NON E’ TEMPO DI RESURREZIONE

NON E’ TEMPO DI RESURREZIONE

A che tipo di opera è propizia l’epoca che stiamo vivendo? Alla rigenerazione della civiltà, alla risurrezione dei valori, alla rifondazione politica del bene comune?

E’ su questa possibile rifondazione politico-sociale che ruota l’attuale dibattito delle promesse al pubblico. Ma non è possibile che si realizzi un sistema politico che si interessi primariamente del bene della società nel suo complesso anziché dell’élite dominante. E non è mai avvenuto. Vediamone sommariamente le ragioni.

Nel mondo reale, la democrazia in generale non funziona perché le persone sono troppo diverse tra di loro per tipo di coscienza e perché le cose su cui decidere sono troppo complicate e si collocano in uno scenario troppo articolato per la comprensione di chi non sia specialista. E la quasi totalità della popolazione è priva di una formazione anche lontanamente idonea, priva della voglia e della capacità di studio e comprensione. Non decide razionalmente e competentemente, ma di pancia, non ha memoria storica, non ha coerenza nel tempo, fondamentalmente vuole essere illuso, rassicurato, lusingato.

In particolare la democrazia diretta non funziona perché il governare non consiste in poche semplici scelte tra sì e no, tra loro isolate, bensì in un continuum di scelte entro una strategia che tenga conto dello scenario, scelte concatenate l’una con l’altra in un modo sensato. Inoltre, lo scegliere fra un si e un no è divisivo,suscita contrapposizione: una volta fatto il referendum e scelto il sì o il no, alla parte sconfitta della popolazione non resta che rassegnarsi oppure sabotare l’esecuzione dell’esito della votazione. Come si vede nel caso Brexit, lo scegliere tra due opzioni spesso non è sufficiente per eseguire quella opzione che vincerà. Dopo il sì o il no, occorrono ulteriori scelte e accordi con soggetti stranieri e la democrazia diretta non può applicarsi ai negoziati internazionali, e nemmeno quella parlamentare, a dire il vero. Inoltre, l’attività internazionale richiede negoziati segreti, trattati segreti, diplomazia segreta, preparativi segreti sia in ambito monetario che in ambito bellico, e la segretezza non è conciliabile con la democrazia diretta, nella quale tutte le opzioni e tutti i fattori dovrebbero poter stare sul tavolo in vista a tutti gli elettori.

La democrazia indiretta rappresentativa,  invece, non funziona perché gli eletti non rappresentano di fatto gli elettori ma costituiscono e consolidano nel tempo una classe interpartitica separata da essi, che fa i propri interessi. Si chiama partitocrazia, consociativismo, eccetera. Non può funzionare perché la rappresentanza effettiva del popolo richiederebbe una legge elettorale proporzionale, la quale però rende praticamente impossibile la stabilità e coerenza dell’azione di governo, e una adeguata velocità decisionale. Ancora: il membro  una classe politica eletta tende ad agire in un’ottica di pochi anni, quelli del mandato in corso e del successivo se va bene – essenzialmente, tende ad essere rieletto  in quella carica o in qualche altra carica, sicché  agisce per il proprio interesse particolare e  in un’ottica miope, irresponsabile. E ciò è incompatibile col bene comune, che richiede un’ottica  di lungo termine.

In conclusione, di fatto il potere politico economico e tecnologico nonché conoscitivo si concentra sempre nelle mani di pochi, i quali lo usano innanzitutto nell’interesse proprio, mentre vedono e trattano il resto della popolazione come un loro strumento di potere e arricchimento; e la gestiscono in modo manipolativo e coercitivo. Insomma,  non esiste la possibilità di realizzare un ordinamento socio politico che miri veramente all’interesse di tutti anziché all’interesse dei pochi che comandano. L’idea democratica si palesa un ritrovato delle oligarchie per deresponsabilizzarsi rispetto al loro esercizio del potere, col trasferirne simulatamente la responsabilità ai suoi soggetti passivi, ai governati, attraverso il pretesto della volontà popolare che si concreterebbe nel voto.

Meglio quindi non lasciarsi coinvolgere dai sogni di cambiamento, democratizzazione e di governo per il bene comune. Sono illusioni che per un verso sprecano tempo e forze, e per l’altro verso spesso portano ad esiti nefasti. E diremo il perché, prima di passare a definire che obiettivi sia consono perseguire in questa specifica epoca.

Da un lato è ovvio che la lotta di classe del popolo oppresso e governato contro gli oppressori non può sortire un effetto di giustizia sociale, non può cambiare qualitativamente il sistema. Dall’altro lato, le classi dominate hanno beneficio nel restare nell’ignoranza e nell’illusione, inconsapevoli della intrinseca e ineliminabile ingiustizia del sistema, illudendosi che esso sia giusto e morale, vuoi perché espressione della volontà divina, vuoi perché prodotto di una apparente democrazia che lo legittima attraverso una supposta volontà popolare, vuoi ancora perché imposto dalle leggi di mercato, da necessità oggettive sulle quali non si può non concordare altrimenti si è classificati come pazzi o estremisti. Da qui la imposizione di un pensiero unico e di un’unica concezione della realtà, naturalmente falsa, nella quale l’attività politica non è inevitabilmente basata su inganno, ricatto, tradimento, corruzione, abuso, delitto, e sulla dabbenaggine delle masse, come invece Niccolò Machiavelli ha per primo descritto.

I sistemi migliori per assicurare una tale conciliante illusione sono quelli religiosi che comprendono tutto l’insieme della vita, cioè quelli che danno una giustificazione e/o una mascheratura a tutto ciò che può creare disagio e inquietudine: l’ingiustizia socio-economica, l’angoscia della morte, il problema del senso della vita, dell’origine delle cose, del bene e del male… Essi producono anche un’autoregolazione comportamentale interiorizzata della popolazione. Funzionano bene finché non vengono messi in crisi dalla critica razionale scientifica, o dall’arrivo di sistemi diversi che li relativizzano, come avviene nel multiculturalismo, il quale infatti li mette in crisi di efficacia, con conseguente dilagare di anomia, insicurezze, devianze.

Una delle cose che hanno arrecato ai popoli le più grandi sofferenze, è l’idea illuminista che l’organismo sociale si possa correggere, riformare e migliorare come si fa con le macchine, e che questo organismo e lo stesso essere umano siano sostanzialmente macchine. Se io, studiando un orologio, scopro come farlo funzionare meglio, posso aprirlo e modificarlo. Con le singole persone e ancor più con la società, ciò non si può fare, perché esse hanno un inerzia sistemico-funzionale che lo impedisce. Innanzitutto sono enormemente più complesse di qualsiasi orologio, sì che se spingi in un senso l’effetto finale può essere che vanno nel senso opposto (così, se imponi un blocco dei prezzi, facilmente produrrai il nascere di un mercato nero con prezzi moltiplicati; e se perseguiti un’idea oppure una religione, facilmente otterrai di renderla più attraente e popolare). In secondo luogo, le persone e le società sono vive, e se intervieni di forza sul loro funzionamento rischi di ucciderle, di spegnerne la voglia di produrre e riprodursi, ossia rischi di far morire la persona oppure di precipitare la società nel caos, nel disastro economico.

Gli illuministi e i massoni di ieri e di oggi insistono proprio nel fare questo, ossia nello sforzarsi di imporre al corpo sociale una nuova fisiologia, un nuovo modello di funzionamento, una riforma calata dall’alto: l’uomo nuovo, la società nuova, razionali e giusti. I risultati sono sempre stati sofferenza, disordine, impoverimento, guerre, soprattutto per le masse che di volta in volta hanno creduto nelle grandi riforme e hanno combattuto per esse.  Karl Marx, il più intelligente tra i teorizzatori rivoluzionari, aveva invero preconizzato una rivoluzione spontanea, non imposta con la forza ma destinata a scaturire dai fatti, che avrebbe portato al nuovo ordine socialista.

Per superare le suddette difficoltà, i rivoluzionari e i grandi riformatori tutt’ora ricorrono ad alcuni strumenti quali il totalitarismo culturale,  l’imposizione di pensieri unici, la censura, la distruzione delle reti sociali e civili esistenti nonché delle identità storicamente formatesi e delle tradizioni che possono opporsi o intralciare la divisata riforma; perciò essi sovente separano, deportano sterminano o distruggono le strutture intermedie:  vedi Stalin, Bokassa, Amin Dada, Ceausescu. Così oggi abbiamo da un lato il pensiero unico politically correct, e dall’altra il mescolamento culturale ed etnico forzato assieme alla graduale abolizione dei confini e degli stati nazionali.

Inoltre, questi grandi riformatori si ritrovano regolarmente a fronteggiare un problema: i loro modelli perfetti non producono i meravigliosi effetti promessi, ma fanno danni. Per gestire questo problema, non potendo ammettere che il modello è sbagliato, reagiscono in due modi tipici:

a)spiegano che il modello non produce gli effetti promessi perché non è stato attuato abbastanza intensamente e radicalmente: se lo stalinismo non funziona ancora, è perché ci vuole più stalinismo, e se l’europeismo (l’euro, l’austerità, il mercato) non sta dando i risultati promessi e sta anzi producendo danni, ciò avviene perché ci vuole più europeismo (più euro, più austerità, più mercato) e più repressione delle voci critiche (fake news);

b)danno la colpa dell’insuccesso a un nemico interno, cioè inventano capri espiatori: i controrivoluzionari, gli eretici,  gli infiltrati, i revisionisti, gli ebrei, gli euroscettici, i sovranisti, i populisti, i complottisti, e naturalmente i fascisti in assenza di fascismo.

L’innovazione tecnologica e commerciale impone una incessante trasformazione dei modi di vivere e delle capacità lavorative della gente, anche dei lavoratori non più giovani, congiunta agli effetti dell’immigrazione di massa: una trasformazione sempre più veloce, non assimilabile quindi dalle persone e dalle comunità; e ciò determina tensioni e lacerazioni costanti, un vivere in forzatura, l’annientamento dell’autoregolamentazione morale della società. È tutto un vivere in emergenza e sulla corda soprattutto del debito, del mercato, del rating.  Anche il 3% come limite del deficit, privo di una base scientifica, fa parte di questo sistema di crisi cronicizzata, mantenuta come strumento di governo, di riforma costante e coatta, di logoramento della capacità di resistenza e reazione del popolo. Sempre più incompatibile con i bisogni e i limiti fisiologici dell’uomo, il rispetto dei quali dovrebbe essere il  primo tra i Diritti dell’Uomo ad essere riconosciuto, mentre neppure viene menzionato,

Dalla società solida si è passati a quella liquida e ora a quella gassosa. Ma l’uomo è un essere sociale, ossia il singolo ha bisogno di stare in rete valoriale e relazionale interattiva stabile, affidabile, anche per crescere, svilupparsi e vivere. Per avere scambi emotivi senza dei quali va incontro a degenerazione patologica. Questa evoluzione forzata che è in corso, propulsa dalle domande del capitalismo finanziario e dalle esigenze di gestire le destabilizzazioni che esso produce, sta quindi distruggendo le basi, i presupposti della formazione e dell’esistenza stessa delle persone, senza dare alcuno sbocco positivo o propositivo.

Se oggi la tecnica mette a disposizione strumenti di manipolazione estrema sulla popolazione, quali la manipolazione  genetica e il sabotaggio biologico della popolazione scomoda, usare quegli diviene prassi. Gli oligarchi sfruttatori-oppressori-manipolatori odierni, alfieri dei diritti dell’Uomo, ai fini del rispetto reale dell’Uomo e del bene comune, non sono diversi da quelli del passato, nazisti o stalinisti. E non sono giudicabili secondo categorie morali, perché queste sono applicabili solo entro modelli astratti dalla realtà, non alla reale competizione per il potere e la ricchezza.

A che tipo di opera è propizia questa nostra buia epoca, senza luce visibile in fondo al tunnel? Questa è la domanda fondamentale per la prassi. Viviamo una fase storica chiaramente,  essenzialmente e inesorabilmente di distruzione, dissoluzione– tanto nel pubblico quanto nel privato: parlando in simboli, è il tempo del dio Shiva, tempo di pralaya, di putredo, di fimbulvetr, quindi di rinuncia, di distacco. Non tempo di fondare, non di costruire, non di lottare, non di conquistare, non di ritracciare il solco di Romolo. In una tale fase, è irrazionale nonché contro natura mettersi a progettare e a lottare per conservare o restaurare. Chi lo fa, è come uno che semini sotto il sole di luglio o che si sforzi di cantare gregoriano su un karaoke rap a duecento decibel.

E’ invece razionale approfittare del carattere e del dinamismo dissolvente di questa nostra epoca per liberarsi in modo attivo e consapevole da ogni attaccamento al mondo e alle sue lusinghe,  dalle identificazioni illusorie con la pseudo realtà, sia esterna che interna. E’ una fase in cui, captando consciamente la forza negativa operante,  abbiamo l’opportunità di liberarci in senso radicale, ossia non semplicemente da restrizioni ed oppressioni pratiche e circoscritte, ma dagli attaccamenti tutti e dall’illusione come tale, quella che ho descritto nell’articolo La relativa inevitabilità del male (già pubblicato da Perennitas, n.1).

Pasqua 2019         Marco Della Luna

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