GIUSTIZIA: REFERENDUM ESAVALENTE

GIUSTIZIA: REFERENDUM ESAVALENTE

Per la politica, gli affari e la propaganda, il potere giudiziario è uno strumento troppo decisivo perché sia usato entro i vincoli della legalità.

Il referendum esavalente per la giustizia proposto dal Partito Radicale e valorosamente spalleggiato dalla Lega ex Nord porterebbe a riforme assai opportune in linea di principio, soprattutto a quella della separazione delle carriere tra giudici e magistrati del PM; ma verosimilmente non produrrà mai più che un belletto, una finzione di riforma e una merce di scambio o ricatto politici.

Infatti ciò che, tra tutti gli ostacoli e le coperture, è emerso da scandali quali, soprattutto, quello Palamara, e poi quello Amara (ma nell’ambiente si sapeva da molto tempo), è che la forma (metodo, cultura) italiana del potere reale, una forma massonico-mafiosa, è si estende anche ai vertici, e non solo ai vertici, dell’apparato giudiziario. I magistrati non associati ad essa sono la grande maggioranza, ma il potere reale sulla giustizia non è nelle loro mani: ovviamente, a dare potere reale è la violazione della legge, la capacità materiale di compiere i soprusi e spartire i privilegi, non il rispetto delle regole, il quale al contrario eguaglia tutti. Questo è un punto fondamentale: il potere di fatto, che poi diverrà di diritto, si acquisisce in quanto si riesce a fare la differenza, cioè si riesce a distribuire vantaggi e svantaggi che in base alla legge non spettano, e si costruisce così un sistema di clientele e intimidazioni che inducono gli altri, magistrati o altro che siano, ad obbedirti. Questo è ciò che è apparso nel caso Palamara e che emerge nella malagiustizia come nella malapolitica in generale: in Italia il potere pubblico funziona così e che descrissi nel mio saggio Le chiavi del potere (2002, terza edizione 2019). Il potere giudiziario è usato per indirizzare la politica eliminando i leaders scomodi e coprendo le malefatte di quelli allineati ai grandi disegni, soprattutto internazionali. Orbene, voi credete che i precisi e forti interessi organizzati che gestiscono questo sistema si lasceranno tagliare gli artigli da un referendum?

Gli ingenui, quelli veri e quelli finti, oggi proclamano che bisogna erigere un muro per separare la magistratura dalla politica. Ma molti magistrati, specie quelli più attivi nel loro sindacato ANM, sono politicizzati da sempre e non rinunceranno mai a far politica da magistrati: il fatto stesso che l’ANM è composta di correnti, cioè di fazioni, che portano avanti non differenti teorie filosofiche, ma interessi e idee politiche diverse, è una realtà innegabile, assieme al fatto che molti magistrati hanno sempre dichiarato di avere idee e obiettivi politici e di volersi coordinare tra loro per realizzarli. Sono dati storici e inveterati. Realtà che non si azzerano per legge. L’attività giudiziaria, perlomeno in Italia, nel complesso, non è super partes e sarà sempre esercitata con condizionamenti politici – l’importante è saperlo e poterlo dire senza tema di restare isolati e di venire puniti. L’idea del muro divisorio è per contro, palesemente, una sciocchezza. Buona invece è l’idea, sostenuta anche dal saggio Carlo Nordio, di usare il sorteggio per nominare le cariche interne alla Magistratura, come riduzione del male. Ma il migliore controbilanciamento allo strabordare in politica e agli altri abusi del potere giudiziario, e altresì il miglior antidoto alla malattia mentale nota come “giustizialismo”, sta proprio nell’esser capaci di vivere la vita senza bisogno di credere che quel potere stia lì a difendere la legge; sta nel capire e accettare che esso opera in parte illegalmente a tutela di interessi illeciti e inconfessati; sta nella demistificazione di quel potere (e di ogni potere), nel fatto che l’opinione pubblica e i mass media arrivino a percepire il potere istituzionale nella sua realtà umana e interessata, e non più come una garanzia angelica di legittimità o di auto-correzione del sistema, dato che non lo è, essendo interno al sistema, alla sua cultura di potere, e non un quid qualitativamente indipendente da esso.

Dalle rivelazioni e dalle indagini, quella struttura di potere che indicavo in apertura è apparsa unitaria e abbracciante tutti i poteri dello Stato: burocrazia, partitocrazia, giurisdizione. Al culmine dello scandalo Palamara, quando i vertici dell’organizzazione vennero smascherati, molti si aspettavano che Mattarella dicesse, con tutto il garbo istituzionale, due paroline che avrebbero costretto i vertici del Consiglio Superiore della Magistratura a dimettersi, ma non le ha dette, anzi ha tollerato che gli insabbiatori facessero il loro mestiere, fino a coprire quasi tutto. Non le ha dette, perché appunto egli sa che non si tratta di un difetto circoscritto e interno alla magistratura, ma è la forma e il metodo del potere in questo Paese, sicché non è possibile andargli contro. Si noti che il CSM è l’organo costituzionale che non solo assegna gli incarichi ai magistrati, ma anche decide sulle loro carriere, decide sulle accuse nei loro confronti (solitamente assolvendoli: solo il 2 per mille delle denunce ha seguito), organizza i concorsi a posti di magistrato, propone e perora le riforme del processo, etc. Quindi la qualità della sua gestione si trasmette a tutto l’apparato giudiziario, anche se la maggioranza dei magistrati non partecipa attivamente alle prassi che ora vengono alla luce, sebbene, restando questi allineati e ossequienti, possano godere di benefici notevoli e permettersi molte cose senza incorrere in conseguenze.

Per afferrare la serietà e l’ampiezza del problema, si dovrebbe leggere il libro Corruzione ad Alta Velocità – Viaggio nel governo invisibile, di Imposimato, Pisauro e Provvisionato (Koinè Nuove Edizioni, 1999). Questo libro è fondamentale perché descrive che cosa è e come funziona realmente lo Stato, l’establishment, giustizia compresa, col coinvolgimento in operazioni molto discutibili non solo dei vertici del potere statuale, ma anche di personaggi che, nell’immaginario popolare, erano già divenuti, e a tutt’oggi restano, simboli di moralità, legalità e garanzia. Gli autori rivelavano – pag. 20 – già allora, 22 anni fa, Mani Pulite come un’operazione diretta ad abbattere le forze politiche di riferimento della piccola e media industria, nonché dei lavoratori autonomi (nerbo del sistema socioeconomico italiano), in favore dei grandi gruppi finanziari-industriali, sposati dal PCI-PDS; e di una semplificazione maggioritaria del sistema partitico. Una gigantesca operazione di trasformismo dietro una facciata moralista e giustizialista. La preparazione per la cessione in massa degli assets nazionali a capitali stranieri, lanciata il 2 Giugno 1992 da bordo del panfilo Britannia, presente Draghi, cui subito seguì il crollo della Lira e l’avvio di Mani Pulite.

Chi pensi a queste cose non può sperare granché dal referendum esavalente del Partito Radicale e della Lega ex Nord. Finché esisterà l’Italia, finché non verrà fagocitata da qualche organismo sovrannazionale o ripopolata con altre genti, questo tipo di potere continuerà a governarla con questi metodi attraverso qualsivoglia scandalo e riforma. Continuerà la lentezza dei processi, l’interferenza con la politica, l’affarismo con l’imprenditoria, il mercato delle sentenze. Le cointeressenze, come quella vanamente messa alla luce e denunciata da un mio cliente giornalista, il quale ha scoperto che tutti i magistrati che nella sua città trattano le cause di certe banche locali, hanno cointeressenze economiche con queste banche, direttamente o attraverso familiari. Una realtà che, da sommarie indagini, non mi pare sia ristretta a quella città, e che molto spesso vede le banche vincenti in fatto di usura e anatocismo anche quando non dovrebbero esserlo.

Sia chiaro che gli arbitri e il mercato delle sentenze continueranno dopo ogni riforma, probabilmente anche qualora si decidesse, per assurdo e onde tagliare davvero col passato e col ‘malcostume’, di sostituire tutti i magistrati con avvocati esperti presi da altri distretti. Continuerebbe perché è la mentalità e il costume italiano, inveterati, ultramillenari, quello di considerare il potere come una cosa privata e propria, da usare innanzitutto per ricompensare chi ce la ha data, indi per fare i nostri interessi – coprendosi a vicenda e insabbiando, come sempre appunto avviene con gli scandali della giustizia. I politici che prendevano più preferenze quando c’erano le preferenze, erano i più clientelisti. Il senso di legalità, l’abitudine a praticarla, l’aspettativa che gli altri la pratichino, sono prossimi allo zero in tutti degli ambiti dello Stato. E il concorso di magistratura è materialmente organizzato in modo tale che i compiti scritti sono facilmente identificabili nei loro autori e gli esami orali… non ne parliamo.

E guardiamo alle innumerevoli riforme del processo già fatte, soprattutto di quello civile. Non hanno portato ad alcun miglioramento, innanzitutto perché non hanno inciso e non potevano incidere sugli interessi, sulla mentalità, sulla moralità, sulla laboriosità. Non si potrà mai correggere la cattiva qualità della giustizia italiana, perché essa corrisponde a precisi interessi sia interni che esterni all’apparato giudiziario. I gruppi di interesse organizzato, illegittimi nel loro operare e nella loro stressa esistenza, non consentiranno mai riforme che li privino dei loro privilegi pure illegittimi. Le riforme hanno quindi puntato, oltre che a fingere che una soluzione del problema fosse in arrivo, a scoraggiare la domanda di giustizia aumentandone i costi sia coll’imporre, in molti casi, una sorta di mediazione pressoché inutile ma costosa come condizione per fare la causa, sia col rincarare le tasse di iscrizione (contributo unificato) e moltiplicarle ex post punitivamente. Inoltre hanno da un lato esentato i giudici dal motivare in modo completo le loro decisioni, e dall’altro hanno ristretto le possibilità di appello e di ricorso in cassazione; il combinato effetto di queste due cose è stato di dare ai giudici la possibilità di decidere in modo meno trasparente e più arbitrario. Tali nefande riforme sono sicuramente un freno alla richiesta di giustizia, e limitano il numero delle cause, ma in un modo e in un senso perversi e incivili. Altro e meglio di questo il sistema Italia non consente di fare. Consente però di fare di peggio.

Sviluppare una coscienza adulta, non utopista ma realista, della legalità e della giustizia (come pure della democrazia), significa capire razionalmente e accettare emotivamente che esse sono aspirazioni diffuse ma che esse, nel mondo reale, non esistono. Insomma, il potere politico non si regge su una legittimazione (rule of law, giustizia, democrazia) di natura giuridica, ma direttamente sulla sua fattuale capacità di farsi obbedire – con la forza, con l’illusione, rendendo la gente dipendente da sé stesso, e adoperando metodi contrari alle sue stesse leggi dichiarate: paradossalmente, si legittima con l’illegalità. Quel poco di legalità e diritti che riusciamo a ricavare dal sistema, anche noi avvocati, è ricavato da quel poco di legalità effettiva – una crosta – che esso deve concedere e praticare al fine di mantenere quella parvenza.

20.07.21 Avv. Marco Della Luna

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