tale da generare forti tensioni e forse rotture, viene costituito, con la massima precedenza, un apparato statalista autocratico e bloccato, per garantire alla buro-partitocrazia parassitaria e corrotta le sue rendite, le sue poltrone, le sue impunità anche nel disastro nazionale; e insieme per garantire il dominio sul Paese ai grandi interessi finanziari stranieri, con la possibilità di completare l’estrazione o l’acquisizione degli asset nazionali e dei mercati nazionali ancora appetibili attraverso il controllo del suo governo e del suo capo di Stato. In Italia e in altri paesi deboli e arretrati, il capitalismo finanziario globale sta instaurando regimi autocratici, non condizionati dal basso, al fine di usarli per imporre, rapidamente e senza possibilità di opposizione, leggi e riforme strumentali ai suoi interessi e al suo potere, come il famigerato TTIP, oggi in gestazione. I poteri forti, la cosiddetta Europa del Bilderberg e di altri simili organismi, hanno capito che le inveterate caratteristiche sociologiche italiane non consentono il risanamento morale, la legalità e l’efficienza. Non provano nemmeno a metterci le mani. Si sono convinti che per governare e spremere questo Paese ci vuole invece proprio il suo autoctono, tradizionale regime buro-partitocratico, con i suoi poteri collegati. E lo hanno perfezionato, stabilizzato, costituzionalizzato, ponendo tutto nelle mani del segretario del partito forte, controllore di sé stesso internamente, ma controllato da loro esternamente
2 Giugno 2016 Marco Della Luna