ISRAELE IN PALESTINA: JUS POTIORIS
ISRAELE IN PALESTINA: LO JUS POTIORIS
Gli ebrei israeliani si attaccano alla Terra promessa come a una carta moschicida, nel senso che si condannano a stare per sempre sotto il tiro di un nemico arabo circostante, che essi non possono debellare. Similmente, i palestinesi si attaccano alla striscia moschicida di Gaza, mentre la lotta arabo palestinese contro lo stato israeliano non ha alcuna speranza, dato che quasi tutte le posizioni di potere negli Stati Uniti e nel sistema bancario occidentale sono detenute da sionisti, perciò Israele è invincibile, a meno che gli stessi Stati Uniti siano piegati e il sistema bancario salti, cosa fino a ieri impensabile, e ancora oggi poco più che pensabile.
Secondo l’ortodossia israelitica, per ritornare in Palestina gli israeliti dovevano aspettare l’avvento del loro Messia. Molti non hanno aspettato, e hanno già avuto settantacinque anni di guai. Vivono come in un campo militare sotto costante assedio. Non è una bella vita. L’assetto della Palestina è una perfetta macchina per produrre guerre una dopo l’altra: gli ebrei di Israele assediati dagli arabi musulmani tutto intorno, e i palestinesi di Gaza assediati dagli ebrei di Israele: tutti sono sotto pressione e vivono male e nell’insicurezza, e ciò fomenta continuamente odio e alimenta gli opposti miti religiosi. La Terra Santa si è fatta campo di scontro tra contrapposti fanatismi, o più clinicamente tra contrapporti autismi, militanti e armati. Un tale meccanismo è così perfetto, che pare esser stato congegnato deliberatamente per produrre guerre e tensioni.
Dal 7 Ottobre Israele continua a bombardare Gaza uccidendo anche migliaia di bambini, nel verosimile calcolo di provocare una reazione iraniana che giustifichi una guerra dell’Occidente contro l’Iran, ma gli iraniani non sono stupidi e sono protetti dalla Cina che compera da loro più petrolio che dalla Arabia Saudita. Le bombe israeliane non raggiungono Hamas nelle sue basi sotterranee, mentre rafforzano la causa palestinese nel mondo e la divisione politica nella società israeliana. L’IDS a Gaza deve combattere una guerra sotterranea. I media israeliani, iniziando dal popolare Ha Aretz, ascrivono a Netanyahu e al suo governo precise responsabilità per aver provocato i recenti attacchi di Hamas con i loro frequenti attacchi, poco discriminanti, a Gaza.
Così agendo, ormai Israele sta perdendo simpatie, sta esaurendo i suoi crediti olocaustici, tanto che persino i nostri giornalisti superconvenzionali lo criticano, e solo i burattini dei sionisti americani proclamano ancora sostegno incondizionato al governo Netanyahu e alla sua politica perdente e disperata.
Eppure lo Stato ebraico, al punto in cui si trova (ossia dopo essersi costituito sloggiando con la guerra e senza alcun diritto i palestinesi, e dopo 75 anni di conflitti armati con tutti i vicini), se vuole difendere la propria esistenza nella sua attuale sede territoriale, può fare solo ciò che sta facendo, a oltranza: schiacciare Gaza, tenere a bada i paesi arabi ostili con le armi nucleari proprie e statunitensi, senza mai cedere territorio ai fini di un compromesso, sia perché i compromessi nessuno li ha mai voluti, sia perché il suo territorio è tanto piccolo, che non può cederne nemmeno un lembo, nemmeno quello prescritto dall’ONU, senza compromettere la sua difendibilità militare. Certo, questa strategia difensiva è solo un tirare innanzi finché si può, combattendo ogni tanto una nuova guerra con nuove migliaia di morti, finché gli USA saranno in grado di dare copertura, o finché l’indignata opinione pubblica mondiale non imporrà la cessazione di tale copertura, e finché la stessa popolazione israelita non si spacchi. Non è una grande prospettiva, soprattutto con l’allungarsi della portata dei missili iraniani, che ora sono anche ipersonici. Se io potessi consigliare gli ebrei israeliani, li inviterei ad approfittare della residua forza e simpatia di cui godono, per comperare da qualche Stato sudamericano fallito la sovranità su un idoneo pezzo del suo territorio, e trasferirvi lo Stato ebraico, piuttosto che continuare nell’attuale infelice e cruenta maniera, essendo chiaro che un assetto stabile e pacifico non è realizzabile senza separare geograficamente gli israeliani dagli arabi, e che dei famosi due stati non ha senso nemmeno parlare.
Disonesto, soprattutto da parte dei governi, è dar da credere all’opinione pubblica che si possa porre fine al conflitto in Palestina mediante negoziati, non solo perché quel conflitto è redditizio per i poteri forti, ma anche perché avviene tra due popoli che si contendono il medesimo territorio con reciproche atrocità durate oramai decenni, si negano reciprocamente il diritto all’esistenza in forma di Stato, si ispirano a due religioni e a due sacre Scritture che incitano l’una a sottomettere o sopprimere gli infedeli in nome di Dio, l’altra a conquistare la Terra promessa sempre in nome di Dio, scacciando o annientando gli altri popoli, come già fatto in passato, almeno secondo la Scrittura stessa. Quindi odio inveterato a tutti i livelli.
L’odio di un popolo per un altro popolo non è la causa delle guerre, bensì lo strumento che chi può attiva e coltiva per indurre i popoli a scannarsi tra loro facendosi guerra, mentre dietro di esso nasconde i propri profitti privati, incolpando l’emotività della massa del massacro delle masse. E così hanno sbattuto la testa del gallo coranico contro la testa del gallo talmudico, poi viceversa; li hanno aizzati a puntino e ora il combattimento è assicurato: già si saltano l’un l’altro alla gola. La furia omicida del governo Netanyahu sta alienando da Israele molta simpatia occidentali e persino quella della televisione italiana, proprio perché nella sua cecità, indiscriminatezza, ferocia, finisce per equivalere nell’immagine a quella del terrorismo islamico. Dall’altro lato, con molti inneggiamenti al jihad e con diverse uccisioni e ferimenti di persone che niente c’entravano, alcuni islamici residenti in Europa hanno iniziato a vendicare le vittime palestinesi dei raid di Netanyahu. Magari oggi o domani ci provano anche con me e con te, dato che la loro convinzione religiosa dice che il musulmano che non può partecipare al jihad principale per distanza geografica, deve ingaggiarlo dove si trova colpendo gli infedeli intorno a lui. A noi paiono idee e azioni assurde, ma nella loro mentalità evidentemente non lo sono e hanno anzi un alto valore morale e religioso. Numerosi islamici residenti tra di noi appoggiano Hamas e il suo terrorismo, quando non lo imitano anche.
Sono queste, le cose che hanno fatto simpatizzare molti occidentali per Israele, nonostante tutto. Non ragioni giuridiche. La paura per popoli con quella mentalità religiosa militante, con quei metodi di lotta, con quella prolificità. Il desiderio di tenerli ben lontani. E non raccontiamoci frottole e non illudiamoci: molti attentatori islamici non sono terroristi infiltrati tra noi, bensì soggetti che prima magari entrano legalmente, si inseriscono socialmente, poi in loro scatta il fattore fanatismo religioso, quando già non sono entrati da fanatici, e uccidono. Molti fanatici sono malati mentali. E quella religione prescrive espressamente la violenza per l’espansione del dominio di Allah. E voi, preferite essere islamofobi o islamorti? Meglio insomma non prendere parti e non simpatizzare con alcuno dei due contendenti. La vittima di prima può diventare il carnefice di dopo. Magari a casa tua.
Quando si parla di diritto dello Stato israeliano all’esistenza e alla difesa, si dà per scontato, o meglio non si problematizza, il necessario presupposto giuridico di tale diritto, ossia che, nel 1947-1948, i coloni ebrei avessero il diritto di costituirlo prendendo la terra dei popoli indigeni mediante la violenza. Ma non l’avevano. Sul piano del diritto, è questo il problema di fondo, di cui i mass media non vogliono fare menzione. Non l’avevano perché non glielo poteva dare l’Impero Britannico, che aveva solo un mandato internazionale su quei territori, non una sovranità. Certo, si può affermare che Israele abbia acquisito quei territori per diritto di conquista. Il diritto di conquista è riconosciuto dal diritto internazionale. Ma esiste anche il diritto di riconquista da parte dei popoli allora sloggiati con la forza delle armi, e che mai hanno accettato quella conquista. Il loro diritto non viene meno per effetto del riconoscimento internazionale di Israele. Altrettanto indifendibile, sul piano del diritto, è il perdurare dell’occupazione dei territori che Israele doveva sgombrare per disposto della risoluzione dell’ONU del 1967.
In conclusione, noi possiamo dire che, se riconosciamo e sosteniamo il diritto di Israele ad esistere e a difendersi, non lo facciamo per una ragione di diritto, ma perché umanamente preferiamo gli ebrei ai palestinesi, agli arabi e agli islamici in generale (di cui anzi abbiamo paura). Perché sono più civili, colti, raffinati, intelligenti, efficienti, profumati. Più europei, più simili a noi (anche se magari ci sentono un poco inferiori a loro). Jus potioris.
In effetti, se nel tuo quartiere si insedia una comunità ebraica, il valore della tua casa sale, mentre cala se si insediano arabi o africani. Il mercato detta legge. Preferisce i bianchi.
Si credono furbi, gli ebrei israeliani, ma… Dopo la 2a GM, ebrei di tutto il mondo si precipitarono con ingenuo entusiasmo in Palestina, vincendo l’opposizione britannica, e senza considerare che chi li attirava là li attirava, con miti e promesse, a costruire la loro “casa nazionale” in una trappola, su terreno minato e tutto circondato da nemici molto più numerosi di loro e molto più prolifici. Minato appunto perché andavano a conquistare con la forza la terra dei Palestinesi, fratelli in religione dei popoli circonvicini. E chi poteva aver concepito un piano tanto diabolico? Ebbene, se il ricco movimento sionista, guidato da grandi banchieri come i Rothschild, avesse voluto fare le cose per bene, pacificamente, consensualmente, avrebbe prima trattato con i Palestinesi e negoziato l’acquisto della sovranità su un territorio, trattando con loro rappresentanti riconosciuti e democraticamente eletti. Invece usarono i soldi per finanziare e armare la conquista militare, assicurandosi così l’interminabile sequenza delle guerre israelo-palestinesi.
Credo che l’idea dello Stato ebraico in Palestina costituito in modo conflittuale con le popolazioni locali, sia una trovata della élite finanziaria ashkenazita statunitense per relegare gli ebrei non ricchi in un avamposto regionale di controllo sul petrolio locale, un avamposto molto scomodo e pericoloso, mentre essi se ne stavano e stanno sicuri e padroni in America. E’ in questa logica, che il ministro degli esteri britannico Arthur Balfour indirizzò a Lord Rothschild la sua famosa dichiarazione del 1917. Quella lettera era un acconto sul pagamento, da parte di Londra, dell’intervento USA nella prima Guerra Mondiale. Il movimento sionista aveva dapprima acquisito il controllo finanziario, quindi politico, degli Stati Uniti d’America attraverso la costituzione della Federal Reserve Bank Corporation (1913, anno della costituzione anche della Anti Defamation League); da lì, poscia, si rivolse alla conquista della Palestina, ma per farne un suo utile strumento di controllo strategico soprattutto sul petrolio, non per motivi morali o religiosi né per il bene di chi andava ad occuparla.
Se i sionisti, ossia gli ebrei fautori del ritorno immediato in Palestina, avessero accettato l’originaria proposta britannica di farsi uno stato in Sud America, allora, grazie alle loro superiori capacità, avrebbero rapidamente egemonizzato quel continente, entrando in conflitto con l’imperialismo USA su di esso e destabilizzando gli equilibri mondiali. Forse era questa la mira di Londra. Invece, la loro collocazione in Palestina, tra popoli e stati ostili e non egemonizzabili, costantemente in pressing, ha contenuto grandemente il loro potenziale e li ha resi dipendenti dall’oligarchia finanziaria USA, quindi suoi ligi collaboratori, anziché competitori. Se, per esempio, si vuole aumentare il profitto sui prodotti petroliferi e sulle armi, lo si può fare agendo da Israele, apertamente o mediante false flag, in modo da alzare la fiamma del conflitto regionale.
In quest’ottica, l’interpretazione “complottistica” dell’attuale conflitto appare sensata, oltre che in parte già confermata da alcune circostanze oggettive.
Sia Biden che Netanyahu avevano urgente bisogno di esso. Biden, visto l’insuccesso in Ucraina, perdeva sicuramente le elezioni; ma se grazie a questa crisi israelo-palestinese, ora riesce a combinare qualcosa di significativo, può ancora vincerle. In quanto a Netanyahu, aveva disperato bisogno di un conflitto esterno per compattare il Paese, che in maggioranza si rivoltava contro il suo governo e la sua riforma intesa a subordinare la Corte Suprema all’esecutivo, oltre a ritenerlo responsabile di numerosi, ingiusti attacchi a Gaza. E anche per tenere a bada, o magari far debellare, l’Iran, che si era dotato di missili capaci di colpire le città israeliane. E infine per sgombrare Gaza e prendersi i vasti giacimenti di gas scoperti al largo delle sue coste.
Sempre da parte dei complottisti, si fa notare che il governo israeliano non poteva non sapere dei 5000 razzi e dei commandos volanti in preparazione a Gaza, anche perché informato dalla CIA; che Netanyahu proibì gli interventi preventivi e poi di soccorrere i kibbutzim durante l’attacco di Hamas nonostante l’attacco sia durato circa due ore e ci fosse ampiamente il tempo di intervenire; che alcuni filmati di orrori islamici ai danni di inermi ebrei paiono fasulli; e che sembra che lo stesso esercito israeliano abbia tirato missili sui suoi cittadini per gonfiare il casus belli. Si contesta ovviamente altresì che non vi è proporzione tra le centinaia di morti fatti da Hamas e le migliaia di morti fatti da Israele. Più di 10 a 1, finora.
Tornando all’aspetto della legalità, la rappresentazione del conflitto Israelo-palestinese che ci viene data dai mass media è interamente falsa. Non si tratta di una guerra, perché le convenzioni di Ginevra definiscono la guerra come un conflitto armato tra due stati, e la Palestina o Hamas non sono stati. Quindi non si applicano le convenzioni di Ginevra. È pure falso che i palestinesi si distinguano in militari e civili, perché in realtà sono tutti civili abitanti di un territorio occupato. Per essere considerabili come militari, i combattenti dovrebbero portare l’uniforme e le armi apertamente, e non lo fanno. Anche per queste ragioni, non si può esigere che Israele distingua militari da civili. Nelle elezioni del 2006 i palestinesi hanno mandato al potere Hamas, quindi portano la responsabilità politica di ciò che Hamas fa. Dall’altra parte, Israele sta occupando o controllando Gaza illegittimamente, quindi la resistenza palestinese è legittima, finché non viene condotta con mezzi proibiti dallo statuto della Corte penale internazionale, cosa che Hamas fa e che però fa anche il governo israeliano.
Si proclama il diritto di Israele a difendere il proprio territorio – ma allora anche e prima bisogna proclamare il diritto dei palestinesi a difendere il proprio territorio, che i coloni ebrei gli hanno strappato quasi interamente con una serie di guerre, e che i palestinesi vogliono riprendersi, non avendo mai accettato la sconfitta.
Altra menzogna interessata è che, per essere solidali con il popolo ebraico, o addirittura per non essere antisemiti, dovremmo essere solidali col governo Netanyahu. Quel governo non rappresenta affatto il popolo ebraico, innanzitutto perché ha contro più di metà della popolazione di Israele, e in secondo luogo perché buona parte degli ebrei nel mondo disapprova la costituzione dello stato ebraico in Palestina. Infine, Netanyahu non fa gli interessi di Israele.
Un’altra solenne stupidaggine è l’affermazione del cancelliere Scholz, che, data la Shoah, la Germania avrebbe una eterna obbligazione di sostenere il governo israeliano. Semmai, la avrebbe verso il popolo ebraico, non verso un governo che rappresenta solo una parte di quel popolo. Ma gli odierni tedeschi ed ebrei niente hanno avuto a che fare con la Shoah, quindi non ha senso parlare di obbligazioni. E a suo tempo la Germania pagò un congruo risarcimento. L’obbligazione ad assistere il governo israeliano in ogni circostanza e impresa è stata imposta alla Germania non dall’etica, bensì dagli Stati Uniti col trattato di pace. Ma siccome non si può ammettere questa realtà, la si maschera con la narrazione moralistica e illogica sopra ricordata. Intanto però la Germania ha fatto nel 2011 una nuova Shoah contro i Greci e ora col MES si appresta a farla anche contro gli Italiani, a sostegno delle sue banche piene di titoli tossici USA. Ovvero: in cambio dell’incondizionata obbedienza a Washington, Berlino ha licenza di saccheggiare i paesi eurodeboli e così rimborsarsi. Anticipai questi nuovi olocausti in un mio articolo del 2010 intitolato: Berlino decide: Shoah per gli eurodeboli.(reperibile nel web digitandone il titolo).
In generale, incaponendoci a sovrapporre categorie morali e giuridiche, noi fraintendiamo la realtà, in cui, ben diversamente, la vittoria è la fonte della ragione, il diritto è la sua canonizzazione, e la morale la sua interiorizzazione. Fingere o aspirare a che così non sia, non è nemmeno una posizione etica, perché causa anzi equivoci e danni. Due infatti sono i modi di valutare i conflitti politici e internazionali: Il primo, proprio del pensiero comune, puerile, è quello della morale privata e del diritto civile, che ritiene innanzitutto importante giudicare e si ferma al giudicare, e giudica in termini appunto di morale privata e diritto civile, buono e cattivo, ragione e torto legali. Il secondo, proprio del pensiero oggettivo, adulto, non giudica, ma valuta in termini di rapporti di forze e di interessi, di fattibilità e di non fattibilità di questa o quella soluzione, e rimane non valutativo, secondo il principio weberiano del metodo sociologico. Il primo modo, giudicando e condannando, alimenta i conflitti. Il secondo può, alle volte, terminarli, prevenirli o lenirli.
01.11.2023 Marco Della Luna