RAGION DI STATO E BUSINESS AS USUAL
RAGION DI STATO E BUSINESS AS USUAL
“E molti si sono immaginati republiche e principati che non si sono mai visti né conosciuti in vero essere. Perché gli è tanto discosto da come si vive a come si doverrebbe vivere, che colui che lascia quello che si fa per quello che si doverrebbe fare impara più presto la ruina che la preservazione sua.” Niccolò Machiavelli, Il Principe, par. 15.
Non sono affatto antiamericano e spero che questo articolo non induca altri a diventarlo, e che non confermi in tale eresia chi già in essa è lapso.
L’uccisione mirata del magg. gen. Qassem Soleimani a Baghdad e di altri sette persone, compiuta da un drone USA il 2 di Gennaio su ordine del pres. Trump, ha suscitato reazioni discordi. Alcuni la hanno lodata, descrivendo l’ucciso come un pericoloso terrorista islamico che andava proprio fatto fuori; altri la hanno esecrata, come crimine del terrorista internazionale Trump, presidente di una superpotenza essa stessa terroristica e imperialistica. Entrambe le qualificazioni sono formulate con riferimento a parametri etici. L’applicazione di parametri etici ad atti politici è umana e automatica, perché l’uomo comunemente tende a identificare uno Stato come rappresentante della giustizia e guida al bene; e, in un conflitto tra due Stati, è portato a prender partito, ossia a vedere in uno il bene o il giusto o la vittima, con cui simpatizzare; e nell’altro il male o il sopruso o l’aggressore, da criminalizzare; mentre moralmente i due solitamente si equivalgono, e quello che pare vittima magari tratta la sua popolazione assai peggio di quanto lo Stato aggressore tratta la propria, e manda i bambini a correre sui campi minati per aprire alle sue fanterie un passaggio sicuro nella guerra contro l’Iraq, e ai bambini che saltano in aria un volo sicuro al paradiso (ogni riferimento a Iran e USA è accidentale).
Cionondimeno, come sa chi studia politica, il ricorso a parametri etici è improprio, perché l’azione politica (come quella imprenditoriale) è per necessità strumentale e non morale, e il soggetto che vuole il potere politico, come notava Machiavelli, non ha da esser buono, ma da mostrarsi buono (per raccogliere simpatie, consensi, seguito; e per cogliere alla sprovvista gli avversari). Ha da evitare gli errori, non i crimini. Pure gli Stati si fanno credere morali, e in qualche misura incidentalmente agiscono come tali, per apparire legittimi nelle loro policies e pretese verso i cittadini e gli altri paesi. Tutto ciò rientra nella ragion di stato. Anche gli attacchi preventivi: “la difesa dagli attacchi esterni è per Machiavelli una guerra preventiva. Non si combatte contro gli altri Stati perché si è stati offesi, ma perché questi Stati possono offendere. Chi comanda lo Stato deve essere consapevole che la guerra è necessaria per conservare il suo potere e, affinché il suo Stato non sia inghiottito da altri, deve muovere guerra ed eliminare ogni possibile nemico. La guerra diventa così lo stato di equilibrio dell’ordinamento politico.” (Marco Sgarbi, La virtù del principe. Hegel lettore di Machiavelli, in Etica & Politica / Ethics & Politics, XVIII, 2015, 3, pp. 96-115 96 ).
Contro l’evidenza del mondo reale, nel tentativo di comporne le contraddizioni per via metafisica anche sul livello terreno e materiale, Hegel sosteneva che lo Stato incarni il massimo dell’eticità possibile in terra, che sia la vera sede di realizzazione degli uomini, e che ogni suo atto e ordine sia sempre legittimo e da obbedirsi; e infatti tale idea di Stato è stata poi intensamente adoperata dai regimi assolutistici.
Per limitare l’oppressività e l’intrusività dello Stato, oggi moltiplicate dalla tecnologia, gli uomini, riconoscendo la sua non-eticità, possono cercare di partecipare alle sue decisioni, da una parte (cosa sempre più difficile, stante che lo Stato è guidato dai mercati e i decisori procedono in isolamento tecnocratico); e, dall’altra parte, possono arrangiarsi, organizzarsi in corpi intermedi per affermare se stessi e i propri valori contro di esso, analogamente a come i lavoratori dipendenti si organizzano sindacalmente per tutelarsi contro l’oppressione da parte del datore di lavoro, del quale peraltro hanno bisogno per avere un reddito.
Si potrebbe allora dire che lo Stato non solo non è etico, ma anzi è intrinsecamente contro l’etica, perché è uno strumento in mano a pochi, che lo usano per dominare e sfruttare egoisticamente i molti, il popolo, in misure e maniere variabili, come è accaduto in ogni ordinamento. Ma neppure questa affermazione è esatta, perché lo Stato è inevitabile che si formi, è inevitabile (sempre avvenuto nella storia) che sia in mano a pochi, ma è anche indispensabile alla popolazione per ricevere protezione e ordine, quantomeno. E ciò che è inevitabile, che non ha alternative, che è sottratto alla scelta, non può essere giudicato in termini etici.
Anche lo Stato Italiano ha un curriculum scelerum di omicidi e stragi di Stato. Ha bombardato obiettivi civili in Serbia senza nemmeno dichiarare la guerra. Le sue stesse forze dell’ordine hanno organizzato assassinii (vedi il G8 di Genova). Essendo uno Stato vassallo occupato da 130 basi USA, non può permettersi di biasimare la potenza occupante per le sue imprese – la sorte di Craxi lo dimostra. Salvini è stato deriso per aver incensato l’uccisione del gen. Qassem Soleimani, ma la sua dichiarazione adulatoria ha un senso: ingraziarsi la Casa Bianca e legittimarsi presso di essa, ammesso che alla Casa Bianca importi di lui. Al medesimo fine, in passato, anche Berlusconi si profondeva in ridicole piaggerie, raccontando che suo padre lo portava nei cimiteri di guerra a fargli giurare eterno rispetto verso la patria oltreatlantica di quei soldati caduti per “la nostra libertà”.
Gli USA, giovani come sono, quasi mai sono stati in pace e hanno una lunga storia di soprusi, di omicidi e di violazioni dei diritti dell’uomo nonché del diritto internazionale, il quale ultimo si dimostra, ancor più del diritto nazionale, pieghevole nella sua interpretazione ed effettività a seconda dei rapporti di forze in lizza. Nei libri di storia per le scuole non lo si racconta, ma durante la IIª Guerra Mondiale, gli USA hanno violato le convenzioni internazionali in modo non sporadico, ma metodico. Bombardavano frequentemente quartieri residenziali e persino scuole (Gorla) e giostre (Grosseto). Eseguivano anche mitragliamenti di civili a volo radente. Me lo hanno confermato testimoni oculari e vittime. Riocordiamo i 300.000 civili circa bruciati vivi con un bombardamento al fosforo su Dresda, bersaglio strategicamente inutile; i circa due milioni di prigionieri tedeschi, dopo la fine della guerra, nei campi di concentramento, prigionieri che gli USA ridefinirono giuridicamente Disarmed Enemy Forces onde esimersi dalla Convenzione di Ginevra del 1929 a tutela dei prigionieri di guerra e darsi così il diritto di ridurre le loro razioni sotto le soglie di sopravvivenza, negando loro anche i ripari contro le intemperie. Naturalmente nessuna di queste azioni fu processata a Norimberga né figura nei libri di storia per le scuole. Vae victis, disse Brenno, gettando la spada sul piatto della bilancia.
Praticavano anche la guerra biologica, lanciando insetti e ragni infestanti per distruggere le colture e affamare i civili. Lanciavano mine antiuomo nei campi per mutilare gli agricoltori, e persino matite esplosive e giocattoli esplosivi per colpire i bambini.
Nel dopoguerra, militarmente occupati mediante oltre cento basi (lo siamo ancora oggi, a 75 anni dalla pace), e legati da un trattato di soggezione politica, militare ed economica, abbiamo voluto o dovuto costruirci l’immagine, il mito, per molti la fede, degli USA come benevoli, umanitari e benvenuti guardiani della democrazia, motivati da valori umanitari etc. etc. Ma gli USA niente hanno in realtà a che fare con tutto ciò: come spiega Allan Bloom nell’introduzione del suo best seller La Chiusura della Mente Americana, la loro politica e la loro cultura accademica non sono guidate dall’etica, dagli ideali di giustizia, eguaglianza, libertà, democrazia. Essi sono la potenza egemone, custode ed esecutrice di interessi finanziari impersonali, e prettamente amorale (non immorale). Quindi la loro condotta è obbligata dalla posizione che occupano nel sistema globale, dal loro deficit commerciale e di bilancio, dal profluvio di Dollari e T-bonds che hanno riversato nel mondo, e che richiede la forza delle armi per essere gestito. La logica e la sostenibilità economico-finanziaria, nella rincorsa competitiva del profitto, preclude assolutamente la libertà morale agli statisti: per sostenere il Dollaro e i T-bonds traballanti, gli USA sempre più abbisognano di conquistare le risorse di qualche paese importante. Per questo non ha senso essere moralmente antiamericani: sarebbe come essere contro le leggi naturali; ha invece senso aspirare a cambiare l’assetto globale. Tuttavia molte delle atrocità commesse da tutti gli Stati, soprattutto contro i civili e i prigionieri, come quelle sopra accennate, non sono utili tecnicamente, bensì manifestazioni di menti psicopatiche al comando.
La lista delle imprese violente degli USA a che nel secondo dopoguerra parla chiaro, in termini di governi rovesciati e di leader assassinati – in quanto si opponevano agli interessi finanziari in parola (sovente si giustificava l’operazione accusandoli di “comunismo”, ma al contempo regimi non meno dittatoriali di quelli comunisti venivano messi su o difesi).
Per non parlare delle guerre scatenate da Washington creando falsi casus belli, come quella contro la Spagna e come quella contro il Vietnam del Nord; e sorvolando sui molti colpi di Stato orditi da Washington contro governi legittimi, come quello cileno; e risparmiando la menzione delle varie operazioni di false flag, per i leaders politici uccisi dalla CIA, rinviamo alla lunga lista che trovate in Killing Hope: U.S. Military and Cia interventions Since World War II di William Blum. A dire il vero, è una lista alquanto gonfiata e ispirata dall’eresia dell’antiamericanismo; e in certi casi non si trattò di assassinii, ma di uccisioni formalmente legali. Sarebbero però da aggiungere alla lista le extraordinary renditions, eseguite a scopo di tortura e talora anche di omicidio, e ovviamente anche il fosforo bianco sui civili e Guantanamo senza habeas corpus – il tutto contro le leggi internazionali, da cui gli USA si considerano esenti, a torto o a ragione, per li motivi che sotto esporrò.
Alla luce delle recenti guerre contro Iraq, Libia e Afghanistan, che sono state giustificate dai governi con menzogne da essi costruite circa armi di distruzione di massa e legami con gli autori dell’attacco dell’11 Settembre, nonché con interventi umanitari e di aiuto economico, i fatti oggettivi e ripetuti hanno confermato altresì la qualificazione degli USA non come arsenale della democrazia ma, assai diversamente, come piattaforma bellico-finanziaria per la strategia di imperialismo globalizzato delle grandi corporations: le invasioni dell’Iraq e della Libia erano finalizzate a difendere il ruolo del dollaro come moneta obbligatoria per pagare il petrolio (Iraq e Libia volevano scalzare quest’esclusiva), e quella dell’Afghanistan (come pure l’intervento di regime change in Ucraina) ad accerchiare la Russia e a rilanciare la produzione di oppio ed eroina assicurando al sistema bancario USA il riciclaggio dei relativi narcodollari, senza i quali entrerebbe in crisi. L’Italia ha partecipato a tutte quelle campagne belliche, contro i propri interessi e contro la propria costituzione, in quanto paese vassallo e ancora occupato militarmente.
In tanto, l’Europa imbelle e imbecille dei banchieri, unione finanziaria ma non politica, quindi politicamente impotente e buona solo a incravattare i propri membri deboli, sta a guardare passivamente l’azione non solo degli USA, ma della Cina che si espande nell’Africa nera, nonché della Russia che, con la Turchia, si spartisce il Nord Africa.
Nell’ambito di un conflitto geostrategico per l’egemonia, in cui l’azione contro l’Iran fa parte della strategia di accerchiamento e assedio contro la Russia, è semplicemente ovvio che avvengano azioni di attacco e killeraggio dall’una e dall’altra parte, più o meno asimmetricamente. Anche Teheran e Mosca perseguono strategie di potenza comprendenti l’uso della forza: mondiale la prima, regionale la seconda. In particolare, dopo la sconfitta subita nel teatro siriano da parte della Russia alleata di El Assad, gli USA semplicemente ed evidentemente dovevano prendere l’iniziativa su qualche altro fronte della regione mediorientale. E forse c’era anche un’esigenza di Trump di rafforzare la propria immagine e distogliere l’attenzione dal Russia Gate.
La storia della politica è tutta così. Meravigliarsi e scandalizzarsi per la milionesima azione di questa sorta, è naif. Allibire per l’uccisione del gen. Qassem Soleimani e dei suoi sette compagni di viaggio, o per gli innumerevoli altri atti consimili compiuti dal governo USA, è da persone incapaci di guardare in faccia alla realtà e di apprendere dalla storia. In generale -ripeto-, è irrazionale aspettarsi che la natura o l’azione dello Stato incarni o attui principi etici, se non per convenienza dei suoi gestori di turno. Tuttavia è anche ragionevole che la gran parte della gente si aspetti ed “esiga” proprio questo. Quindi, politicamente, è necessario tenere conto di questa inclinazione della mente collettiva.
Ma ora, per alleggerire l’attesa della rappresaglia iraniana, della controrappresaglia americana, e della possibile escalation a seguire, concediamoci un intermezzo farsesco, raccontando quel mito yankee, creduto oggi da quasi metà della popolazione, che consente agli USA, perlomeno davanti alla loro opinione pubblica, di esimersi dall’osservanza del diritto internazionale: il mito fondativo-legittimante dell’American Exceptionalism, che infatti oggi la stampa internazionale richiama, collegandolo al caso Qassem Soleimani. Esso appare risibile all’europeo smaliziato, ma oltre Atlantico ha credito e convince ampie fette del popolo, aiutando l’establishment a governarlo. E l’establishment USA, come descritto in The Power Elite da Charles Wright Mills, è una trinità di grande capitalismo, alta politica, e vertici militari, che insieme decidono a porte chiuse la politica a stelle e strisce.
L’American Exceptionalism è in primo luogo l’idea che gli USA abbiano in esclusiva la missione di trasformare il mondo garantendo “il governo del popolo, per il popolo, da parte del popolo” (esportazione della democrazia). In secondo luogo, è l’idea che abbiano una superiore qualità di giustizia e legittimità (la liquidazione dei pellerossa non conta). In terzo luogo, è il convincimento che siano al disopra, per loro storia e missione, delle altre nazioni e della legge internazionale, quindi esenti e immuni da essa e dalle sue corti di giustizia.
Il mito in esame è palesemente derivato dall’idea veterotestamentaria e monoteista, rectius monolatrista, del ‘popolo eletto’, che ha uno status superiore agli altri e può permettersi ciò che gli altri non possono. Un mito quindi per essenza nazionalistico ed escludente, a differenza di quello imperiale romano, concretamente politeista, multinazionale e includente. Il mito in parola si radicalizzò nel secolo scorso, in appoggio all’ascesa egemonica di Washington, ed è stato affermato, sia pure in forme e perifrasi mutevoli, da molti uomini politici e da tutti i presidenti, quindi esso è chiaramente vivo. Nel 2013 Putin, commentando Obama sulle sue minacce di intervenire unilateralmente in Siria, osservò: “E’ pericolosissimo incoraggiare un popolo a considerarsi come un’eccezione, quale che sia la motivazione”.
05.01.2020 Marco Della Luna