ITALIA: DECLINO INEVITABILE
Italia: declino inevitabile
Nel progettare razionalmente il domani di se stessi, dei propri figli e della propria azienda, è necessario considerare che futuro può oggettivamente avere l’Italia.
I dati ufficiali degli ultimi giorni confermano che l’Italia, in fatto di crescita e produttività (competitività) resta l’ultimo o penultimo dei paesi dell’Unione Europea. L’Unione Europea, e ancor più l’Eurozona a guida tedesca, sono a loro volta in coda per crescita tra i paesi dell’OCSE. L’UE, l’euro e le regole europee hanno avuto effetti tangibili, opposti alle promesse di chi li ha imposti.
Il declino dell’Italia continua incessante dal 1992 se non da prima, ossia da almeno 25 anni. In realtà il deterioramento sistemico profondo iniziò nei primi anni ’80. Niente è valso ad arrestarlo, nonostante le diverse cure applicate da allora ad oggi dai diversi governi alternatisi. L’Italia ha dimostrato di non saper minimamente reagire.
E non poteva essere diversamente, perché le cause di questo declino sono nella stessa composizione dell’Italia.
L’Italia è tenuta insieme dal fatto che lo Stato centrale preleva annualmente circa 100 miliardi dalla Lombardia, dal Veneto, dall’Emilia-Romagna per sostenere il Sud arretrato e le spese di Roma (mafia capitale).
Questo costante prelevamento da un lato non ha ridotto, anzi ha visto aumentare, da oltre un secolo e mezzo, l’arretratezza e la dipendenza del Sud; dall’altro lato, sta fiscalmente soffocando l’economia delle regioni produttive settentrionali. Ciò avviene in combinazione con l’effetto dell’euro, che, al Nord come al Sud, danneggia le esportazioni impedendo l’aggiustamento dei cambi, e con l’effetto dei vincoli interni di bilancio, determinando la chiusura e la fuga all’estero di aziende capitali, con conseguente moria dei posti di lavoro e necessità di svalutare i salari dei posti che rimangono, il che a sua volta deprime la domanda interna.
Tra questi due lati c’è il terzo fatto strutturale distruttivo, ossia che la classe politico-burocratica si è specializzata e dedicata principalmente a intercettare quel flusso di 100 miliardi l’anno e la spesa pubblica in generale, mangiandoci sopra, e non sa fare altro.
Per tutto ciò, come spiegavo nel 2008 con il mio saggio Basta Italia (Arianna Editrice), e ancor prima col saggio Le chiavi del potere (Koiné 2003), che l’Italia arresti e inverta il proprio declino è oggettivamente impossibile, qualunque partito vada al governo. Solamente un rivolgimento di fondo, su scala internazionale, del sistema monetario e della contabilità bancaria, come ho altrove descritto, potrebbe cambiare il quadro generale e il destino dell’Italia – ma sarebbe appunto un cambiamento realizzabile solo su scala internazionale.
In Italia è ancora consistente la ricchezza da consumare, sia internamente che cedendola alla Germania quale paese dominante dell’Unione Europea; perciò ci vorranno anni prima del crollo vero e proprio; ma il crollo a livelli africani è inevitabile, stanti i due fattori suddetti, cioè il mantenimento dello Stato unitario e la permanenza nell’euro e sotto l’egemonia tedesca.
Vi sono ulteriori fattori di declino, quali la perdita della capacità formativa della scuola e il degrado del tessuto sociale dovuto soprattutto all’impoverimento generale, alla massiccia invasione di pessima qualità, all’invecchiamento della popolazione. Ma questi fattori discendono fondamentalmente dalla causa primaria, ossia dalla composizione troppo eterogenea dello Stato unitario, a sua volta dovuta a cause storiche molto risalenti.
A che dicesse che il Nord Italia o il Nord-est sarebbe troppo piccolo per avere successo, basterebbe ricordare il successo di stati ancora più piccoli, come la Svizzera, l’Austria, l’Olanda, la Danimarca, la Svezia, la Norvegia, la Finlandia, l’Irlanda, l’Islanda, la Nuova Zelanda, Israele, Singapore. È vero che l’unione fa la forza, ma la fa se funziona. Sarebbe bello se l’Italia unita e l’Europa unita funzionassero, ma appunto non funzionano. Anzi, funzionano sempre peggio, ossia degenerano, e degenerano tanto più, quanto più ci si accanisce a mantenerle in vita, arricchendo solo alcuni a spese di tutti gli altri.
E questi alcuni, con i soldi di tale arricchimento, controllano l’informazione popolare fino a far apparire non solo erroneo, ma anche immorale e persino giuridicamente illecito porre in questione i loro principi: “ci vogliono più Europa, più euro, più globalizzazione, più liberalizzazione, più immigrazione”. Certo che è immorale: minaccia i loro privilegi e i loro progetti. Ma i dati oggettivi sono disponibili per chi sa controllare.
19.04.17 Marco Della Luna