RELIGIO RELIGIONUM
In questo articolo intendo, attraverso riferimenti alla storia e alle tradizioni sapienziali, lanciare alcuni semi di riflessione su due questioni di fondo: se l’uomo sia nato per il servaggio oppure per una dignitosa libertà; e come diverse religioni possano rapportarsi con un unico ordinamento statuale, e tra di loro.
«Secondo la Tradizione Misterica, Prometeo prese una parte di Notte, ovvero lo spirito, l’intelligenza e lo stesso concetto di anima; una parte di terra e una di acqua, e modellò l’uomo a immagine sua e dei suoi fratelli [Atlante, Menezio ed Epimeteo – tutti figli di Giapeto, il Titano],»
Così scrive Nicola Bizzi nel suo breve saggio DALL’ACACIA ALL’AKASHA: CRONACHE DI UN MONDO PERDUTO [i], con riferimento agli insegnamenti della scuola misterica eleusina, presentandoci un homo sapiens, un progenitore, nongià creato bensì plasmato dagli dei titani, che lo fecero libero e simile a loro. Secondo il mito ripreso da Platone nel Simposio, l’uomo originario era fortissimo perché androgino, e fu Zeus, dopo la vittoria riportata da lui e dagli altri dei olimpici sugli dei titani, a scinderlo in maschio e femmina, al fine di ridimensionarlo e di renderlo così “gestibile”.
Il racconto greco-eleusino circa l’antropogenesi é quindi alternativo e opposto al racconto sumerico e babilonese oggi in voga, divulgato principalmente da Zacharia Sitchin, un filologo e rabbino di origine georgiana, che risiedeva negli USA. Secondo i testi di Sumer, gli dei Anunnaki, ossia “discesi (dal cielo)”, plasmarono l’uomo, chiamandolo “adamu”, come loro schiavo, e lo fecero incapace di riprodursi. Solo in seguito lo resero capace di procreare.
L’artefice del “confezionamento” dell’adamu fu la dea Ninmah-Ninhursag. Secondo Sitchin e altri, tra cui Biglino, l’adamu sarebbe stato prodotto mediante l’ingegneria biologica. Quando? 200.000 anni fa, si sostiene. Ma a me interessa il principio generale: nati schiavi o nati liberi? Nati per realizzare se stessi, oppure per servire gli dei, i loro templi, i loro cleri? Il libro della Genesi non ci aiuta a capirlo, perché è molto tardo (circa 1.000 a. C.) rispetto alla civiltà sumerica (3.000 a.C.), e perché i suoi autori (Re Giosia e suoi collaboratori) presero e adattarono i testi sacri di Sumer. Le prime Upanishad, forse coeve a Sumer, parlano della vanità della ricerca del divino e della salvezza se condotta fuori da sé stessi, del cercare un principio ultimo fuori dal sé, e della disperazione degli dei per qugli uomini che cessano di servirli e di recare loro offerte nei templi. Deuteronomio 15,6 e Proverbi 22,7 insegnano ad asservire i popoli gentili attraverso il prestito e l’indebitamento. La dimensione dell’indebitamento è quella dominante, in cui è stato posto l’homo sapiens oggi, su scala planetaria – un indebitamento pubblico e privato di tale dimensione, che matematicamente è impossibile uscirne, data anche l’usura, ossia l’interesse passivo che si compone nel tempo al capitale. Quindi, se non nell’origine, perlomeno nel suo presente, o nel suo destino finale, l’uomo è schiavo – schiavo del debito, dei creditori.
La religione greca narra una storia divina cruenta e guerresca, e si conclude con una tragica spaccatura. Narra di Kronos che deve evirare il Padre Ouranos per consentire agli esseri viventi di nascere e riprodursi. Narra poi di Kronos, che divora i suoi propri figli per non essere da essi spodestato; e di uno di questi, Zeus, che lo sconfigge e relega nel Tartaro, facendogli risputare gli altri figli già mangiati. Narra infine della ribellione degli dei titani ai “nuovi” dei olimpici, capeggiati da Zeus, e della conseguente guerra, la titanomachia, messa in versi da Esiodo, guerra dalla quale gli olimpici escono vincitori, mentre i titani ribelli vengono precipitati e relegati nel Tartaro, una sorta di reclusorio, residuo del primevo Abisso, e che si trova sotto l’Ade. Il titano Prometeo, che non aveva combattuto gli olimpici ed era perciò rimasto libero, trafuga il fuoco dagli dei e lo porta in dono agli uomini per alleviarne la grama condizione; per tale atto viene da Zeus condannato ad essere incatenato a una rupe del Caucaso con un’aquila che gli divora il fegato, e il fegato che continuamente gli ricresce.
Rispetto a questi conflitti e a queste spaccature, che caratterizzano la storia sacra dei Greci, la religione romana narra una storia sacra armoniosa. Nessuna delle violenze testé ricordate figura in essa. La creazione dell’uomo nel mito romano è attribuita a due dei principali: Giove e Marte. Si dice che l’uomo sia stato plasmato da argilla e che il soffio vitale gli sia stato infuso da Giove. Secondo Dionigi di Alicarnasso, Romolo stesso avrebbe censurato la storia sacra epurandola di tutte le cose sconvenienti. In realtà sappiamo che la religione romana arcaica era alquanto elastica, indeterminata, priva di personaggi ben definiti, e aveva una pluralità di esseri divini identificati con funzioni naturali e aspetti della natura; essa, proprio per tale sua qualità, non avendo un suo pantheon predefinito, fu idonea a recepire influssi e apporti da altri popoli, e soprattutto dalla Grecia. Ne risultò un pantheon aperto, ospitante sia gli dei della religione propriamente romana, o dei indigetes, sia gli dei arrivati da altri popoli, o dei novensiles, e in particolare dei popoli che via via venivano annessi; e altresì aperta al dio incognito, agnòtheos, che in fondo è il dio supremo, il dio mai afferrabile, irriducibile alle determinazioni del mondo manifesto; onde abbiamo in Roma il mirabile edificio noto come Pantheon, in cui tutti gli dei sono cittadini, e che al suo colmo ha un foro circolare, sempre aperto per ricevere la Luce.
La religione romana, che non presenta la ricchezza di miti propria della religione greca[1], e che non era intesa come un rapporto eminentemente privato tra i singoli e il divino (come invece la intendiamo noi occidentali moderni), ma come un rapporto del popolo-stato con gli dei, perseguiva, attraverso l’osservanza del fas e del mos nonché la pratica del cultus, la pax deorum, l’armonia di tutti gli dei e con tutti gli dei. Questa era il sommo scopo della pietas, il quale comprendeva anche l’armonizzazione tra le varie religioni. Era insomma una religione coordinatrice di religioni, una religio religionum, che letteralmente “legava insieme” i vari culti.
Abbiamo diversi racconti di excantatio deorum alienorum: quando Roma si accingeva ad annettere un popolo, celebrava un rito speciale per trasferire i suoi dei nel “pantheon aperto”. Da questo restavano fuori però quelle relgioni, che pretendevano di essere le sole vere e lecite, quindi gli dei delle monolatrie del vicino e medio Oriente. Finché una di esse, di recentissima nascita, penetrò l’Impero e lo scardinò da dentro e, nel 380, con Teodosio, pose fine all’ordine suddescritto: una vicenda, questo, su cui il predetto Nicola Bizzi ha condotto estese esplorazioni, e sta portando alla luce le prove di un sorprendente piano ben congegnato all’origine del Nuovo Testamento – congegnato tra il princeps Vespasiano, la sua corte e lo storico Flavio Giuseppe. Il tutto è svelato nel suo recentissimo saggio Giuliano, l’Araldo degli Dei.
02.01.2025 Marco Della Luna
[1] Forse i Romani li avevano scordati, forse non ne avevano avuti.
[i] INTRODUZIONE AL LIBRO DI FIORELLA RUSTICI IO SONO IL PADRE, IL FIGLIO E LO SPIRITO SANTO, AURORA BOREAL, 2024