UNO E RIGPA: LA RADICE SHAKYA
UNO E RIGPA: LA RADICE SHAKYA
Alla fulgida memoria di Ammonio Sacca, rectius Shakya
L’Uno in Plotino e il Rigpa nel buddhismo tibetano sono concetti che, sebbene radicati in tradizioni filosofiche e spirituali diverse e, nella geografia, alquanto lontane, mostrano sorprendenti analogie tra di loro e la comunanza in radice delle due tradizioni. Entrambi rappresentano il principio ultimo della realtà, un’unità al di là della dualità e della comprensione concettuale. E l’arrivo di uno Shakya ad Alessandria, in un momento topico per il decorso della civiltà e della storia, in cui era importanter dare nuovo impulso e nuovo spirito alla “filosofia”, ha corroborato quella comunanza.
L’Uno di Plotino
L’Uno è notoriamente il principio supremo del sistema filosofico di Plotino, il neoplatonismo. Si tratta di un’entità assolutamente trascendente, indefinibile e al di là di ogni categoria di essere, pensiero o esistenza. Le sue caratteristiche principali sono:
- Trascendenza: L’Uno è superiore a tutto ciò che esiste e non è identificabile con nulla nel mondo. È la fonte da cui tutta la realtà (le “ipostasi”: Intelletto, Anima e, infine, il mondo sensibile) emana, ma senza che l’Uno stesso si impoverisca o venga alterato. Questa emanazione è un processo necessario, simile alla luce che si irradia dal sole.
- Ineffabilità: Non si può descrivere l’Uno con attributi positivi (come “è buono” o “è saggio”), poiché ogni definizione lo limiterebbe. L’unica via è la “teologia negativa”, ovvero dire ciò che l’Uno non è.
- Unità assoluta: L’Uno è non-duale, indivisibile e non ha parti. È l’origine della molteplicità, ma non è esso stesso molteplice.
- Esperienza mistica: Il ritorno all’Uno non avviene tramite la ragione, ma attraverso un’esperienza mistica chiamata estasi, in cui il soggetto e l’oggetto si fondono in un’unica realtà.
Il Rigpa nel buddhismo tibetano
Il termine Rigpa (in tibetano “rig-pa”) significa “consapevolezza” o “conoscenza” ed è un concetto centrale nel buddhismo tibetano, in particolare negli insegnamenti dello Dzogchen. Rappresenta la natura primordiale e pura della mente, la sua essenza intrinseca, che è sempre presente al di là dei pensieri e delle emozioni.
- Natura della mente: Rigpa è la consapevolezza pura e incontaminata, una “conoscenza della conoscenza stessa”. È privo di oscuramenti e contaminazioni passeggere. La mente ordinaria (sems) è l’attività mentale che subisce le fluttuazioni dei pensieri, mentre Rigpa è la consapevolezza pura che sta alla base di tale attività.
- Non-dualità: Rigpa è descritto come l’unione inseparabile di vacuità (la sua essenza priva di esistenza intrinseca) e chiarezza (la sua capacità di conoscere e manifestare). Non è un’entità, ma uno stato di pura consapevolezza non-duale. Uno spazio luminoso.
- Riconoscimento: La realizzazione di Rigpa non è un processo graduale di accumulo di conoscenza, ma un atto di riconoscimento, un’illuminazione improvvisa della propria vera natura. L’obiettivo della meditazione è riconoscere questo stato di presenza naturale.
Analogie tra l’Uno e il Rigpa
Nonostante le differenze contestuali, le somiglianze tra i due concetti sono notevoli:
- Principio ultimo e trascendente: Sia l’Uno che il Rigpa sono il principio fondamentale della realtà, al di là del mondo fenomenico e delle categorie concettuali.
- Ineffabilità e non-dualità: Entrambi non possono essere descritti con parole o concetti ordinari. L’Uno è al di là dell’essere, mentre Rigpa è la natura non-duale della mente, al di là del soggetto che conosce e dell’oggetto conosciuto.
- Fonte della realtà: Sebbene in modi diversi (emanazione per Plotino, manifestazione per il buddhismo), entrambi sono la fonte da cui emerge la molteplicità della realtà. L’Uno “irradia” le ipostasi, e Rigpa è la base da cui si manifestano i pensieri e le emozioni.
- Realizzazione non concettuale: L’accesso a entrambi non avviene tramite la mera ragione o lo studio, ma attraverso un’esperienza diretta e non concettuale: l’estasi per Plotino e il riconoscimento di Rigpa per il praticante buddhista.
Queste analogie mostrano come, in diverse tradizioni spirituali e filosofiche, si sia cercato di descrivere un’unica realtà ultima che trascende la nostra comprensione ordinaria e che può essere raggiunta solo attraverso un’esperienza diretta e non-duale.
il confronto tra Ālaya-vijñāna e Nous è un passo logico e affascinante. Mentre l’Uno e il Rigpa si ponevano come principi ultimi e ineffabili, l’Ālaya-vijñāna e il Nous rappresentano il livello successivo, quello che dà forma alla realtà, sebbene in modi molto diversi.
L’Uno di Plotino: Oltre il vuoto e la pienezza
L’Uno di Plotino è al di là di ogni concetto, inclusi quelli di “vuoto” e “pienezza”. Non è “vuoto” nel senso di una mancanza o di uno spazio da riempire. Al contrario, è la pienezza assoluta, la fonte da cui tutto emana. Dire che l’Uno è vuoto significherebbe applicargli una categoria, una limitazione. Plotino lo definisce come “ciò che non ha bisogno di nulla” e “ciò che è al di là dell’essere”, il che non implica un vuoto, ma una perfezione così totale da trascendere ogni definizione.
È totipotente? Certamente. Il termine “totipotente” (dal latino totus, tutto, e potens, potente) si adatta perfettamente. L’Uno è la causa di tutto, il fondamento di ogni realtà. È la sorgente da cui derivano l’Intelletto, l’Anima e il mondo sensibile. Non ha bisogno di agire per creare, poiché la sua stessa esistenza è la causa di tutto ciò che è.
Il Rigpa: Vuoto e totipotente
Nel buddhismo tibetano, il Rigpa è descritto come vacuità (shunyata), ma è fondamentale comprendere che questa vacuità non è un nulla. È l’assenza di un’esistenza intrinseca, separata e indipendente. È uno spazio non-duale che è al contempo luminosità o chiarezza (salwa). Questo “spazio vuoto” è quindi tutt’altro che una mancanza; è la natura intrinseca della mente, da cui ogni fenomeno può sorgere.
In questo senso, il Rigpa è anch’esso totipotente. La sua vacuità e la sua chiarezza sono inseparabili. La chiarezza del Rigpa è il potenziale per la manifestazione di tutti i fenomeni. È la base da cui emergono pensieri, emozioni e percezioni, e ha il potere di trasformare la mente dal ciclo del samsara (l’esistenza condizionata) allo stato di illuminazione.
Confronto finale
Concetto | Natura | Potenza |
L’Uno (Plotino) | Trascende “vuoto” e “pieno”; è la perfezione assoluta al di là dell’essere e del non essere. | Totipotente: è la causa emanativa di tutta la realtà. |
Il Rigpa (Buddhismo) | È “vuoto” (shunyata) nel senso di assenza di esistenza intrinseca, ma è inseparabile dalla chiarezza. | Totipotente: è la base e il potenziale per la manifestazione di ogni fenomeno. |
In conclusione, l’analogia è forte nella loro natura totipotente e nel loro porsi come principi ultimi. Tuttavia, il concetto di “vuoto” applicato all’Uno è fuorviante, poiché l’Uno trascende tale categoria, mentre la vacuità del Rigpa è un concetto centrale che non implica una mancanza, ma la natura stessa della mente.
Il Nous di Plotino
Il Nous (Intelletto) è la seconda delle tre ipostasi fondamentali del pensiero di Plotino, che si colloca immediatamente sotto l’Uno. Il Nous è la prima manifestazione di molteplicità dall’Uno, e rappresenta il mondo delle Idee platoniche. Le sue caratteristiche principali sono:
- Identità tra Essere e Pensiero: Il Nous è l’autocoscienza dell’Uno. Mentre l’Uno non pensa se stesso perché è pura unità e non c’è dualità tra soggetto e oggetto, il Nous “contempla” l’Uno e, in questo atto di contemplazione, genera la molteplicità delle Idee. In Plotino, il Nous è il luogo in cui l’essere (le Idee) e il pensiero (l’atto di contemplazione) sono un tutt’uno.
- Molteplicità nell’unità: Il Nous è un’unità che contiene in sé la molteplicità di tutte le Idee. È un “uno-molteplice” (
hen-polla
), un cosmo intellegibile in cui ogni Idea è distinta, ma contemporaneamente in armonia con tutte le altre. - Ordine e razionalità: Il Nous è il principio ordinatore del cosmo. Contiene gli archetipi, le forme perfette che servono da modello per il mondo sensibile, creato dall’Anima, l’ipostasi successiva.
- Stabilità e perfezione: Come emanazione diretta dell’Uno, il Nous è un regno di assoluta perfezione, stabilità ed eternità, al di là del tempo e del cambiamento.
Ālaya-vijñāna (coscienza-magazzino) nel buddhismo Yogācāra
Il concetto di Ālaya-vijñāna (in sanscrito, “coscienza-magazzino”) è centrale nella scuola buddista del Yogācāra (o Cittamātra), che afferma che tutta la realtà che percepiamo è “solo mente” (mind-only). Si tratta dell’ottava e più profonda delle otto coscienze, e la sua funzione principale è quella di essere il fondamento di tutta l’esistenza fenomenica.
- Base di ogni esperienza: L’Ālaya-vijñāna è il “magazzino” che contiene tutti i semi (
bīja
) karmici, le impronte di tutte le nostre azioni, pensieri e esperienze passate. Questi semi sono latenti e non-coscienti, ma sono la causa ultima delle nostre percezioni e delle nostre esperienze attuali, comprese le altre sette coscienze (vista, udito, ecc.). - Continuità dell’individuo: Poiché il buddhismo nega l’esistenza di un’anima permanente (Anatta), l’Ālaya-vijñāna serve a spiegare la continuità dell’individuo attraverso il tempo e le rinascite. Non è un “sé” (ātman), ma piuttosto un flusso continuo di coscienza che trasporta le “tracce” karmiche da una vita all’altra.
- Potenziale di trasformazione: Sebbene sia la base dell’esperienza condizionata (
samsara
), l’Ālaya-vijñāna ha anche il potenziale per essere purificata. Quando i semi karmici impuri vengono trasformati attraverso la pratica spirituale, l’Ālaya-vijñāna si trasforma in una “coscienza pura” (amala-vijñāna
), il fondamento dello stato di illuminazione.
Analogia e differenze
Le somiglianze e le differenze tra Nous e Ālaya-vijñāna sono illuminanti:
Analogie
- Principio fondante: Entrambi sono principi che si trovano a un livello più profondo della coscienza e della realtà ordinaria. Il Nous è la base metafisica da cui procede il mondo, l’Ālaya-vijñāna è la base psicologica e karmica da cui nascono le nostre esperienze.
- Ordine e potenziale: Sia il Nous che l’Ālaya-vijñāna contengono un potenziale per la manifestazione del mondo. Il Nous contiene le Idee perfette, l’Ālaya-vijñāna contiene i semi che daranno vita alla realtà fenomenica.
Differenze
- Natura della realtà: Questa è la differenza più cruciale. Il Nous è un’entità metafisica, un regno di Idee platoniche eterne, perfette e reali. È un’entità oggettiva, sebbene trascendente. L’Ālaya-vijñāna, al contrario, non è un’entità oggettiva, ma piuttosto un concetto che descrive un flusso di coscienza. Contiene “semi” che sono il potenziale per la manifestazione, ma la realtà che creano è vista come “solo mente”, una costruzione.
- Statuto ontologico: Il Nous è la seconda ipostasi, un essere perfetto che non ha bisogno di purificazione. La sua natura è già divina. L’Ālaya-vijñāna, invece, è un principio che necessita di essere purificato e trasformato per raggiungere l’illuminazione. È sia la radice del
samsara
(il ciclo di sofferenza) che il potenziale per ilnirvana
. - Relazione con la persona: Il Nous è un principio universale e impersonale. L’Ālaya-vijñāna, pur essendo un concetto universale, è strettamente legato all’individuo, fungendo da “continuità” karmica tra le vite; però, di nuovo, l’individuo per il buddhismo non è ciò che è per l’Occidente – è piuttosto un di-viduo, stante il principio dell’anatma, o assenza di io empirico come ente.
In sintesi, mentre il Nous di Plotino è un principio razionale e metafisico di perfezione che dà ordine alla realtà, l’Ālaya-vijñāna buddhista è un concetto psicologico e karmico che spiega la continuità della coscienza e il potenziale per la trasformazione spirituale. Il primo si occupa dell’essere, il secondo della mente, ma entrambi sono tentativi di cogliere un livello di realtà che sta oltre la nostra esperienza immediata e superficiale.
Il Nous di Plotino, pur occupandosi degli esseri determinati (le Idee), è anche concepito come atto puro e, in questo senso, come una forma di coscienza o intelletto.
La relazione tra Nous, atto e coscienza
È vero che Plotino definisce il Nous come un’entità che si trova in un’eterna e perfetta attività, non come una potenza in attesa di realizzarsi. Questo lo rende un atto puro, che contempla se stesso e l’Uno. Tuttavia, è importante distinguere questo “atto puro” da quello che potremmo intendere come coscienza individuale.
- Nous come atto puro: La sua “purezza” risiede nel fatto che il suo pensiero è la sua stessa esistenza. A differenza del pensiero umano, che si rivolge a oggetti esterni, il Nous è un intelletto che pensa se stesso e le Idee che esso stesso contiene. La sua conoscenza è immediata, non discorsiva. In questo senso, è un’attività assoluta, un atto di auto-consapevolezza eterna.
- Nous come coscienza: Se per “coscienza” intendiamo una consapevolezza che contiene e organizza la molteplicità degli oggetti di pensiero, allora il Nous è innegabilmente una forma di coscienza. È la coscienza del mondo intellegibile, l’essere che pensa se stesso e che, in questo atto, contiene la totalità delle forme perfette.
Ālaya-vijñāna e la sua natura di coscienza
L’Ālaya-vijñāna, pur essendo anche una coscienza, ha una natura e una funzione molto diverse.
- Non è atto puro: L’Ālaya-vijñāna non è un atto puro o un’attività assoluta in senso metafisico. È un flusso di coscienza che, per sua natura, è contaminato dai semi karmici. È la base della nostra esperienza condizionata, non un principio di perfezione.
- È “deposito” di potenzialità: L’Ālaya-vijñāna è più simile a un “magazzino” di potenzialità non ancora attualizzate, mentre il Nous è la perfetta attualizzazione di tutte le forme. La sua “coscienza” è quindi più vicina a un inconscio collettivo o a una memoria profonda che determina la nostra esperienza, ma che non è, di per sé, un atto di pura e perfetta conoscenza.
Le differenze cruciali
In conclusione, sebbene sia il Nous che l’Ālaya-vijñāna possano essere definiti come forme di coscienza, la loro natura e funzione sono profondamente diverse.
- Finalità e perfezione: Il Nous è un’entità perfetta, il modello da cui il mondo sensibile trae la sua forma. La sua coscienza è un atto di contemplazione eterna e divina. L’Ālaya-vijñāna è un principio transitorio e impuro che deve essere purificato per raggiungere l’illuminazione. La sua “coscienza” è il fondamento della nostra esperienza del samsara.
- Staticità vs. Dinamismo: Il Nous è statico e perfetto, il suo atto è eterno e immutabile. L’Ālaya-vijñāna è un flusso dinamico che cambia costantemente, alimentato e modificato dal karma.
In breve, il Nous è una coscienza perfetta che è la realtà intellegibile, mentre l’Ālaya-vijñāna è una coscienza imperfetta che dà vita alla realtà fenomenica.
Anima (Psyché) e Mente individuale (Sems)
La relazione tra le ipostasi di Plotino e i concetti del buddhismo tibetano può essere estesa anche al terzo livello, l’Anima e la mente individuale.
La terza ipostasi di Plotino è l’Anima (Psyché). Essa è l’ultima emanazione perfetta dal Nous e il ponte tra il mondo intellegibile e il mondo sensibile. L’Anima si divide in:
- Anima superiore: parte che rimane in contatto con il Nous e il mondo delle Idee.
- Anima inferiore: parte che si rivolge al mondo sensibile, dando forma e ordine alla materia.
L’Anima è il principio vitale e razionale che anima e governa il cosmo, plasmandolo secondo gli archetipi ricevuti dal Nous. La sua caduta nel mondo sensibile è ciò che genera la molteplicità e la percezione individuale. Il suo scopo finale è tornare all’unione con il Nous e l’Uno attraverso l’intelletto.
Nel buddhismo tibetano, la mente individuale (Sems) è l’esperienza di coscienza che sperimenta il mondo fenomenico. Essa è in contrasto con Rigpa, la natura primordiale della mente. Il Sems è il pensiero discorsivo, l’accumulazione di pensieri, emozioni e percezioni che ci legano al ciclo del samsara (l’esistenza condizionata). La mente individuale è:
- Dualistica: crea la distinzione tra soggetto e oggetto, tra “io” e “non-io”.
- Contaminata: influenzata dalle afflizioni mentali (avidità, rabbia, ignoranza).
- Illusoria: genera la realtà fenomenica come un’illusione, un’interpretazione della vera natura della mente.
Le analogie tra Anima e Sems
- Principio di manifestazione: Entrambi sono il veicolo attraverso cui la realtà (che sia l’Intelletto o la natura della mente) si manifesta a un livello inferiore. L’Anima di Plotino dà vita e ordine al mondo fisico, mentre il Sems tibetano manifesta il mondo come lo percepiamo e lo interpretiamo.
- Dualismo e frammentazione: Sia l’Anima che il Sems sono i principi della frammentazione e della dualità. L’Anima, rivolgendosi alla materia, si divide in molteplici anime individuali. Il Sems, con il suo pensiero dualistico, crea l’illusione di un mondo esterno e di un sé separato.
- Potenziale di ritorno: Entrambi contengono il potenziale per la liberazione. Per Plotino, l’Anima ha la capacità di “ricordare” il Nous e l’Uno, e di risalire verso di essi. Per il buddhismo tibetano, il Sems può essere purificato e riconosciuto come Rigpa. In entrambi i casi, la salvezza o l’illuminazione passa per un atto di “ricordo” o riconoscimento della propria origine.
In sintesi, se l’Uno e il Rigpa sono l’origine, e il Nous e l’Ālaya-vijñāna sono la loro prima manifestazione, l’Anima e il Sems rappresentano il livello successivo, il ponte verso il mondo fenomenico, pur mantenendo il potenziale per tornare alla loro origine.
Le aporie delle ipostasi
Il Nous di Plotino affronta diverse sfide logiche, che emergono principalmente dal suo ruolo di mediatore tra l’Uno ineffabile e il mondo sensibile. Non ricade direttamente nell’aporia stoica, ma si scontra con una difficoltà simile a conciliare la sua perfezione immutabile con la contingenza del divenire con cui è in relazione.
L’Aporia Stoica e il Nous
L’aporia stoica riguarda il problema di come una divinità incorporea e trascendente possa agire su un mondo fisico e corporeo. Gli stoici risolsero il problema identificando la divinità con il Logos che pervade la materia. Plotino non affronta questo problema direttamente in questi termini, perché la sua filosofia non parte da un dualismo netto tra corporeo e incorporeo. Piuttosto, Plotino risolve questo problema attraverso il concetto di emanazione, dove il Nous, l’Anima e la materia non sono entità separate che interagiscono, ma piuttosto livelli di realtà che derivano da un unico principio, l’Uno.
La Difficoltà di Conciliare Immutabilità e Divenire
La principale difficoltà logica per il Nous di Plotino non è tanto come agisca sul mondo, ma come la sua natura perfetta e immutabile possa essere la causa di un mondo caratterizzato da imperfezione, molteplicità e divenire.
- Il problema della Causa-Effetto: Il Nous, pur essendo la causa del mondo intelligibile, rimane immutabile. Se l’atto del Nous di “pensare” se stesso genera la molteplicità delle Idee, come può questa molteplicità, a sua volta, generare un mondo di imperfezione, senza che il Nous ne sia contaminato? Plotino risolve questo problema affermando che il mondo sensibile non è un prodotto diretto del Nous, ma dell’Anima del Mondo che è l’ipostasi successiva e inferiore.
- La discesa dell’Anima: La vera aporia plotiniana non è a livello del Nous, ma dell’Anima. L’Anima, che discende dal Nous, si rivolge al mondo materiale e, in questo atto, si “disperde” e si frammenta in singole anime individuali. La difficoltà è spiegare perché l’Anima perfetta scelga di rivolgersi a un mondo inferiore, un’azione che sembra andare contro la sua stessa natura. Plotino lo spiega come un atto inevitabile di eros (desiderio) o come una necessità intrinseca al processo di emanazione, ma la scelta di questa “discesa” rimane un punto di tensione logica.
- La conciliazione tra Unità e Molteplicità: Il Nous è descritto come un “uno-molteplice” (hen-pollà), un’unità che contiene in sé la molteplicità delle Idee. La difficoltà è conciliare la sua perfezione assoluta con la sua natura molteplice. Per Plotino, questa molteplicità non è una frammentazione, ma un’armonia perfetta in cui ogni Idea è distinta ma non separata dalle altre, e tutte sono contenute nell’unità del Nous.
In sintesi, il Nous si scontra con la difficoltà di essere il punto di origine di una realtà imperfetta pur rimanendo immutabile e perfetto. Tuttavia, Plotino sposta il problema di conciliare immutabilità e divenire sull’Anima, che è l’unica ipostasi a rivolgersi direttamente al mondo della materia e a esserne influenzata. Ma, appunto, questo è solo uno spostare il problema.
La critica attualista a Plotino
La critica di Giovanni Gentile alla filosofia di Plotino, e in particolare al concetto di Nous, si concentra sulla distinzione tra trascendenza e immanenza. Gentile, fondatore dell’attualismo, è un ideantista, che confuta come falso idealismo le posizioni ideatiste di Hegel e altri, compreso Plotino (cioè le concezioni in cui il pensiero ha un oggetto diverso da sé). L’ideatismo è un falso idealismo perché lascia qualcosa fuori dall’ideare, dal pensiero come atto-in-atto: lascia una cosa, una sorta di cosa-in-sé, di essere formale (in senso cartesiano): l’oggetto del pensare. Al contrario, Gentile vede il pensiero come un atto puro e un’attività incessante, a cui niente è esterno (nemmeno le strutture della Logica di Hegel); e la sua critica a Plotino deriva dal fatto che quest’ultimo non riesca a superare un residuo di trascendenza.
Per Gentile, la realtà non è un insieme di entità o ipostasi separate (l’Uno, il Nous, l’Anima), ma un unico atto in divenire, che egli chiama “atto puro”. In questo senso, la filosofia di Plotino, pur essendo un sistema di emanazione, mantiene una separazione problematica. Gentile critica la trascendenza dell’Uno. Se l’Uno è al di là dell’essere e del pensiero, allora è un “non-essere” che non può essere atto pensante.
Anche il Nous, pur essendo l’Intelletto che pensa sé stesso, viene visto da Gentile come un’entità statica e non come un processo dinamico. Per Gentile, come per il buddhismo, il pensiero non è un “ente” o una “cosa”, ma un atto continuo di creazione di sé. La sua accusa è che Plotino abbia reificato, cioè trasformato in una cosa, l’atto pensante. In un certo senso, la critica di Gentile si rivolge proprio all’incapacità del sistema plotiniano di conciliare l’immutabilità del Nous con il divenire. Per Gentile, la logica del divenire non è un problema, ma il cuore stesso del pensiero, ergo della realtà. Il pensiero è un’attività che crea sé stessa in ogni momento, senza un prima o un dopo. Gentile sostiene che l’atto pensante ponga e crei la realtà nel momento stesso in cui la pensa; e non c’è un’entità trascendente (l’Uno) da cui il pensiero deriverebbe, né un’entità separata (il Nous) che pensi in modo statico.
Gentile rifiuta ogni forma di dualismo, anche quella tra il pensiero e ciò che è pensato (ideatismo, nella mia terminologia). Per lui, il soggetto e l’oggetto non sono entità separate che interagiscono, ma sono uniti in un unico atto. Questa è la sua risposta alla difficoltà di Plotino di conciliare la purezza del Nous con il divenire del mondo.
Terminus
Escluso Eraclito, da Parmenide in poi (Socrate-Platone, Aristotele, Plotino, i filosofi cristiani), il pensiero occidentale, sostanzialmente come quello indovedico, ritiene che l’evidenza immediata sia un mondo cangiante di innumerevoli manifestazioni, interpreta pertanto tale presunta evidenza come contraddittoria e fenomenica, e postula una Realtà, un quid unico, eterno, e immutabile, retta dal principio di non contraddizione, come necessaria contropartita a tale contraddittorietà; e questa Realtà può essere impersonale oppure personale, cioè Dio, motrice, creatrice o emanatrice dei fenomeni; in ogni caso, essa è dotata di tutta la perfezione, quindi è cosciente.
Ma qui sta il primo errore. Ciò che è perfetto e immutabile, eo ipso non può esperire; ma senza esperienza non vi può essere coscienza, e senza coscienza non vi può essere pensiero, cioè non vi può essere esistenza, date le acquisizioni dell’attualismo. Quindi il supposto Essere supremo, perfetto e immutabile è un’impossibilità logica. Deus est ens cujus essentia involvit inexistentiam.
Il secondo errore, che però logicamente viene prima, è ritenere che la totalità dell’immediatamente evidente sia contraddittoria (ed esiga quindi che si postuli l’Essere incontraddittorio oltre essa): l’immediata evidenza non può, innanzitutto per due ragioni logiche, essere contraddittoria: innanzitutto, perché, se la contraddittorietà fosse immediatamente evidente, sarebbe immediatamente tolta. Quindi essa non si costituirebbe nemmeno – apparirebbe la verità. In secondo luogo, ciò in cui essa viene tradizionalmente ravvisata (il molteplice, le relazioni, il tempo, lo spazio, etc.) in realtà non è affatto contraddittorio; la contraddittorietà viene introdotta surrettiziamente dall’uso linguistico, come ho ampiamente esposto nel mio saggio Terminus. L’immediato è un dato di realtà, e ciò che è reale non può essere impossibile o illusorio, nella sua immediatezza.
E’ così capovolto l’impianto ontologico che accomuna oriente e occidente, Vedanta e Plotino: il “mondo” è incontraddittorio e l’Essere infinito è impossibile – salvo intenderlo come inconscio oppure ravvisarlo in Terminus stesso, ossia nella Necessità del limite, della finitezza, affinché vi sia esistenza, e riconoscere nel culto di Terminus, nella sua consapevole contemplazione, la via regia della rettificazione.
21.8.2025 Marco Della Luna