LA TRIMURTI EUROPEISTA E LA FINE DELLA STORIA ITALIANA
LA TRIMURTI EUROPEISTA E LA FINE DELLA STORIA ITALIANA
Casini è da sempre europeista e vuole da sempre Monti candidato a premier. Bersani è europeista e vuole vincere al voto per aprire subito a Monti. Berlusconi, dopo l’ultima istrionica giravolta, è europeista e invita Monti a prender la guida dei moderati. Il pensiero va (pur conscio delle diversità) a quei rei africani che vendevano i loro sudditi ai negrieri europei. E pure ai numerosi uomini forti via via messi su dalla CIA e da Wall Street nei paesi poveri ma ricchi di risorse naturali e mano d’opera a buon mercato, per poter prendersi queste e quelle per quattro soldi.
Tutti i tre big vogliono portare i loro servigi al vincitore ormai certo e padrone destinato d’Italia: il capitalismo franco-tedesco che ieri, tredici dicembre, con l’unzione del Washington Consensus (FMI + Casa Bianca), ha incoronato Monti successore di Monti. Pochi hanno la libertà e l’onestà intellettuale di spiegare, come il giorno medesimo ha fatto Giulio Tremonti, che oggi l’Italia fa da bancomat alle banche tedesche e francesi. O di un Paul Krugman o di certa stampa britannica, che rinnova la valutazione tecnica che l’Italia, per tornare a crescere, abbisogna di uscire dal sistema di cambi bloccati e vincoli di bilancio detto Euro.
I tre leaders politici italiani pronamente gareggiano tra loro per ottenere dai poteri veri l’appalto della consegna-svendita di ciò che resta da rastrellare di questo sventurato Paese e salire sul carro dei nuovi padroni. Maroni, col suo partito rimpicciolito, nel migliore dei casi potrebbe di prendersi la Lombardia, e niente più – ma solo se asseconda Berlusconi, cosa oggi assolutamente discreditante, dopo che l’ex premier ha dapprima sostenuto, poi sfiduciato e il giorno dopo ri-fiduciato Monti. L’azione di Grillo e Casaleggio niente potrà contro il grande blocco europeista traversale. Pertanto, il prossimo voto politico consegnerà conclusivamente il Paese ai suoi nuovi padroni esterni appoggiati dai loro servitori interni, i quali manterranno, servendoli, i loro privilegi di casta. Seguirà un lungo tempo di miseria e sfruttamento senza speranza: la “fine della storia”, per la repubblica italiana. Arriva la fine della storia d’Italia. L’Italia verrà “integrata” nel sistema industriale a guida germanica, e nel Belpaese si faranno le lavorazione a basso costo di mano d’opera, a basso valore aggiunto, a bassa tecnologia (escluse poche nicchie), ad alto inquinamento. Il margine di profitto sarà trattenuto oltralpe. Gli italiani saranno lasciati nel debito, a lavorare con bassi salari e pensioni da fame e servizi da terzo mondo, per pagare gli interessi e sostenere il generoso sistema pensionistico nordeuropeo, l’enorme debito implicito nordeuropeo, il credito pubblico alle imprese tedesche. Però saranno orgogliosi di essere accettati dai fratelli europei più virtuosi, finalmente, e potranno dirsi “integrati”, e celebrare i padri dell’Integrazione, nelle persone di Monti, Draghi, Napolitano. I quali non meritano alcun biasimo, perché non vi è scelta, nella realtà: l’Italia deve finire così: necesse est, fata nolentes trahunt, volentes ducunt. I sistemi-paese non vitali vengono smantellati e presi a pezzi dai sistemi-paesi più validi, così come le aziende non vitali vengono smembrate e rilevate dalle concorrenti più vitali, che prendono il buono e lasciano i debiti nella Bad Company. La repubblica italiana ora è una Bad Country.
Questo è un destino inevitabile per un paese mai esistito prima, assemblato 150 anni fa da un disegno di quegli stessi poteri stranieri, un paese fatto di culture e popoli diversi, uniti a forza, senza storia comune, senza cultura di autogoverno – tranne la repubblica di Venezia -, senza senso nazionale, senza fiducia sociale e istituzionale, senza capacità di innovazione e adeguamento all’evoluzione del mondo, bloccato e recessivo in tutto da vent’anni, quindi morto, con le migliori risorse di capitali, imprese e cervelli che in massa sono andate e vanno via, all’estero. Impoverito su tutti i piani e in tutti i settori, tranne che nella criminalità organizzata, e nell’abilità della casta e mantenere la poltrona e le prebende pur nella rovina che essa crea.
Questi sono tutti dati di fatto, oggettivamente certi. Il resto è chiacchiere e non si è tradotto in fatti, non ha mutato il trend, nonostante le molte promesse e i molti cambiamenti di maggioranze e di leggi elettorali: la riprova che il sistema-paese è finito.
Neanche eliminare fisicamente tutta la casta, quel milione e rotti di politici e alti burocrati, cambierebbe le cose, perché si tratta della mentalità e delle consuetudini della popolazione, del suo rapporto con qualsiasi potere, che è di complicità infedele, opportunismo amorale, particolarismo assoluto. Un paese così, cioè con una popolazione così, fallisce fatalmente come organismo dell’agone globale e può essere solo riforma(tta)to governato dall’esterno, previo take-over dei capitali stranieri. E dallo straniero, in effetti, tutte le sue componenti, tranne quella suddetta, cioè la Repubblica Veneta, sono sempre state governate, storicamente, salvi brevi periodi.
Ciò che sta compiendosi oggi era prevedibile già diversi anni fa: i meccanismi erano già all’opera, come descrissi in alcuni saggi, a cominciare dalla prima edizione di Euroschiavi, uscita nel 2005:
“Uscire dal Trattato di Maastricht è, a ben vedere, indispensabile per
esercitare una qualche libertà di scelta politica nella gestione del Paese.
Infatti, a causa dei vincoli imposti da quel trattato e dalla cessione della
sovranità monetaria alla BCE e dal fatto che quasi tutte le entrate se
ne vanno in spesa corrente e interessi sul debito pubblico, governo e
parlamento non hanno più strumenti di manovra in fatto di politica
economica, sociale, ecologica, etc.: non possono emettere la propria
moneta ma devono comprarla dalla BCE; non possono agire sul tasso
di sconto, perché questo è fissato dalla BCE; non possono svalutare,
perché il cambio è gestito dalla BCE e vincolato alle altre euro–valute;
non possono spendere a debito per i necessari investimenti produttivi
(ricerca, infrastrutture, istruzione), perché sono vincolati a contenere il
deficit di bilancio e a ridurre il debito pubblico. D’altra parte, non possono
aumentare le tasse, perché hanno già raschiato il fondo (a meno
di sacrificare con un’ulteriore grossa imposta patrimoniale qualche categoria
sociale come i proprietari immobiliari o gli agricoltori).
Privata della possibilità di scelta sul piano che conta, quello economico,
il presupposto di tutte le altre scelte perché senza denaro quasi niente
si può fare, la politica si riduce a diatribe su matrimoni omosessuali, pillole
del giorno dopo e sotto–lottizzazioni di una torta sempre più magra.
Intanto, la produzione cala, la povertà aumenta, i servizi sociali peggiorano,
la domanda e la produzione ristagnano, la competitività va a picco.
L’alternativa è tra continuare la policy avviata nel 1992, mandando in rovina
il Paese in modo che i suoi assets importanti vengano comperati tutti
dal capitale estero (ossia, da soldi virtuali creati gratis e dal nulla a opera
del sistema bancario privato), che poi si metterà al comando; oppure
uscire dall’Euro e recuperare la sovranità monetaria – togliendola ai suoi
illegittimi detentori, la BCE e la Banca d’Italia, e recuperando le vaste risorse
monetarie del signoraggio e bloccando il take–over delle industrie
nazionali da parte di competitori esteri. Il suddetto articolo del Times evidenzia
come tutti gli studi su modelli econometrici mostrano che l’Italia
avrebbe un forte e rapido beneficio dall’uscita dall’Euro.
~ €uroSchiavi e i segreti del Signoraggio ~
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Nel 2007, nell’introduzione alla seconda edizione di Euroschiavi, scrivevo:
“ la finanza internazionale ha preso atto che: 1) l’Italia, come sistema-paese, ha urgente bisogno di riformarsi e ammodernarsi per sopravvivere; 2) non può farlo dal proprio interno perché in Italia la produzione del consenso politico è basata proprio sulla protezione di privilegi e abusi disfunzionali, sicché qualsiasi maggioranza, per riformare, dovrebbe tagliare
il ramo su cui è seduta. Conseguentemente essa, ora, attraverso i suoi uomini posti nella stanza dei bottoni, sta procedendo al trasferimento del potere decisionale per l’Italia dall’interno del paese all’estero, in modo che possa essere riformato dall’estero, prescindendo dal consenso interno, soprattutto di quello della base.”
In Basta Italia, pubblicato nel marzo 2008, potete leggere:
“Se facciamo un bilancio consuntivo dell’unificazione d’Italia a circa
140 anni dal suo completamento, dobbiamo portare i libri nel Tribunale
della Storia per chiedere la dichiarazione di fallimento.Perché, secondo tutti i parametri, lo Stato “Italia” è un fallimento senza
prospettive.
È un fallimento in fatto di funzionalità e competitività internazionali
– continua a perdere posizioni, a impoverirsi.
È un fallimento come capacità di innovarsi e ammodernarsi, nonostante
ne abbia un bisogno estremo: è il più rigido tra i Paesi occidentali.
È un fallimento come produttività: è ultimo tra i Paesi occidentali.
È un fallimento di fatto di produzione: dal 1992 è divenuto l’ultimo
dei Paesi europei, con uno sviluppo di meno di metà della media.
È un fallimento come natalità: è ultimo tra i Paesi occidentali.
È un fallimento come pubblica amministrazione: è ultimo fra i Paesi
occidentali come efficacia e primo per costi.
È un fallimento come capacità di attrarre investimenti: è ultimo fra
i Paesi occidentali.
È un fallimento come lavoro: ha il tasso più alto di assenteismo, di
scioperi, di malattie, e ciò gonfia il costo del lavoro.
È un fallimento come capacità di attirare e trattenere il risparmio:
nel primo anno del Governo Prodi bis, 120 euromiliardi si sono rifugiati
in Svizzera.
È un fallimento in fatto di sviluppo economico: il suo prodotto interno
lordo, e ancora più il suo prodotto interno netto, marciano a tassi
frazionali rispetto alle economie forti.
È un fallimento in fatto di finanza pubblica: infatti, l’indebitamento
dello Stato è enorme, continua a crescere, e nessun governo lo ri-
~ Consuntivo dello stato “Italia” ~
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duce, mentre esso inghiotte sempre più risorse per il pagamento degli
interessi passivi.
È un fallimento in fatto di indipendenza – nel senso che ha sempre
più padroni stranieri, come meglio diremo, non tanto a Washington,
quanto a Francoforte, Londra, Parigi.
È un fallimento in quanto a capacità di ricerca scientifica e tecnologica:
è ultimo d’Europa, dopo la Grecia.
È un fallimento in fatto di pubblica istruzione: le scuole italiane sono
le meno efficaci nel preparare al lavoro.
È un fallimento come politica salariale: ha i salari più bassi dell’Unione
Europea e vorrebbe abbassarli ulteriormente per competere con
Paesi come la Cina nella manifattura a bassa tecnologia.
È un fallimento in quanto a debito pubblico e pressione fiscale – ovviamente
– che salgono in parallelo, alimentandosi a vicenda, come
qualcuno inizia a capire.
È un fallimento in fatto di integrazione economica, in quanto aumenta
il divario tra regioni sviluppate e regioni non sviluppate, regioni
che mantengono e regioni che sono mantenute.
È un fallimento in quanto a welfare, perché il governo ha organizzato
il fallimento del sistema pensionistico nel giro di pochi anni, così
che scoppino disordini sociali, che la sinistra cavalcherà per prendere
il potere e saccheggiare gli italiani con una nuova tassa patrimoniale.
È un fallimento in quanto alla giurisdizione, perché il sistema giudiziario
italiano è inefficiente e corrotto, alimenta la criminalità e allontana
gli investimenti stranieri, e viene costantemente condannato
dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
È un fallimento in quanto a infrastrutture, che sono state neglette,
anche come manutenzione, per decenni.
È un fallimento in quanto alla sanità: spesa fuori controllo e 6.000
morti l’anno per infezioni contratte in ospedale.
È un fallimento in quanto a ordine pubblico, dato che un terzo circa
del territorio resta in mano alla criminalità organizzata, e gli stessi
partiti politici riproducono i modelli di potere e consenso della mafia.
~ Basta con questa Italia! ~
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È un fallimento in quanto a rappresentatività e democrazia, dato
che la classe dirigente palesemente non rappresenta gli interessi della
collettività, ma quelli propri e corporativi, così come fanno i capi politici,
sindacali e i parlamentari.
È un fallimento in quanto a legalità e legittimità, perché la corruzione
e la deviazione dei poteri sono ambientali e strutturali e su di esse si
poggia il potere costituito anche per produrre il consenso dal basso.
È un fallimento in quanto a difesa idrogeologica, dato che non è in
grado di eseguire una prevenzione che costerebbe una frazione di quanto
costa rimediare ai disastri idrogeologici dopo che sono avvenuti.
È un fallimento in quanto a capacità difensive militari, siccome non
ha forze armate efficienti e non fa i necessari aggiornamenti dei sistemi
d’arma.
È un fallimento in quanto a capacità decisionale, in quanto nessun
governo riesce ad eseguire riforme strategiche e tutto si blocca.
È un fallimento in quanto a rinnovo della classe dirigente: dalla politica
all’università, abbiamo la gente più vecchia del mondo.
È un fallimento in quanto alla capacità di organizzarsi, in quanto la fiducia
e il rispetto verso le regole organizzative sono pressoché inesistenti.
È un fallimento senza speranza, perchè non c’è una classe politica
all’altezza del ruolo, dotata di competenze che vadano oltre il galleggiare
e il saccheggiare. Mancano gli uomini capaci. Non c’è nessuno
che possa portare il Paese fuori dalla rovina.
È un fallimento complessivo e definitivo, in quanto tutte queste cose
si sanno ma a nessuna di esse si è rimediato o iniziato a rimediare,
nemmeno con la “Seconda Repubblica”, nemmeno con l’“alternanza”.
Si è peggiorato, invece, in modo pilotato e voluto, per poter preparare
l’opinione pubblica alla privatizzazione di tutte le funzioni pubbliche,
a vantaggio di monopolisti privati che le rilevano in società con
politici, sindacalisti e pubblici amministratori, e le gestiscono in regime
monopolistico con sovrapprezzi monopolistici, quindi nessun incentivo
all’efficienza e massima possibilità di sfruttare il cittadino.
Pensate alle tariffe per i rifiuti, ai pedaggi per le autostrade.
~ Consuntivo dello stato “Italia” ~
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Ricercatori, scienziati, manager, imprenditori, professionisti, se ne sono
già andati o se ne stanno andando.
Restano i meno capaci, restano i sentimentalisti irrazionali che stupidamente
associano l’idea dell’emigrazione alla povertà e al fallimento
– e si dimenano o sguazzano in questo sistema, come pesci in
una pozzanghera economica che si sta prosciugando al sole della globalizzazione,
mentre oltre confine abbonda l’acqua fresca e profonda.
Un organismo che non riesce a reagire a processi degenerativi interni, è
un organismo morente.
L’Italia non ha capacità di reazione organiche, d’insieme. È come
un vasto corpo in fin di vita e ampiamente necrotizzato, in cui bande
di larve carnarie riescono ancora a ingrassarsi. Nel senso che alcuni
gruppi, alcune cordate di potere, riescono ad assicurarsi fette di potere
e sacchi di soldi attraverso la conquista di posizioni di rendita monopolistica
e attraverso il saccheggio fiscale dei risparmiatori e dei
produttori di ricchezza che ancora non se ne sono andati. In ciò, sostanzialmente,
consiste l’attività dei partiti politici italiani. Altroché alternanza!
Questi sono gli elementi, in base ai quali dobbiamo valutare le prospettive
dell’Italia, e decidere se sia meglio restare o emigrare.
È questo il Paese a cui volete affidare il vostro futuro, il vostro lavoro,
i vostri investimenti?
E i vostri figli, li affidate a questo Paese? Se li amate, come potete
farlo? E come potete farli, se non ne avete ancora? Farli nascere sotto
un debito di 25.000 Euro a testa, in peggioramento? Tenerli qua quando
potreste portarli in salvo?”
Poiché non è possibile una maggioranza politica senza il voto delle
categorie parassite, non è possibile risolvere il problema della spesa
pubblica e dell’inefficienza della pubblica amministrazione. Quindi
l’Italia sarebbe destinata alla rovina.
Invece, l’Italia non è destinata alla rovina, perché il problema della
spesa pubblica e dell’inefficienza del sistema-paese si può risolvere –
si può risolvere dall’esterno dell’Italia. Ossia, trasferendo i centri di
potere monetari, finanziari, economici, quindi politici, a potentati
stranieri, che imporranno le antipopolari e antiparassitarie riforme
dall’esterno dell’Italia, perciò senza bisogno di basarsi sul consenso
elettorale degli italiani. Certo, faranno riforme nell’interesse loro proprio,
non degli italiani.
Quindi l’Italia non è destinata alla rovina, ma al colonialismo. Allo
sfruttamento coloniale. Dall’assassinio di Enrico Mattei, passando per
quello dell’avv. Ambrosoli, i politicanti italiani si sono mossi, col sostegno
finanziario e – credo – anche sotto minaccia dei potentati stranieri, in questa
direzione: svendere banche, industrie, mercati etc. a potentati stranieri.
Bettino Craxi cercò di opporsi, a modo suo – appoggiandosi a meccanismi
clientelari nazionali. Il suo tentativo di opposizione fu liquidato attraverso
una gigantesca operazione giudiziaria, nota come Mani Pulite,
che eliminò tutti i partiti popolari italiani (DC e PSI in testa), aprendo la
via a una dilagante campagna di colonizzazione dell’Italia da parte della
finanza straniera e sovranazionale, soprattutto con Dini, Ciampi, Prodi –
campagna culminata con Maastricht, la BCE, l’Euro, lo smantellamento
dell’industria chimica, dell’industria cantieristica, dell’industria elettronica
nazionali in favore di quelle estere, la scellerata svendita alla concorrenza
straniera della Nuova Pignone – azienda leader mondiale e in forte
attivo: un misfatto economico senza precedenti. Con la cessione della sovranità
monetaria alla BCE. E della proprietà della Banca d’Italia ai finan-
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zieri privati, anche stranieri. E dei principali mercati, come la grande distribuzione
e l’automobile, a concorrenti stranieri. In sostanza, con la cessione
di ogni autonomia e la totale sottoposizione alla dipendenza da centri
di poteri privati stranieri.
I soggetti che stanno attuando tale programma, per attuarlo più
agevolmente e per meglio mimetizzare i propri scopi effettivi, hanno
assunto i colori politici della sinistra e si sono dati una vernice di socialità
o socialismo. In Italia non vi è una vera sinistra, se non di frangia,
né un vero centrosinistra. Vi sono operatori politico-economici
che si fingono di sinistra, che hanno assunto simboli e ideologie della
sinistra, che compiono isolati atti politici che paiono di sinistra in
quanto colpiscono i ceti medi. Ma non sono affatto di sinistra. L’abito
non fa il monaco. La loro vera natura è palesata dai frutti della loro politica
– declino, privatizzazione e colonizzazione – e da chi li raccoglie
– finanzieri e grandi capitalisti, soprattutto stranieri.
~ Basta con questa Italia! ~
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14.12.12 Marco Della Luna