CAPITALISMO ESTINTIVO
CAPITALISMO ESTINTIVO
Il recentemente scomparso filosofo Costanzo Preve affermava (e anch’io lo ho scritto) che il probabile fattore della rottura del presente sistema capitalistico-finanziario arriverà (prima o poi, ma inevitabilmente) in forma di reazione della stessa natura umana (adattabile, ma non infinitamente comprimibile) alle sempre più dure trasformazioni delle condizioni di vita che il detto sistema e i suoi mercati impongono. Trasformazioni che non apportano maggiori investimenti, migliori produzioni, né stabilità con piena e stabile occupazione, né un progresso e superiore civiltà, ma una individualistica lotta quotidiana per la sopravvivenza nella competizione a 360° e nella precarietà, in un eterno presente, amorale e destoricizzato, di crescenti diseguaglianze economiche e giuridiche – praticamente, all’homo homini lupus o al bellum omnium erga omnes di hobbesiana memoria, cioè a una condizione a-sociale, in cui tutto e tutti sono merce compravendibile (ora anche l’ovocita, con l’utero per la vendita di figli già fatti con caratteristiche a richiesta – prezzi fino a $ 140.000). L’unico diritto inviolabile è quello del capitale a realizzare profitto – vedi TTIP – e a tale diritto tutte le costituzioni devono adeguarsi. Tutto ciò che non è mercificabile è un’opportunità di profitto perduta, e chi resiste alla mercificazione è nemico, quindi estremista, pericolo pubblico: minaccia i Mercati. La globalizzazione e mercificazione senza limiti investono sia l’uomo che il territorio: nella loro logica, le persone, come le terre, sono sfruttate finché rendono, poi abbandonate e sostituite.
In fondo, il meccanismo del profitto, quindi del potere, si regge sulla sua capacità di creare e collocare, cioè smerciare, crescenti quantità (milioni di miliardi in controvalore) di “assets”, che sono simboli di ricchezza monetaria, privi di valore proprio, come se fossero ricchezza effettiva, e il cui ammontare è oramai decine di volte superiore, in termini di valore nominale, a quello dei beni reali esistenti. E’ una piramide rovesciata che deve continuare a crescere per non cadere. Quando scricchiola, cioè quando i mercati vacillano, la gente va in panico, perde risparmi e lavoro, così si creano le condizioni per dirle: “se volete uscire dalla crisi, dovete accettare riforme in favore dei mercati: tagli dei diritti dei lavoratori, dei risparmiatori, dei pensionati, dei malati, dei consumatori; aumento del potere della finanza.” La gente accetta o subisce le riforme, e in cambio i banchieri centrali iniettano denaro gratuito nelle banche, per tirar su i mercati, con poche briciole che ricadono nell’economia reale; allora i governi millantano che ci sia una ripresa dovuta alle loro illuminate riforme, e che si deve quindi continuare su questa strada.
Le suindicate trasformazioni sono la diretta, logica, inevitabile e constatabile applicazione del principio del capitalismo finanziario, di un mondo imperniato sul denaro e sulle transazioni contabili-elettroniche. Sono trasformazioni mal compatibili con gli equilibri ecologici e con i bisogni oggettivi dell’uomo, soprattutto in fatto di stabilità, di sicurezza, di programmabilità esistenziale, di ambiti di non-mercificazione, di non-competitività, di solidarietà. Per non parlare dei diritti politici e del primato della decisione politico-democratica sugl’interessi di breve termine propri del bilancio e dei mercati e della società di mercato. Quindi trasformazioni radicalmente peggiorative.
Preve ed io, nel fare l’anzidetta ottimistica previsione sulla reazione della natura umana a un sistema sbagliato, trascuravamo però un elemento fondamentale, proprio di questa stessa natura umana: il sistema capitalistico-finanziario domina incontrastato il genere umano non perché sia imposto dall’esterno, ma proprio perché esso, grazie alla sua capacità di creare dal nulla a costo zero e senza limiti i mezzi monetari (simboli di ricchezza reale, dotati di potere d’acquisto in quanto accettati o imposti per legge, ma non ricchezza reale), nonché di distribuirli, è il sistema che, più di ogni altro possibile sistema, è capace di attrarre e comperare consenso e collaborazione; altrimenti detto, che più di ogni altro è in grado di appagare l’avidità (acquisitività) degli uomini (e delle loro organizzazioni: aziende, partiti, chiese, istituzioni). Quindi appare il più democratico di tutti, ancorché sia essenzialmente oligarchico. E può bandire come illiberale, irrazionale ed estremistica qualsiasi posizione che lo contesti nelle fondamenta.
Ossia, questo sistema mette l’uomo in corto circuito con sè stesso e lo brucia, assieme al suo ecosistema, perché per un verso lo attacca e disgrega radicalmente, mentre per l’altro verso irresistibilmente lo seduce, compiacendolo specificamente in quel suo desiderio di ricchezza (appagabile mediante simboli monetari), che è quello che mette insieme e organizza stabilmente la quasi totalità degli uomini, spingendoli a ogni sacrificio (proprio e altrui!) per procurarsi il denaro, il quale è anche il mezzo principale con cui procurarsi altro denaro, cioè con cui le organizzazione lucrative ottengono successo e condizionano la società. In queste caratteristiche funzionali, l’avidità è diversa dagli altri desideri, come quello sessuale o di vendetta o di giustizia o di sapere o di salute. Il singolo, individualmente o in piccoli gruppi, può non essere dominato dalla logica del profitto, e può capire che la società finisce male se si lascia guidare da questa logica, ma è impossibile che la società nel suo complesso si sottragga a questa logica, perché è la logica degli scambi, della remunerazione, e di ogni grande organizzazione (infatti i tentativi di organizzare un’opposizione politica su grande scala si dissolvono tutti, appunto perché l’organizzare stabilmente e su vasta scala è guidato e sorretto dai valori di scambio). E, ogniqualvolta il mercato finanziario fallisce, la soluzione è che ci vuole più mercato e più finanziarizzazione.
Perciò è verosimile che il sistema capitalistico-finanziario prosegua nel trasformare l’uomo e la società, e si faccia sempre più penetrante nella vita, fino a distruggere l’umanità e il suo ecosistema con la collaborazione degli umani stessi – o meglio, che, magari sotto la scientifica guida di una piccola élite, il genere umano, facendo sempre più violenza a sé stesso per soddisfare sempre più la propria sete di guadagno, arrivi ad annientarsi o quasi, risolvendo con ciò il problema ecologico. E’ possibile che la specie umana faccia, insomma, col suo capitalismo finanziario globalizzante, la fine su scala globale che precedenti forme di capitalismo fecero fare agli indigeni nei territori coloniali da occupare e sfruttare: l’estinzione di massa. Eppure questo processo viene proprio dall’interno dell’uomo, dalla sua natura, cioè dall’avidità come costante empirica del volere-agire umano, da come questa ha strutturato i rapporti socio-economici. Le avidità dei singoli, le individuali ricerche della felicità, interagendo tra loro sul piano organizzativo della società, creano condizioni ambientali di vita degradanti e distruttive per gli stessi singoli su scala globale. Altroché vizi privati che si trasformano in pubblici benefici!
L’homo sapiens si sta comportando, col meccanismo finanziario che genera una quantità potenzialmente infinita di ricchezza monetaria, esattamente come il topo di laboratorio con gli elettrodi infissi direttamente nei centri cerebrali del piacere, il quale prende ad azionare freneticamente e incessantemente la leva che gli manda la scarica, trascurando di mangiare e di bere, finché non muore. Quel meccanismo dà non solo piacere, ma anche dipendenza, perché, quando rallenta, le borse e i ratings crollano e si profila la catastrofe: i mercati esigono che la leva sia azionata ancora più intensamente, sempre più intensamente… Pertanto è oggettivamente improbabile che il genere umano arrivi a fermare questo meccanismo, a interrompere il corto circuito che lo sta bruciando.
L’improbabilità che questo sistema, con le sue tendenze, venga cambiato da una forza alternativa, è rafforzata dal fatto che esso ha eliminato praticamente i principali possibili fattori di rivolgimento (la borghesia colta e ascendente, la ricerca scientifica indipendente dal capitale, i giovani dotati sentire sociale e capacità di lotta); e che, in aggiunta, attraverso la globalizzazione, la stretta interdipendenza dei vari paesi, la diffusa presenza di presidii militari statunitensi, nonché attraverso la dissoluzione degli stati parlamentari rappresentativi e indipendenti, esso ha fatto sì che, diversamente dal passato, nessun singolo paese possa decidere di cambiare rotta, ad esempio come fece la Francia con la sua rivoluzione repubblicana in un contesto mondiale monarchico. Ha fatto sì che non possa avvenire che un paese decida di uscire dal modello neoliberista del capitalismo finanziario e che realizzi un diverso modello socioeconomico (ad esempio, impostato sulla sovranità monetaria, sull’economia reale, sullo stato sociale, sulla protezione mediante i dazi, sulla proibizione dei derivati finanziari).
Se a far ciò prova un paese “avanzato”, viene facilmente boicottato dall’esterno e ricondotto alla ragione e ad accettare un premier banchiere; se prova un paese arretrato, gli viene imposta con le armi la “democrazia” di esportazione.
Però il rischio che una qualche nazione “avanzata” cerchi di ribellarsi, viene eliminato alla radice dal fatto stesso che le nuove generazioni, crescendo in un ambiente di precarietà, competizione e lotta per la sopravvivenza quotidiana, oltreché spesso senza uno stabile nucleo familiare, non stanno facendo quelle esperienze di comunitarietà, che sono la matrice del sentimento e della volontà morali. Quindi crescono perfettamente omologate a un mondo anomico e senza valori diversi da quelli di scambio e di godimento utilitario individuale. E già nel presente stadio di disgregazione della società, con la precarizzazione dei redditi e l’estromissione di ampie fasce di lavoratori, si è ottenuto che la gente sia presa dai problemi di sopravvivenza individuale a breve termine, e non si interessi più ai problemi e ai progetti collettivi di medio e lungo respiro, cioè alla politica (decaduta in Italia a scandalismo e tribalismo saccheggiatore), quindi di fatto si allinei al sistema vigente e alle riforme che esso esige.
Alcune brevi considerazioni aggiuntive:
1-Sì, il modello di sviluppo neoliberista e globalizzato porta effettivamente a un modo di vivere e di sentire con le caratteristiche sopra indicate, cioè a un mondo assolutamente indesiderabile e degradato, anche a prescindere dalle sue crisi recessive. Ossia non è razionalmente desiderabile. I propugnatori di questo modello, e soprattutto quei personaggi istituzionali che non avvertono la gente di ciò a cui esso porta, o sono poveri sciocchi, o sono opportunisti in mala fede.
2-Realizzando pessime condizioni di vita, esso spingerà l’uomo a ripensare dalle fondamenta sè stesso, i rapporti sociali e la realtà. Può spingere anche a una scelta di ritiro, di ascesi, di neomonachesimo, analogamente a come spinse al monachesimo il crollo delle condizioni materiali e morali di vita seguito alla caduta dell’impero romano. Può spingere molti a staccarsi dal sistema, ad andare off the grid, sviluppando autosufficienza, per sottrarsi al condizionamento sistemico e a una moltiplicazione di dipendenze che destruttura l’uomo e lo annega in un’immanente ansia da impotenza e precarietà, in una sensazione di essere in balìa di un sistema per lui incontrollabile e ostile.
3-Togliere stabilità, tutele e fette di salario ai lavoratori dipendenti sta avendo effetti nocivi sulla civiltà e sull’economia (perché ha colpito la domanda interna), ma era inevitabile non solo perché la globalizzazione e i vincoli di bilancio costringono a recuperare competitività tagliando i costi del lavoro, bensì anche perché le facoltà cognitive (attenzione, capacità e/o volontà di capire istruzioni scritte, etc.), l’impegno e la correttezza della gran parte dei lavoratori dipendenti erano grandemente decaduti per effetto di decenni di diritti senza doveri (anche nella scuola); non escludo che ciò sia stato programmato ed eseguito (con la collaborazione dei sindacalisti) proprio per poter arrivare a schiacciare i lavoratori dipendenti come classe sociale.
4-Parlando di avidità come costante della natura umana, non intendo ovviamente fare un’affermazione ontologica sulla natura umana, ma semplicemente e fattualmente affermare che la ricerca di guadagno è ciò in cui la gran parte delle persone dedica la gran parte delle sue energie e capacità.
5-Poiché qualche lettore ha frainteso, ribadisco che il capitalismo finanziario è incentrato sulla creazione (tendenzialmente infinita, realizzata con metodi contabili-elettronici, sganciata da valori reali) e distribuzione di mezzi monetari, cioè di simboli di ricchezza, non di ricchezza reale (beni e servizi); mentre, molto diversamente (anche ai fini degli investimenti e dell’occupazione) il capitalismo industriale e agricolo era incentrato sulla produzione e vendita di beni e servizi reali – quindi aveva interesse ad aumentare la produzione, i consumi, i percettori di reddito, cioè alla crescita, alla distribuzione di ricchezza reale.
07.02.16 Marco Della Luna