DEBUNKING – PUBBLICATO DA NEXUS 2007
Il Debunking della Controinformazione
Il debunking non è una cosa a sé, isolata, che si fa per sport. Va analizzato nel suo contesto, compreso secondo le esigenze che soddisfa, studiato nei suoi metodi.
Il debunking consiste nello smontare e confutare, dimostrandone l’infondatezza e la capziosità, teorie e informazioni che vanno contro il pensiero ufficiale o dominante, il mainstream. Il debunking è diretto principalmente a demolire e a screditare come bugiarda o paranoica (delirio di persecuzione) la controinformazione, soprattutto quella tendente a svelare e denunciare “complotti” di gruppi elitari potenti, anche di vertici di istituzioni pubbliche o della grande finanza o industria. Complotti diretti a mettere insieme e impiegare conoscenze, tecnologie, strumenti speciali, spesso segreti, per manipolare il pensiero, le decisioni, i comportamenti della popolazione generale a proprio vantaggio egoistico, economico e/o politico, e a danno della popolazione generale, o perlomeno a limitazione della sua libertà, salute, dignità, possibilità di conoscere la realtà delle cose.
Si constata subito come la suesposta definizione di “complotto” corrisponde semplicemente al marketing e alla propaganda politica, come insegnate e studiate dai testi di marketing e propaganda disponibili nelle librerie, anche se non direttamente insegnate nelle università.
Per capirci, è necessario fare un breve ragionamento economico. Generalmente, l’imprenditore, e soprattutto l’imprenditore industriale e tecnologico, ha bisogno, quindi tende, a produrre e ad assicurarsi una forte, duratura e rigida domanda (la domanda dicesi “rigida” quando varia poco al variare, e soprattutto all’aumentare, del prezzo) dei prodotti o servizi che intende produrre. Ne ha bisogno allo scopo di assicurarsi l’ammortamento degli investimenti (passati, in corso, futuri), di poter pianificare nuovi investimenti, e di guadagnare. Maggiore è l’investimento e il tempo di ammortamento, maggiore è questo bisogno. L’artigiano tradizionale (il calzolaio, il fornaio, il fabbro) investe poco, rischia poco, ammortizza presto, ha pochi costi fissi. Quindi può tranquillamente aspettare la clientela, la domanda. Non ha bisogno di produrla. L’industriale che investe molto è invece nella condizione opposta.
L’ideale è conquistare una stabile posizione di monopolio, che consente di massimizzare i ricavi (alzando i prezzi), quindi di accelerare l’ammortamento e di accrescere i profitti. Per questo si dice ogni imprenditore vorrebbe il libero mercato per gli altri, e il monopolio per sé. E’ un interesse oggettivo, non una scelta etica.
Per capirci meglio, facciamo un esempio: se vogliamo produrre industrialmente aeroplani militari, da vendere ovviamente a governi, dobbiamo investire (rischiare), diciamo, 5 miliardi di Dollari in spese di ricerca, progettazione, impianto produttivo, personale, macchinario, materiali. Abbiamo necessità, quindi, di contare su una domanda futura di aeroplani militari prodotti da noi. Il nostro investimento si ammortizzerà in non meno di 15 anni. Un concorrente che arrivi sul mercato con aeroplani migliori o meno costosi dei miei, ci farebbe perdere l’investimento. Una evoluzione pacifista nella politica dei governi costituenti la nostra clientela porterebbe a un crollo della domanda dei miei prodotti, e anche tale evento ci farebbe perdere il nostro investimento. Quindi, se non vogliamo perderlo e se vogliamo guadagnare, dobbiamo organizzarci in modo da prevenire il realizzarsi dei due eventi distruttivi per il nostro business: la concorrenza e la pace.
Poiché il nostro budget imprenditoriale, il rischio, è di 5 miliardi di Dollari, possiamo destinare una grossa somma, diciamo 1 miliardo, alla prevenzione della concorrenza e della pacificazione.
Come procederemo, quindi, prima ancora di attuare l’investimento?
Innanzitutto, cercheremo alleanze con imprenditori che condividano i nostri interessi – come produttori di missili e bombe, di sistemi d’arma, di avionica, di navi militari, di carri armati, etc.- per fare una lobby degli armamenti e un pool di risorse finanziarie, in modo che al nostro miliardo di dollari se ne aggiungano altri cento.
Con questa somma potremo condizionare la politica – sovvenzionare i candidati portatori di un forte programma di spesa per gli armamenti; comprare gli eletti; montare scandali contro leaders pacifisti; corrompere i politici affinché comperino i nostri prodotti anziché quelli della concorrenza, potenziale o attuale che sia; possiamo condizionare gli information media (giornali, riviste, editori, pubblicisti, scrittori) e gli entertainment media ( produttori cinematografici) – in modo che diffondano una cultura di allarme e bisogno di protezione; possiamo sovvenzionare università e ricercatori affinchè producano studi scientifici e analisi da cui risulti che il mondo va verso un clima di instabilità e guerre; possiamo pagare agenti che organizzino incidenti – quali attentati, rapimenti, assassinii- idonei a suscitare conflitti, paure, tensioni, quindi propensione ad accettare un aumento della spesa per la difesa.
Ovviamente, abbiamo anche interesse a che l’opinione pubblica non si accorga, non sia informata, dei nostri interessi e delle operazioni che compiamo per proteggerli e portarli avanti. Pagheremo, per mantenerli nascosti. Il capitale dell’industria degli armamenti è anche nell’industria chimica, elettronica, automobilistica, alimentare. Quindi condizioniamo i mass media (quando addirittura non li possiede direttamente), che vivono degli introiti pubblicitari, dicendo “Se volete che continuiamo a comperare spazi pubblicitari nei vostri giornali o nelle vostre trasmissioni, la vostra linea editoriale deve sostenere i nostri interessi industriali e non deve ospitare idee e informazioni contrarie ad essi, anzi, alla bisogna deve screditarli, smontarli (debunk), pubblicando opportune confutazioni.”
Ho fatto un esempio con l’industria degli armamenti perché è il più completo tra quelli facilmente comprensibilii (un esempio con le banche e la moneta sarebbe ancora più completo, ma molto più complesso da spiegare, richiederebbe un libro – v. Euroschivi.
All’inizio del 2001, dopo il crollo borsistico del 2000, l’economia, la domanda interna soprattutto, ristagnavano. Le precedenti policies monetarie (ribassi dei tassi, ampliamento del credito) e fiscali (restituzione del surplus finanziario ai contribuenti, incentivi vari) non sono servite. Bisognava stimolare l’economia con la spesa pubblica, in senso keynesiano: la spesa pubblica finisce nelle tasche delle imprese appaltatrici e subappaltatrici, in quelle dei lavoratori, dei fornitori, etc., e tutti possono spendere di più, così generano più domanda, e l’economia riparte. Ma per organizzare ed eseguire una grossa spesa pubblica occorrono anni di progettazioni, autorizzazioni, gare di appalto, mentre la grave situazione richiedeva invece un intervento urgente. Tuttavia si sa anche che c’è un tipo di spesa pubblica che si può fare rapidamente: quella militare, la quale, con l’entrata in guerra a seguito dell’attacco di Pearl Harbor (che ora si sa istigato, previsto e voluto da Washington per creare consenso popolare all’entrata in guerra), già fece uscire l’economia statunitense dalla depressione seguita al crollo del 1929. Però dovevamo renderla accettabile, anzi desiderabile, all’opinione pubblica, ai contribuenti. Supponiamo di avere allora organizzato ed eseguito l’attacco alle Torri Gemelle per rilanciare le spese governative per armamenti. La cosa funziona, come Pearl Harbor. La nazione è indignata, inorridita, impaurita. Chiede difesa. La spesa pubblica riparte, ripartono gli investimenti e la produzione, il sistema-paese ritrova slancio. Iniziano campagne militari, con forte consumo di munizioni, bombe, missili, vettovaglie, etc. Il p.i.l., che è calcolato sulla spesa ai costi di mercato, ascende. La disoccupazione cala.
Ecco che, nel bel mezzo di questa ripresa, si fa avanti qualcuno con un insieme di elementi probatori o indiziari che rischia di disturbare la convinzione che abbiamo prodotto nell’opinione pubblica, scoprendo ciò che abbiamo fatto. E magari aggiungendo che il particolato tossico emesso dagli incendi ha causato ad oggi 400.000 malattie mortali, respiratorie e degenerative, nella popolazione di New York. A questo punto, è logico che noi cerchiamo di neutralizzare questa minaccia della controinformazione, anche se è una minaccia modesta, rispetto alla forza e all’estensione dei processi che abbiamo messo in moto nella società, nell’economia, nella mente collettiva. Una volta che una convinzione forte, a livello morale e biologico, abbia fatto presa sulla mente collettiva e stia producendo un comportamento collettivo, la semplice conoscenza razionale della falsità di quella convinzione ha poco o punto effetto sul comportamento collettivo, soprattutto perché quella convinzione è diventata essa stessa un fattore di integrazione sociale e di creazione di valori. D’altronde, il grado di efficacia di un input sul comportamento e sul grado di “verità” che il suo contenuto informativo assume nei soggetti, è funzione della forza emotigena di cui è caricato. Inoltre, la carica emotigena dell’input dato dalla apocalittica scena delle Torri Gemelle brucianti e agonizzanti è infinitamente superiore a quella di una semplice informazione o controinformazione. Essa si trasmette ai commenti e ai giudizi che accompagnano quella scena e insieme attiva nella psiche un mode funzionale regressivo, emotivo e non critico, ideale per la propaganda mirata a convincere il popolo che è sotto attacco di un prestabilito nemico e che bisogna distruggerlo.
Non sempre saremo tanto agevolati, nella nostra opera di gestione della mente collettiva, come nel caso delle Torri Gemelle. Raramente la propaganda o il marketing possono avvalersi della forza emotigena di un fatto tanto apocalittico e impressionante. Non di rado la controinformazione sarà molto più efficace e pericolosa per la gestione della mente pubblica. Talvolta, come nel caso del riscaldamento globale e dei gas serra, o delle inesistenti armi di distruzione di massa dell’Iraq, o degli inesistenti rapporti tra Saddam Hussein e Al Quaeda, si deve fronteggiare una controinformazione che a sua volta si avvale di un’immagine molto positiva, etica, ecologica, pacifista, e che si diffonde molto più facilmente che la controinformazione sull’11 Settembre. Altre volte la controinformazione non riesce a raggiungere numeri preoccupanti di persone, pur disponendo di efficacissime prove filmate della falsità delle tesi della propaganda, come sta avvenendo con la o.n.g. Etleboro, che sul suo sito offre prove schiaccianti della falsità delle accuse e dei documentari sulle pretese stragi e atrocità dei Serbi ai danni di musulmani di Bosnia ed Erzegovina.
Tornando a noi, dobbiamo ora reagire alla controinformazione sull’11 Settembre. Per farlo, ci occuperemo poco delle minoranze colte e critiche, che leggono i libri. Inibiremo essenzialmente la divulgazione, anche nella stampa medica e in internet, dei dati sui 400.000 malati. Ci preoccuperemo soprattutto della popolazione generale, che non è raggiunta dai libri, ma dalla televisione e dai quotidiani più diffusi. Quindi innanzitutto, cercheremo di bloccare la divulgazione della controinformazione su tv e quotidiani, usando le ‘leve’ già descritte.
Se però la controinformazione riesce in qualche modo a diffondersi a una parte rilevante della popolazione, allora sarà necessario reagire con un adeguato debunking, ovviamente orientato soprattutto alla gestione della popolazione generale. Vedremo presto come.
Orbene, tutto questo altro non è che business. Strategia imprenditoriale e finanziaria. Che si continua nella strategia politica. E in cui sfruttiamo a nostro beneficio il nostro vantaggio informativo, tecnologico, finanziario, politico, ma soprattutto di consapevolezza dei processi mentali, di razionalità dei processi valutativi e decisionali, rispetto alla popolazione generale. Il business, col passaggio dall’artigianato e dal commercio locale all’industria, alla produzione in serie, ai grandi investimenti di lungo ammortamento, ha iniziato ad aver bisogno, e bisogno assoluto, di produrre la domanda, di manipolare la mente pubblica, la politica, la democrazia. Senza questa manipolazione, non vi sarebbero la società dei consumi, tutta la ricchezza e abbondanza di cui disponiamo, tutta la tecnologia che ci riempie le case, che si basano sulla ricerca e sulla produzione industriale in serie, in grande scala. E tutte le elezioni a cui siamo chiamati. Ciò è stato capito, analizzato, enunciato e tradotto in strategie da oltre cent’anni. Già Edward Bernays, nel suo celeberrimo ma poco pubblicato saggio del 1929, Propaganda, lo spiega molto chiaramente, come prassi già in atto e consolidata. Il grosso della psicologia, della ricerca e degli investimenti e dell’attività in campo psicologico, ha precisamente questo scopo. La psicologia come popolarmente intesa – la psicoterapia, la psicoanalisi – e quella insegnata nelle università, è solo marginale, quantitativamente e qualitativamente.
A questo punto abbiamo contestualizzato e definito il debunking: esso è una componente indispensabile nello strumentario della gestione della mente pubblica e dei comportamenti di massa nella società ricca, industrializzata e democratica.
Resta da vedere come si attua il debunking.
Premettiamo che la formazione dell’opinione pubblica, della percezione, dell’interpretazione, dell’accettazione della realtà e dei valori da parte del pubblico, è prodotta largamente dalla televisione e da pochi altri information media, e in misura trascurabile dalla conoscenza personale o ricevuta da altre persone. Il telespettatore è solo davanti allo schermo, il lettore è solo davanti al tabloid. Il flusso di informazioni è unidirezionale, top-down, senza scambio: dallo schermo e dalla pagina del mass media al cervello del singolo. Il messaggio è trasmesso alla massa, ma raggiunge ciascuno singolarmente e unidirezionalmente. Ciò è stato definito da Noam Chomsky “individualismo di massa”. Individualismo, perché siamo soli davanti allo schermo o al tabloid e riceviamo molta più informazione da essi che dagli scambi sociali. Di massa, perché i mass media trasmettono, appunto, alla massa, in modo uniformato e uniformante informazioni prese da fonti governative nazionali o dalle poche e oligopolistiche agenzie di informazioni dominanti (come Reuters o Ansa). Pochi direttori osano, su temi delicati, prendere notizie da altre fonti.
Da questa situazione discende che, se la maggioranza dei cittadini ha un convincimento o una volontà contrari a quelle sostenute dalla politica e dai mass media (ad esempio, ritiene che l’occupazione dell’Iraq sia illegittima, immorale, basata su accuse false e finalizzata allo sfruttamento del petrolio di quel paese), purtuttavia ciascuno dei cittadini che compongono quella maggioranza riceverà, dai mass media, una realtà rappresentata, in cui tutti sanno, e nessuno dubita, che l’Iraq ha armi di distruzione di massa, che collabora con Al Quaida; tutti sono doverosamente patrioti, cantano e pregano insieme, solidali col governo e coi “nostri ragazzi che combattono laggiù per la nostra sicurezza e la democrazia.” Quindi, amenoché possa accedere ai sondaggi di opinione e attivare un mode cognitivo razionale e non emotivamente condizionato, si sentirà come un cane in chiesa, isolato, colpevole, diverso. Non avrà la cognizione di essere maggioranza. La maggioranza contraria all’occupazione non saprà… di esistere.
Ma anche questa struttura della formazione dell’opinione pubblica non è, evidentemente, sufficiente e completa.
Occorre attivare ulteriori misure, come il debunking.
Per il debunking, gli strumenti abbondano. Si tratta, sostanzialmente, di una selezione mirata dei medesimi strumenti della sofistica, della retorica, della pubblicità della propaganda, che si trovano descritti nei trattati di queste discipline. Sofisti come Gorgia erano lautamente pagati proprio per tali prestazioni. Le Institutiones Oratoriae di Quintiliano sono un classico di tecnica dialettica e persuasiva, ed erano un libro di testo nell’antichità romana e medievale. L’Arte della Polemica di Arthur Schopenhauer è un prontuario di tecniche controargomentative. Finché l’istruzione è rimasta privilegio delle classi governanti, i rampolli di tali classi sono stati addestrati a persuadere di una tesi e poi del suo contrario, quindi sia a suggestionare gli altri che a resistere alla manipolazione e all’indottrinamento. Quando la scuola è divenuta popolare, naturalmente è stata privata di queste materie di insegnamento, perché il popolo deve restare manipolabile. Le relative tecniche si insegnano ancora, ma altrove e a pagamento.
Vediamone alcune tra le più pertinenti al debunking.
Prima di tutto, la controinformazione sostanzialmente evidenzia i veri scopi (profitto e potere) che stanno dietro a scelte politiche ed economiche, smentendo la giustificazione ufficiale, in chiave etica, di queste medesime scelte. Quindi, per un efficace debunking, preliminarmente e preventivamente occorre far sì che la gente non pensi agli atti politici, legislativi, istituzionali e, se possibili, industriali, come ad atti aventi fini economici egoistici (non dichiarati). La gente non deve pensare che siano moventi economici a guidare le scelte dei governanti e delle grandi corporations. Non deve imparare a interpretarle in quella chiave. Deve essere educata e indotta e sempre richiamata a interpretarli in chiave etica, affettiva, ideologica, religiosa (qualsiasi cosa tranne che il business) – come se fossero ispirati da sentimenti di solidarietà, di doverosità, di onorevolezza, di amicizia, di dignità, di devozione. Le figure di potere agiscono per il bene di coloro su cui hanno potere, secondo il modello genitori-figli. E’ ciò che dà loro autorevolezza e legittimazione. Nel farlo, rispettano e fanno rispettare le regole. Esse sono genuinamente interessate al rispetto delle regole e desiderano genuinamente punire che le viola. Inoltre, i loro atti mirano ad aumentare l’eguaglianza sociale, non mai ad aumentare le diseguaglianze (i vantaggi in termini di potere e di strumenti tecnologici) in favore dei governanti stessi. Soprattutto, non mirano mai a nascondere verità o informazioni né a mentire su di esse alla nazione. Chi pensasse diversamente, è come se pensasse tali cose dei propri amati genitori, è come se pensasse che il suo babbo volesse derubarlo e che la sua mamma si fosse sposata e stesse con lui solo per denaro; dovrebbe perciostesso vergognarsi e tacere, come farebbe uno che effettivamente avesse tali genitori.
In effetti, spiegare e spiegarsi una policy in termini eroici o etici o ideologici è molto più semplice, discorsivo, bello, emotivamente gratificante, che analizzarla in freddi termini economici, ricercando dati matematici, partecipazioni incrociate, informazioni scientifiche. Anche perché riportabile alle esperienze relazionali umane, familiari, della vita personale. E perché ci consente di “proiettare” meglio le nostre emozioni e motivazioni sugli atti e sulla vita di personaggi che pensano, decidono e agiscono in un contesto che, in fondo, la popolazione generale immagina senza poter conoscere, e che cerca di “tirar giù” nei propri schemi interpretativi.
Questo esempio mostra diversi strumenti all’opera:
-educazione al pensiero acritico e depistaggio dall’indagine di realtà;
-seduzione alla chiave interpretativa più facile, gratificante, espressiva, umanizzante, da applicarsi a processi molto più complessi e impersonali;
-evocazione di conflitti tra il contenuto demistificante della controinformazione e costrutti consolidati, affettivi, rassicuranti, integranti (con sé, con società, con la famiglia), corroborati dall’agito abituale e collettivo, come quelli pertinenti alla famiglia, ai genitori, alla patria, alla lealtà;
-colpevolizzazione del prestar fede a chi tocca e “sporca” la consacrazione delle figure eroicizzate, santificate: genitori, presidente, pompieri (impegnatisi generosamente ma poco utilmente nelle Torri Gemelle, poi quasi tutti morti), dei militari morti come eroi in Afghanistan e Iraq, etc.;
-suggestione che, prestando fede alla versione divergenti, ci si renda diversi e socialmente esposti ed evitati come traditori degli interessi nazionali o addirittura alleati de facto del nemico.
Questi strumenti, che già operano in via preventiva, possono essere facilmente convertiti e usati per il debunking, per far sentire il messaggio controinformante come a)inutilmente complesso, cervellotico, astruso, arido; b)delirante, del tipo “delirio di persecuzione” (che peraltro non può escludersi come possibilità), quindi malato, stupido, perdente; c)sporco, infame, proditorio, antisociale, contagioso, isolante. Forniremo quindi alla popolazione generale una versione che, anziché suscitare i conflitti di cui sopra, si allei e si rinforzi mutuamente con tutte le convinzioni e i valori consolidati, e che inoltri appaghi il bisogno incomprimibile dell’uomo comune di darsi sempre una spiegazione dei fatti, anche quando non è in grado di capirli e spiegarli. L’uomo comune, non specificamente educato e formato, fa molta fatica a dire “so di non sapere”, “sospendo il giudizio”, “mancano dati”, “forse le cose stanno in questo modo, forse in un altro completamente diverso”. L’uomo comune individua subito il vero e il falso, il giusto e il torto, l’amico e il nemico. Un’informazione culturalmente onesta, al contrario, frequentemente dichiara i propri limiti, i propri dubbi, i propri “non si sa”, la debolezza del proprio pensiero, la provvisorietà delle proprie verità. La mente pubblica vuole invece certezze e definitività. Respinge la sospensione del giudizio e la relatività del giudizio. Più i temi sono importanti ed emotigeni, più preferisce ed esige un’informazione culturalmente disonesta ed è attratta da chi offre certezze con linguaggio categorico e connotazioni morali.
Il debunker, come in generale l’esperto di propaganda e marketing, a differenza dell’uomo comune, è professionalmente al corrente di questa e di molte altre caratteristiche, di molti punti deboli, di molte fallacie tendenziali della mente umana; e adopera consapevolmente queste sue conoscenze per i fini dei suoi committenti, sa dove mettere le dita.
L’uomo si crede, perché così gli si insegna a pensarsi, di essere consapevole dei propri processi e fattori di interpretazione della realtà, di scelta dei valori, di presa delle decisioni. Non è così. Quei processi e quei fattori sono perlopiù inconsci. La manipolazione mentale, di cui il debunking è una forma, e la pubblicità commerciale un’altra, interviene su di essi e lo fa a livello inconscio per produrre i comportamenti desiderati, di adesione a valori, verità ufficiali, etc. L’uomo non sa a causa di che cosa comperi un prodotto di una certa marca o con un certo design, piuttosto che un altro. O perché voti per un certo candidato piuttosto che per un altro. Ma l’esperto di propaganda lo sa. (v. Clotaire Rapaille, Il codice nascosto, Nuovi Mondi Media, 2006): egli stesso ha congegnato quel fattore causale. Ha elaborato il design del PT Cruiser, ad esempio, perché esso corrisponde al codice culturale inconscio degli americani per “automobile”, e la domanda di PT Cruisers è subito balzata oltre la capacità produttiva della fabbrica.
Il debunker sa che tutti hanno emozioni e pensieri, alcuni pensano, pochi ragionano, pochissimi discernono quando stanno pensando razionalmente, da quando stanno fantasticando o associando o vivendo stati emotivi; ancora meno ne tengono conto, nel senso di tener presente, agli effetti dell’aderenza alla realtà, che stanno vivendo un’idea come bella, buona, reale, rispondente ai loro bisogni (ad es., l’idea di un amore, o di un messaggio religioso), ma che tutto ciò non costituisce alcuna dimostrazione che quell’idea corrisponda alla realtà oggettiva, e che non è idoneo a supplire alla mancanza della prova oggettiva della verità di quell’idea. Sull’uomo comune quei vissuti soggettivi hanno l’efficacia di prova oggettiva; mentre l’idea di che cosa sia il dimostrare, e quindi il non dimostrare, non è realmente presente alla sua coscienza e attenzione.
Inoltre, quasi nessuno è conscio di come il suo stato di umore ed emotivo modifica la sua penetrabilità alla manipolazione, alla suggestione della propaganda. I venditori, i predicatori televisivi e i gestori dei culti organizzati che fanno proselitismo ne sono molto consci e ne fanno un uso massiccio. Sanno che, se si riesce a indurre un’elevazione del tono dell’umore, a creare un sentimento di giocosità, di rilassatezza, o di aspettative di successo, o di grazie divine, etc., sarà più facile indurre la persona comune a comperare, a firmare un contratto, ad accettare di condividere una fede e una pratica religiosa. Anche la stanchezza, il tedio, la paura attenuano le capacità critiche e le resistenze delle persone al condizionamento.
Insomma, il debunker sa che ciò che fa sì che una tesi faccia presa e sia vissuta come reale non è la sua dimostratezza, ma la sua forza gratificatrice. La completezza del quadro probatorio, la rigorosità delle deduzioni logiche, la correttezza del loro concatenamento, le basi scientifiche e documentali sono secondarie. Anzi, spingere le persone ad eseguire un consapevole e critico esame di queste cose, comprendente il vaglio delle ipotesi alternative e degli indizi contrari (esame che invece costituisce il metodo professionale dell’operatore scientifico e del giudice) può essere controproducente, perché nella gente comune suscita noia, stanchezza o desta tendenze critiche latenti.
Perciò il debunker attacca la controinformazione con messaggi semplici, discorsivi, prevalentemente diretti al livello emotivo, con “ganci” diretti all’inconscio, piuttosto che con la logica e le dimostrazioni. Componenti, “spezzoni” di logica e di scientificità vengono inseriti, ma non come struttura portante, bensì per evocare una sensazione di razionalità scientifica del messaggio stesso, per dare un’impressione, una vernice di autorevolezza e oggettività – in funzione, ossia, di testimonials (come, nella réclame per un dentifricio, un riferimento ai dentisti del tipo “il più raccomandato dai dentisti”). Ovviamente, anche veri e propri testimonials possono essere impiegati.
Per contro, spesso questi messaggi mirano a screditare la fonte e l’autore della controinformazione sul piano morale o con insinuazioni di immoralità ideologica o di affiliazioni “appestanti” coi terroristi o coi nazisti o coi fascisti o coi comunisti – si pensi al debunking del revisionismo o del negazionismo.
Soprattutto, forse, il debunker tiene presente che, a sua volta, l’adesione popolare alla controinformazione è essa pure dovuta non tanto alla forza probatoria e logica degli argomenti dei controinformatori, ma a fattori emotivi: al gusto per la dietrologia, per il pettegolezzo, per lo smascheramento dei complotti. Il cittadino si sente, complessivamente, ingannato, disinformato, manipolato, sfruttato. Ma non ha gli strumenti per capire come, per uscire da questa situazione. Quindi è risentito, frustrato. Perciò è recettivo, bramoso di rivelazioni, di scandali, di controinformazione, di dietrologia. Di rivalsa. Offriamogli una bella teoria del complotto, più o meno dimostrata, più o meno vera, più o meno fantascientifica o magica, e avremo buone chances di far presa su questo o quel sottogruppo sociale.
Però questo meccanismo può anche essere rivolto dal debunker contro il contro la controinformazione. Il medesimo gusto della controinformazione, dello smascheramento, dello sputtanamento, può essere provato anche a spese del controinformatore, quando si scopre che anch’egli è un mentitore, un manipolatore. Anche questa scoperta è gratificante. Ancor più se essa lo riconcilia col sistema, coi valori e le verità ufficiali, del mainstream, riportandolo “a casa”, “in famiglia”, “in patria”, dopo un’escursione proibita.
Smascherare lo smascheratore, sputtanare lo sputtanatore, è una dinamica che abbiamo visto all’opera anche durante Mani Pulite, una campagna di smascheramento della sporcizia e dell’illegalità dei politici, dalla quale però nacque una contro-campagna: Toghe Sporche. Alcuni magistrati-simbolo di Mani Pulite, e soprattutto il dr Antonio di Pietro, furono a loro volta indagati e inquisiti per gravi ipotesi di reato. Le loro vite, i loro vizi privati, furono esposti dai mass media e avidamente divorati dall’opinione pubblica. Anche se i magistrati inquisiti furono, più o meno credibilmente, assolti o prosciolti, l’indice di fiducia popolare nei magistrati crollò al 20% circa – un livello inferiore a quello che mediamente gli avvocati giudicano corrispondente alla realtà.
L’approdo estremo del debunking, che pare sia raggiunto in Italia, è quello di portare lo smascheramento degli smascheratori alle estreme conseguenze, ossia di portare l’opinione pubblica alla conclusione che tutto è marcio, tutti mentono, tutti ingannano, tutti fregano, tutti sono disonesti; che la verità non si potrà mai sapere; e che quindi è moralmente giustificato fare l’unica cosa razionale in un cosiffatto contesto, ossia arrangiarsi, infischiarsi di tutto e di tutti, fregare gli altri e la società ogniqualvolta sia possibile. Questa idea, soprattutto in Italia dove vi è una cultura nazionale del chiagni (piangi) e fotti, specificamente predisponente, sia perché legittima la frode, l’immoralità, il menefreghismo; sia perché razionalizza la pigrizia mentale di chi non vuole impegnarsi nell’indagine della realtà e di sé stesso; sia e ancor più perché discolpa l’insuccesso: grazie ad essa, chi nella vita si sente fallito, trova una spiegazione attraverso una decolpevolizzazione propria e una colpevolizzazione degli altri. Forse anche un riscatto del proprio valore perduto: nel vittimismo.
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