LA LEGGE ELETTORALE PER LA PARTITOCRAZIA SI CHIAMA RENZUSCONI
LA LEGGE ELETTORALE PER LA PARTITOCRAZIA
SI CHIAMA RENZUSCONI
Renzi e Berlusconi stanno blindando la cupola partitocratica parassitaria che asfissia il Paese mediante una riforma elettorale antidemocratica e incostituzionale. Peraltro, il bailamme con essa scatenato mira a distogliere l’opinione pubblica da certe malefatte affaristiche in corso, come la porcata su Banca d’Italia, mentre la quota di potere effettivamente messa in gioco con le elezioni popolari è piccola cosa rispetto a quello non elettivo, autocratico, spesso irresponsabile, dell’alta burocrazia, della giurisdizione, della tecnocrazia europea.
Il problema della riforma elettorale si va riducendo a un dilemma logico-giuridico, per sua struttura insolubile, perché si tratta di contemperare esigenze che sono tra loro incompatibili, almeno in un paese con un elettorato molto suddiviso: la rappresentanza (e l’eguaglianza tra gli elettori nella rappresentanza) e la governabilità.
Infatti:
-da un lato l’unico modo per rispettare il principio fondamentale per la democrazia, quello della rappresentatività, è la proporzionalità pura tra numero dei voti e numero dei rappresentati– ogni altro modo di formare il parlamento lo distorce, perché o neutralizza il voto di una parte degli elettori, oppure dà più peso al voto per Tizio rispetto al voto per Caio;
-dall’altro lato, se l’elettorato è molto suddiviso, l’unico modo per assicurare la governabilità è violare il principio suddetto, dando più rappresentati a un partito o a una coalizione, in modo che abbia la maggioranza assoluta dei seggi senza avere la maggioranza assoluta dei voti.
Questa aporia è intollerabile e inconciliabile in relazione a quelle funzioni del parlamento, che non sono di governance, che non riguardano l’approvazione di leggi e di indirizzi di governo, ma sono di garanzia: l’elezione del capo dello Stato e dei presidenti delle Camere, le riforme costituzionali, la messa in stato di accusa del capo dello Stato, la nomina di magistrati, di membri del CSM e di autorità di garanzia, le leggi elettorali, quelle sulla cittadinanza, la ratifica di trattati implicanti cessioni o limitazioni di sovranità, il voto sulla decadenza dei parlamentari, sulle autorizzazioni a procedere, etc. Queste decisioni palesemente non possono essere prese da un parlamento in cui la maggioranza assoluta dei seggi non corrisponde alla maggioranza assoluta dei voti, ma è detenuta da una parte politica minoritaria nel voto popolare.
La soluzione è possibile, con soddisfazione di entrambi i principi – rappresentanza e governabilità – e consiste in una riforma nei seguenti termini:
Si elegge un parlamento unicamerale, poniamo di 300 parlamentari, con metodo puramente proporzionale;
Se nessuna forza politica raggiunge la maggioranza assoluta, si fa un ballottaggio tra le due forze prime classificate per assegnare un premio di maggioranza sufficiente a dare una maggioranza del 60% a quella che vincerà;
Il parlamento vota in due composizioni:
-sulle leggi ordinarie vota al completo, ossia votano anche i parlamentari “premiali”, eletti al ballottaggio, assicurando così la stabilità al governo e l’esecuzione della sua policy;
-per tutte le altre deliberazioni, quelle di garanzia, vota in composizione proporzionale.
Una tale riforma richiede ovviamente una riforma anche della Costituzione, per introdurre la differenziazione dei parlamentari in proporzionali e premiali, e per eliminare una delle due camere (io suggerisco di eliminare quella bassa, che è più numerosa e dispendiosa), o per cambiare le sue competenze. Ma una riforma della Costituzione è già in programma, sia per trasformare il Senato in Camera delle Regioni, che per modificare il Titolo V.
In alternativa, si potrebbero differenziare le competenze delle due camere: quella dei deputati viene eletta con un premio di maggioranza assegnato mediante ballottaggio, e vota le leggi ordinarie ed elegge il proprio presidente; il senato viene eletto con metodo proporzionale puro a turno unico e vota tutti gli altri provvedimenti e le altre nomine.
Ahfesa, un mio brillante lettore, definisce l’Italicum “la riedizione in brutta copia della legge Acerbo. Dunque si fan le cose in modo che in ogni evenienza o vince FI o vince il PD con i soliti parassiti al seguito e naturalmente sempre le stesse facce, salvo i deposti (con lautissimi ed intonsi emolumenti) per senescenza. Come il campionato alla Moggi dove tutti potevano partecipare, previa pagata iscrizione e due soli potevano vincere. Ma il punto focale, quello che tutti aborrono (come le prostitute ed i paradisi fiscali) resta pure esso intonso, ovvero le LISTE BLOCCATE. Con la planare conseguenza che per far il deputato occorre imperativamente esser messo in lista da una segreteria di partito. Esattamente come il Gran Consiglio del fascismo decideva i “candidati” alla camera chiamata “dei fasci e delle corporazioni”. E come allora i senatori li nominava re sciaboletta, adesso li nominano motu proprio gli “eletti bloccati” delle regioni, che tanto brillano per risparmio, onestà e preveggenza. Quanto al fatto che i senatori lavorino gratis io non ci credo neppure se me lo conta zio Giorgio in persona camminando a 4 zampe.
Occhio gente, che con la legge Acerbo esattamente con la stessa motivazione di “garantire la governabilità” ci siamo pigliati Mussolini per 20 anni lontanissimo dall’aver il voto della maggioranza degli italiani.”
In effetti, la Renzi-Berlusconi, o Renzusconi, viola tutti i principi fondamentali per la legittimazione costituzionale.
In primo luogo, con le sue soglie di accesso (per giunta piuttosto alte: 5, 8, 12%), esclude molti elettori dalla rappresentanza parlamentare, neutralizza moltissimi voti (ancora peggio farebbe il sistema dei collegi uninominali).
In secondo luogo, il premio di maggioranza (assoluta) attribuito in base a un mero 35% al primo tirno e a meno ancora al secondo, è una palese forzatura e violazione del principio di rappresentanza, dando la maggioranza assoluta a una minoranza, anche in materie di garanzia. Insomma, la legge stabilisce una doppia, incostituzionale diseguaglianza tra gli elettori: quelli il cui voto viene neutralizzato (dalla soglia di smarramento), quelli il cui voto viene rappresentato sì, ma come mero diritto di tribuna; e quelli il cui voto viene reso maggioritario in parlamento senza che lo sia nel popolo.
In terzo luogo, le liste bloccate, che permangono, fanno del parlamentare un rappresentante della segreteria del partito.
In quarto luogo, lo sbarramento, escludendo dalla rappresentanza i partiti esponenziali di minoranze etniche (come la SVP e forse la Lega Nord), viola il principio costituzionale di riconoscimento e tutela di queste minoranze.
Tutte queste violazioni sono evitabili, come ho dimostrato, e il non averle evitate prova la mala fede dei padri della riforma Italicum e il loro fine di consolidamento partitocratico parassitario, per conservare i loro privilegi nonostante lo sfascio e l’agonia del Paese, di cui sono, se non causa unica, quantomeno complici interessati.
23.01.14 Marco Della Luna