IL SANTO GRAAL DELLA SOVRANITA’ MONETARIA : SCILIPOTI E LA MONETA AL POPOLO
IL SANTO GRAAL DELLA SOVRANITA’ MONETARIA
Il regno languiva malato di una oscura tabe, il re non guariva di una misteriosa piaga. Solo il Graal avrebbe potuto riportare la linfa vitale. E i cavalieri erranti partirono alla sua ricerca. Ma tra essi solo uno l’avrebbe potuto trovare: Parsifal, il Puro Folle. In tempi più pedestri, anche l’Italia langue di un male insanabile, e oramai si fa largo la comprensione che il Graal necessario a guarire la sua economia e il suo morale è quello della sovranità monetaria. E anche oggi qualche cavaliere riprende la ricerca del salvifico Vaso: Tremonti, Ferrero, Di Pietro, Berlusconi… Da ultimo l’on.le Domenico Scilipoti, medico oncologo, che, dietro la negativissima immagine costruitagli dai mass media, spezza le sue lance, una ad una, contro i grandi interessi istituzionalizzati: il cartello dell’energia, il cartello dei farmaci, il cartello delle industrie alimentari, il quale, con la copertura di norme non certo piovute dal cielo, propina all’ignara popolazione, ma soprattutto ai fanciulli, dovizia di cibarie e bevande ricche di ben note sostanze cancerogene, diabetizzanti o altrimenti patogene, soprattutto attive sui giovanissimi – dai coloranti, ai conservanti, ai dolcificanti, alle plastiche solubile dei contenitori. Ultimamente Scilipoti, con alcuni fidati collaboratori, ha scritto e pubblicato, per i tipi di Aurora Boreale, La Moneta al Popolo, un conciso volumetto contenente un’analisi dei mali economico-monetari, delle storture dell’Eurosistema e della BCE in particolare, della piaga, sempre più emergente e virulenta, del signoraggio o rendita (reddito, direi io) monetaria. La cosa più rilevante, dal mio punto di vista, è che il saggio di Scilipoti, e soprattutto il progetto di legge di riforma monetaria che esso contiene, costringono a tematizzare quella che, secondo me, come da anni scrivo, è la radice contabile del male monetario che affligge non solo l’Italia, ma tutto il mondo, ossia l’uso di principi contabili sbagliati, che producono una voragine di passività apparente, solo apparente, ma capace, da sola, di destabilizzare il sistema finanziario globale. Andiamo con ordine e partiamo dalle premesse storiche. La repubblica italiana nacque come paese a sovranità limitata dall’esito della guerra e dal suo inserimento, in posizione non certo paritaria, nell’area di egemonia del Dollaro. Tra il 1981 e il 1983 ha ceduto alla finanza privata il controllo della sua banca centrale di emissione e ha affidato al mercato speculativo il suo debito pubblico, che di conseguenza si è moltiplicato. Con una immeditata e impreparata adesione all’eurosistema e ai connessi trattati, e con la definitiva privatizzazione della sua banca centrale nazionale, si è cacciata in una situazione che la ha portata ad aumentare alquanto spesa pubblica, debito pubblico, disoccupazione, fuga di capitali e aziende, emigrazione di persone qualificate, disavanzo commerciale, pressione fiscale, esposizione agli speculatori, oltre a spingerla in una grave recessione economica, reddituale, progettuale e morale, e in una posizione di passività e dipendenza anche politica rispetto al fronte dei paesi euroforti, guidato dalla Germania, la quale condiziona pesantemente e del tutto asimmetricamente sia le istituzioni comunitarie che la BCE e il MES, mentre l’Italia continua a dare all’UE molto più denaro di quanto ne riceva. Nei primi dieci anni dell’Euro, il risparmio sui tassi di interesse apportato dall’adesione all’eurosistema, e pagato in termini di perdita di concorrenzialità delle nostre esportazioni, non è andato ad aggiornare ed efficientare il sistema paese, ma ad espandere la spesa pubblica clientelare e a esimersi dagli ammodernamenti, quindi si è tradotto in un danno maggiore del beneficio. Il male principale del Paese, assieme all’inettitudine e alla voracità della sua classe dirigente, nonché all’ormai azzerata fiducia-lealtà reciproca tra cittadini e istituzioni, è la carenza di denaro, di liquidi, con cui fare i necessari investimenti infrastrutturali e produttivi, sostenere i consumi, erogare decenti pensioni. Esclusa come è dai vincoli di bilancio eurogeni e dal fiscal compact ogni possibilità di un (neo)keynesiano deficit spending del settore pubblico in funzione di rilancio economico generale di lungo termine, non resterebbe che rassegnarsi a una lunga depressione economica, cioè alla povertà, salvo uscire dall’eurosistema, ritornare alla Lira, a una banca centrale che assicuri l’acquisto dei titoli del debito pubblico (prevenendo così speculazione e default, come fanno le banche centrali di USA e Giappone), svalutare per riprendere competitività, rilanciando industria, turismo e investimenti. La proposta degli Autori di questo denso volumetto, La Moneta al Popolo, è una terza via, una via di contemperamento: restare nell’eurosistema e nei suoi vincoli, ma recuperare una copiosa fonte di liquidità nazionalizzando il reddito da creazione di moneta per la quota spettante alla nostra banca centrale: si tratta di parecchie decine di miliardi l’anno. La creazione di denaro da parte delle banche centrali e l’uso di questo denaro per comperare titoli finanziari redditizi dà luogo a un reddito praticamente pari alla quantità di denaro creata, perché la creazione di denaro fiduciario, non convertibile, non ha costi di produzione né di copertura aurea e non dà al suo portatore diritti verso la banca emittente, quindi per questa non comporta una passività patrimoniale. Però, nei conti, nei bilanci, nelle dichiarazioni dei redditi delle banche, questo reddito non compare, siccome a questa attività di creazione monetaria si applicano a tuttora i principi contabili di quando la moneta era convertibile in oro, quindi costituiva un debito, un’obbligazione, una passività patrimoniale. Come molti famosi economisti dichiarano, la moneta fiduciaria, o fiat, in uso oggi, non costituisce una passività, ma nondimeno viene contabilizzata come tale. In tal modo il reddito monetario non compare, anche se vi è – rimane extracontabile, “a disposizione”. Quindi per realizzare il progetto degli Autori di questo volumetto è preliminarmente indispensabile riformare i principi contabili vigenti, per adeguarli alla realtà. Riformarli come? Esaminando i bilanci, troviamo, nello stato patrimoniale, il denaro circolante come debito della banca, mentre non dovrebbe essere menzionato. Nel conto economico, invece, non troviamo il ricavo da allocazione della moneta emessa, che invece dovrebbe essere registrato, perché viene usato per comperare titoli che hanno un valore commerciale e danno un reddito. Troviamo, invece, il costo tipografico della cartamoneta! Ecco, questi sono i termini della riforma. Riforma che non solo farebbe emergere risorse per investimenti e rilancio, ma, come meglio spiego nel mio recentissimo saggio Cimit€uro: uscirne e risorgere, evitando la sistematica sparizione contabile di valori numerari enormi, colmerebbe il gigantesco buco nero monetario che sempre più minaccia il sistema finanziario globale. 20.12.12 Marco Della Luna